Il Punto – FLESSIBILITÀ ORARIA NELLE IMPRESE ITALIANE: i risultati dell’indagine della Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano

Potito di Nunzio, Presidente del Consiglio dell’ordine Provinciale di Milano

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La seconda edizione del Forum RELIND 2025, organizzata da Assolombarda in collaborazione con il CPO di Milano, svoltasi nelle giornate del 10 e 11 novembre 2025 a Milano presso l’Auditorium della stessa Assolombarda, è stata dedicata in gran parte al lavoro che cambia e in particolare al tema del tempo di lavoro e come questo tema attraversi trasversalmente l’intero sistema delle imprese, indipendentemente da settore, dimensione e stadio evolutivo. Per questa ragione è stato costruito un panel eterogeneo di interlocutori, in grado di offrire prospettive complementari: dalle aziende mature alle startup innovative. Al Forum erano presenti i tre Segretari generali di CGIL, CISL e UIL oltre alla prestigiosa presenza del Ministro del Lavoro, Marina Calderone. Nella seconda giornata ho partecipato alla tavola rotonda «Professioni in evoluzione: pratiche e visioni per il lavoro che cambia». È stata questa l’occasione per presentare l’indagine, curata dal Centro Ricerche della nostra Fondazione, realizzata proprio sul tema della flessibilità del lavoro nella moderna visione organizzativa delle imprese.

LA RICERCA: METODOLOGIA E CAMPIONE

L’indagine è stata condotta su un campione di 231 imprese, principalmente localizzate a Milano, selezionando anche realtà lombarde e di altre regioni italiane. L’intento era comprendere come le imprese – soprattutto quelle di dimensioni ridotte – percepiscano e applichino oggi la flessibilità dell’orario di lavoro. La prevalenza di realtà lombarde è riconducibile al fatto che la ricerca è stata promossa proprio dalla Fondazione dei Consulenti del Lavoro di Milano e Provincia, che rappresenta un punto di riferimento per il territorio e per l’intera categoria professionale. Questa concentrazione territoriale offre una fotografia particolarmente significativa delle dinamiche organizzative in una delle aree più produttive e innovative d’Italia.

LA STRUTTURA DIMENSIONALE DELLE IMPRESE INTERVISTATE

Per quanto riguarda la composizione del campione, è stata seguita la logica europea di suddivisione delle imprese. I dati evidenziano che:

• il 54,55% delle imprese occupa tra 0 e 9 dipendenti, confermando la tipica struttura imprenditoriale italiana, caratterizzata da realtà di dimensioni molto contenute, spesso a conduzione familiare o comunque con organici ridotti;

• il 30,30% appartiene alla fascia 10-49 dipendenti, quindi a imprese di piccole dimensioni ma già organizzate in modo più strutturato;

• insieme, queste due categorie coprono quasi l’85% del totale, delineando un sistema imprenditoriale che fa leva principalmente su realtà di dimensioni limitate;

• la presenza di imprese di medie dimensioni (50- 249 dipendenti) si attesta al 12,55%, una quota non trascurabile ma comunque minoritaria;

• ancora più ridotta è la percentuale delle aziende con oltre 250 dipendenti: appena il 2,60%, a conferma che le grandi imprese rappresentano una nicchia. Si conferma dunque un ecosistema economico composto prevalentemente da imprese piccole e piccolissime che costituiscono l’ossatura del territorio.

L’INVECCHIAMENTO IMPRENDITORIALE: UNA CRITICITÀ EMERGENTE

Una prima riflessione riguarda l’autoimprenditorialità, che risulta praticamente a punto zero: gli imprenditori al di sotto dei 30 anni rappresentano circa lo 0,4%, mentre la maggior parte delle imprese intervistate è guidata da titolari con età superiore ai 60 anni. Il tema è quello dell’invecchiamento demografico, del cosiddetto “inverno demografico”, che investe anche il mondo imprenditoriale. Occorre incentivare l’imprenditorialità giovanile, poiché è attraverso la creazione d’impresa che si genera ricchezza: il lavoro dipendente, da solo, fatica a produrre nuova ricchezza. È necessario quindi promuovere con maggiore forza il modello imprenditoriale.

