Le successive denunce all’INPS non concorrono al perfezionamento del conguaglio, già avvenuto al momento del pagamento
Due recentissime pronunce della Cassazione (n. 1231 del 17/01/2025 e n. 1406 del 21/01/2025) sovvertono l’impostazione seguita dall’Inps con riferimento al rimborso della somma anticipata dal datore di lavoro ai propri dipendenti per il pagamento dell’integrazione salariale. Riassumiamo sinteticamente le motivazioni delle due sentenze:
- l’art. 7, co. 2, D.lgs. n. 148/15 stabilisce che l’importo dell’integrazione salariale – sia ordinaria che straordinaria – viene anticipato dal datore di lavoro e, in seguito, è rimborsato dall’Inps all’impresa o conguagliato da questa secondo le norme per il conguaglio fra contributi dovuti e prestazioni corrisposte;
- secondo il terzo comma dell’art. 7, D.lgs. n. 148/15, la richiesta di rimborso o il conguaglio devono intervenire entro un termine decadenziale di sei mesi dalla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del termine di durata della concessione o dalla data del provvedimento di concessione se successivo;
- secondo la lettera della norma, quindi, non ha alcuna rilevanza giuridica la richiesta di conguaglio, ma il solo atto del conguaglio: tale conclusione è del resto conforme alla natura dell’istituto del conguaglio, il quale non s’inserisce in alcun iter procedimentalizzato che contempli una domanda di conguaglio e una successiva autorizzazione dell’Inps, ma opera come meccanismo automatico di azzeramento di reciproche poste di debito e credito, secondo lo schema della compensazione impropria;
- la Cassazione (già con sent. n. 14711/07) ha ricondotto alla compensazione impropria il regime del conguaglio previsto da varie norme in materia previdenziale, in base al quale il datore di lavoro, obbligato quale adiectus solutionis causa ad effettuare anticipazioni ai lavoratori nell’interesse dell’istituto previdenziale, detrae tali somme dai contributi dovuti al medesimo Istituto;
- trattandosi di compensazione impropria, il saldo contabile tra credito per anticipazioni a titolo di CIG e debito contributivo opera in modo automatico, senza necessità di alcuna richiesta di parte in tal senso né di autorizzazione dell’Inps; in particolare, esso opera per effetto e alla data del pagamento all’Inps della differenza contributiva tra quanto dovuto per obblighi contributivi e quanto anticipato a titolo di integrazioni salariali;
- la tempistica di tale pagamento è regolata dall’art. 18, co.1, D.lgs. n. 241/97, in base al quale i versamenti contributivi vanno effettuati entro il giorno 16 del mese successivo al periodo di paga cui si riferiscono i contributi (art. 18, co.1, D.lgs. n. 241/97) e, nelle cause che ci occupano, i pagamenti sono sempre stati tempestivi. Coordinando quindi l’art. 7, co. 3, D.lgs. n. 241/97 e l’art. 7, co. 3, D.lgs. n. 148/15, si ha che la decadenza è impedita quando il conguaglio viene effettuato (con pagamento della differenza contributiva) entro il giorno 16 del mese successivo alla fine del periodo di paga in corso alla scadenza del semestre decorrente dal termine di durata della concessione della CIG o, se successivo, dalla data del provvedimento di concessione della CIG. La Cassazione precisa, inoltre, che la decadenza non opera quand’anche il conguaglio sia effettuato dal datore nel termine sopra indicato, ma in misura erronea. L’eventuale erroneità del conguaglio incide infatti sul debito contributivo, dando luogo ad un adempimento solo parziale ex art. 1181 c.c., e residuo credito dell’Inps; viceversa, essa non incide sul meccanismo della compensazione impropria, perfezionata per il fatto stesso e al tempo stesso del pagamento, con il saldo delle reciproche poste contabili. Ancor meno, una volta effettuato il conguaglio nel termine di cui sopra, la decadenza può sussistere per il fatto che, in modo errato o in ritardo, siano state comunicate all’Inps le denunce telematiche mensili (c.d. flussi Uniemens) previste dall’art. 44, co. 9, D.l. n. 269/03. Le denunce, quali dichiarazioni di scienza che intervengono successivamente al conguaglio, non concorrono al perfezionamento dello stesso, già avutosi al tempo del pagamento contributivo. Si tratta di adempimenti successivi volti a consentire all’Inps il controllo ex post sulla correttezza dell’operazione di conguaglio e, quindi, dell’integralità dell’adempimento dell’obbligazione contributiva residua (che, quindi, se erronee possono, a nostro avviso, in qualsiasi momento essere passibili di variazioni). La conoscenza da parte dell’Inps dei dati delle denunce mensili è ininfluente ai fini del perfezionamento della compensazione impropria. Del pari, non può incidere sulla decadenza dell’art. 7, co. 3, D.lgs. n. 148/15 il ritardo nella trasmissione delle denunce mensili, essendo fissato il termine di cui all’art. 44, co. 9, D.l. n. 269/03 in ragione non del perfezionamento del conguaglio, bensì del tempestivo adempimento del successivo obbligo di comunicazione all’Inps. Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto che l’operazione di conguaglio tempestivamente effettuata, ancorché irregolare, non possa dar luogo alla fattispecie decadenziale di cui all’art. 7, co. 3, D.lgs. n. 148/2015. Di poco precedente alle due sentenze di legittimità appena richiamate la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 314 di ottobre 2024, se possibile ancora più chiara: a) ribadisce che:
- l’art. 7, D.lgs. n. 148/2015 fa riferimento al conguaglio tout court senza nulla prescrivere in ordine alle modalità con cui deve essere effettuato;
- le norme che prevedono decadenze sono di stretta interpretazione (per cui non è condivisibile la tesi dell’Inps secondo cui la decadenza dal diritto al conguaglio e al rimborso sarebbe impedita esclusivamente dal tempestivo invio dei flussi Uniemens);
- neppure la presenza di un eventuale errore nel conguaglio tempestivo rende ex post la cassa integrazione erroneamente autorizzata, tantomeno con riferimento alla somma anticipata dal datore in sostituzione all’Inps;
b) contesta puntualmente le difese dell’Inps, (…… la mancata trasmissione del flusso Uniemens impedisce all’Ente di valutare la correttezza delle somme poste a conguaglio; solo il flusso Uniemens permetterebbe di identificare i dati retributivi e contributivi dei dipendenti, mentre il mod. F24 costituirebbe mero strumento di pagamento recante l’indicazione di somme a debito e/o a credito genericamente identificate dal codice riferito al flusso Uniemens, inidoneo a individuare la volontà dell’azienda; solo il flusso Uniemens sarebbe idoneo a impedire la decadenza in quanto in caso di non corrispondenza tra i totali delle denunce Uniemens e i totali ivi dichiarati il sistema informatico origina una “squadratura” e considera il DM10 come non presentato…)
c) specifica che, vista la legge delega posta a monte del D.lgs. n. 148/2015 che ordinava al Governo di semplificare le procedure amministrative, il termine di decadenza stabilito dall’art. 7, co. 3 riguarda il diritto di ottenere il rimborso mediante le procedure semplificate appositamente predisposte dall’Inps ma non anche il diritto di far valere il proprio credito, quindi il datore di lavoro che legittimamente ha anticipato i trattamenti di integrazione salariale autorizzati dall’Inps ha l’onere, se vuole esercitare il diritto di avvalersi delle procedure semplificate di rimborso disciplinate dal D.lgs. n. 148/2015, di attivarsi entro i termini di decadenza. Ma se decade da tale diritto, ovviamente non perde il diritto alla restituzione delle somme anticipate e a far valere il proprio diritto di credito nei confronti dell’Inps. Ci auguriamo che l’Istituto proceda a modificare il proprio orientamento in materia senza costringere le aziende ad arrivare in Cassazione per vedere riconosciuto il proprio diritto.
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