FLESSIBILITÀ ORARIA: UNA REALTÀ CONSOLIDATA

Entrando nel merito del tema centrale dell’indagine – l’orario di lavoro e la percezione della flessibilità da parte delle imprese – è stato chiesto ai partecipanti alla survey se l’orario di lavoro viene applicato in modo rigido. La risposta è stata chiara: il 68,40% delle aziende dichiara di non applicare un orario rigido, mentre solo il 31,60% mantiene schemi più tradizionali e poco flessibili. Il dato suggerisce una tendenza diffusa verso modelli organizzativi più adattivi, probabilmente frutto dell’evoluzione culturale del lavoro e dell’esperienza maturata negli ultimi anni. È importante sottolineare che non si sta parlando di smart working. Infatti, alla domanda “Quante volte, in media, i dipendenti della tua azienda lavorano in smart working?”, emerge che nelle micro e piccole imprese lo smart working non è il modello organizzativo prevalente. Il modello organizzativo dominante è quello dell’orario flessibile in presenza, non basato sul lavoro agile, anche se una quota del 27% delle aziende pratica il lavoro agile con una frequenza media di due giorni alla settimana.

LA SFIDA DELLE QUATTRO GENERAZIONI AL LAVORO

Occorre ragionare su questi modelli considerando che oggi si hanno (ancora) ben quattro generazioni al lavoro contemporaneamente: dai boomers – che stanno lavorando e raggiungeranno la soglia pensionistica tra qualche anno – alla Gen Z. Far lavorare insieme queste quattro generazioni, così diverse tra loro nell’approccio al lavoro, non è semplice. È necessario prestare molta attenzione all’armonizzazione delle forme di flessibilità, lasciando la volontarietà di utilizzo, perché la visione e la percezione del lavoro non sono identiche tra le diverse generazioni.

TEMPO DI LAVORO E VALUTAZIONE DELLA PERFORMANCE

Quando è stato chiesto se l’orario di lavoro viene utilizzato come criterio di valutazione della performance, la risposta è stata netta: l’80,09% degli intervistati ha risposto negativamente. Di fronte a questa risposta, abbiamo sviluppato un ulteriore ragionamento che parte dalle risposte date alla seguente domanda: il tempo di lavoro rappresenta un elemento importante per la fatturazione? Le aziende hanno risposto che la base di fatturazione verso il cliente rimane comunque il tempo di lavoro, che ha pertanto un impatto diretto sul valore economico generato. Si tratta di un dato significativo, che riflette modelli di business ancora legati alla logica del “tempo come valore”, tipica di molti servizi professionali, artigianali e consulenziali. Emerge quindi una contraddizione: se è vero che si va verso un modello di orario flessibile e che l’orario di lavoro non è la base di valutazione della performance, è necessario che anche il modello di addebito delle prestazioni e di fatturazione venga rivisto di conseguenza.

I BENEFICI DELLA FLESSIBILITÀ ORARIA

Tra le molte domande poste ai partecipanti alla survey, una delle più significative è stata: “Qual è il maggior beneficio che l’azienda ha ottenuto dall’adozione della flessibilità oraria?” Il 36,80% degli intervistati indica come maggior risultato il miglioramento del bilanciamento vita-lavoro dei dipendenti, non tanto il miglioramento della produttività. Questo significa che, anche se la produttività non è incrementata in modo significativo, il modo di lavorare ha cambiato decisamente il clima aziendale e i rapporti tra colleghi.

LE CRITICITÀ NELL’IMPLEMENTAZIONE

È stato chiesto alle aziende: “Qual è la maggior criticità riscontrata nell’implementazione della flessibilità oraria in azienda?” Dalle risposte emerge la presenza di diversi ostacoli:

• problemi di comunicazione tra team;

• difficoltà nel monitorare le prestazioni;

• resistenza culturale e manageriale, che si attesta al 6%;

• presenza di ruoli che richiedono orari rigidi per esigenze di servizio. Queste sono le difficoltà manifestate principalmente dalle micro e piccole imprese.

FLESSIBILITÀ: IMPATTO SU ATTRATTIVITÀ DEI TALENTI E BENESSERE DEI DIPENDENTI

Alla domanda “Quanto ritieni che l’uso della flessibilità possa influire sull’attrattività aziendale?”, le risposte ci dicono che l’impatto si colloca tra il moderato e il molto positivo. La flessibilità è quindi certamente un modello che attrae i talenti. Sempre in riferimento all’introduzione della flessibilità oraria, alla domanda “Come giudicano i tuoi dipendenti mediamente il livello di benessere?”, le risposte indicano che è migliorato significativamente e viene molto apprezzato.

CONCLUSIONI: TRE DIREZIONI DI CAMBIAMENTO

È possibile concludere identificando tre direzioni principali:

1.L’evoluzione del modello di impresa

    Nelle aziende più strutturate, la flessibilità è diventata uno strumento gestionale integrato in politiche di performance e di welfare, trasformando i tempi di lavoro in una vera risorsa strategica.

    2.La cultura del lavoro

    Nelle start-up e micro imprese, la flessibilità nasce da esigenze di adattabilità, ma si fonda su fiducia, autonomia e responsabilità, innescando un cambiamento culturale profondo.

    3.Benessere e attrattività

    Una gestione chiara della flessibilità aumenta benessere e produttività, rendendo le imprese attrattive. Al contrario, scarsa comunicazione e applicazione disomogenea generano criticità organizzative.

    DUE RIFLESSIONI FINALI

    In conclusione del mio intervento ho posto all’attenzione dei presenti alcune mie considerazioni.

    Il supporto normativo

    È indispensabile ripensare il supporto normativo, perché oggi parlare di flessibilità in modo strutturato non è agevole dal punto di vista giuridico. Un ruolo strategico spetta al contratto collettivo, in particolare alla contrattazione collettiva di secondo livello. È proprio il contratto di prossimità che può supplire alle carenze normative. E nelle micro e piccole imprese, dove non c’è rappresentatività sindacale, il contratto di secondo livello potrebbe essere sostituito da un accordo tra datori di lavoro e lavoratori certificato nelle sedi di certificazione dei contratti (ITL, Enti bilaterali, Consigli dei CPO dei Consulenti del Lavoro).

    Smart working e costi

    nascosti Sull’utilizzo dello smart working vanno ripensati anche gli assetti organizzativi, perché abbiamo osservato che dove lo smart working viene utilizzato in maniera massiccia aumentano automaticamente i residui ferie, riduzione orario di lavoro e ROL generando costi eccessivi. D’altra parte, non si può negare che la gestione autonoma degli orari di lavoro porta a un’organizzazione diversa della propria vita bilanciando le necessità di vita con quelle di lavoro. Quindi viene meno la funzione specifica dei permessi e, se non si vuole ridurre il loro impatto, si potrebbe pensare alla loro monetizzazione incrementando così i salari correnti. Nel portare a conclusione queste riflessioni, ne ho aggiunta un’altra che riguarda la c.d. disoccupazione o inoccupazione tecnologica. In altre parole: l’utilizzo sempre maggiore dell’intelligenza artificiale porterà a ridurre l’orario di lavoro aumentando automaticamente il tempo libero. Infatti si parla di economia del tempo libero. Come possiamo aiutare queste persone ad occuparsi attivamente nella società per evitare ozi che possono portare a stati depressivi con un conseguente incremento della spesa sanitaria. Sono questioni che non possono essere trasfigurate dalle parti sociali che sono i primi attori nella gestione delle relazioni industriali e con evidente impatto sulle persone. Noi consulenti del lavoro non possiamo trascurare questi aspetti perché le relazioni industriali nelle PMI le gestiamo noi.

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    L’analisi completa dell’indagine sulla flessibilità oraria nelle aziende sarà pubblicata prossimamente su Sintesi e sul sito della Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano.

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