Che confusione … sarà perché ti amo» si giustificavano cantando i Ricchi e poveri. Per quanto riguarda invece la confusione nella disciplina del patto di prova non riesco davvero a darmi una spiegazione. Di certo non per amore verso un istituto, il contratto a termine, che – ne sono più che convinto – una certa parte del mondo del lavoro esulterebbe qualora fosse depennato dal D.lgs. n. 81/2008. Il tutto peraltro era iniziato – prima ancora che intervenisse la Direttiva UE n. 2019/1152 ed a cascata il D.lgs. n. 104/2022 – con una giurisprudenza italiana che riteneva che nei contratti a tempo determinato dovesse operarsi una riduzione della prova in modo proporzionale alla durata del contratto stesso. Posizioni, italiane ed europee, che avevano in comune le nozioni matematiche di un bambino di quinta elementare a cui è sconosciuto il fatto che in una equazione non può esistere, oltre al dato da individuare, uno non determinabile. E questo semplicemente perché è una operazione impossibile trovare l’incognita “x” (durata della prova nel TD) quando uno degli elementi conosciuti (la durata del contratto a TI) è un valore matematicamente non quantificabile, dato che il rapporto contrattuale può teoricamente durare un’intera vita lavorativa (diversa da un ventenne o da cinquantenne). La modifica operata dal Collegato Lavoro cerca di porre rimedio a questa incongruenza ma nella sua formulazione troviamo più ombre che luci. Emergono infatti vecchie e nuove discriminazioni nonché un’evidente contraddizione. Prima di addentrarci nella questione, leggiamo il testo della novellata norma.
LA NUOVA DISCIPLINA
L’art. 13 – Durata del periodo di prova della Legge n. 203 del 13 dicembre 2024 integra l’art. 7, comma 2, del D.lgs. n. 104/2022 ove già si stabiliva che: Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego. In caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova. aggiunge il seguente periodo: Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi. Subito due osservazioni: – perché dire inferiore a dodici mesi, ovvero 12 mesi meno 1 giorno? – perché parlare di mesi (sei/dodici) di contratto se per il conteggio della prova ci si riferisce alle frazioni di 15 giorni? Non deve sfuggire poi come la norma stabilisca che i giorni di prova sono di effettiva prestazione ogni 15 giorni di calendario di durata del contratto, con la precisazione che la prova non potrà comunque essere inferiore a due giorni. Pertanto: a) in una assunzione con decorrenza 1° febbraio 2025, ove il rapporto scadesse il 10 dello stesso mese, la prova sarà di due giorni (durata minima ex lege). b) in una assunzione con decorrenza 1° febbraio 2025, ove il rapporto scadesse il successivo 31 marzo, la prova sarà di tre giorni. Non facciamoci ingannare dai due mesi: i giorni sono solo 59. c) una assunzione al 1° marzo 2025 che scadesse il successivo 14 maggio (75 giorni di calendario) potrebbe beneficiare di un periodo di prova di cinque giorni. La norma nulla dice circa la rilevanza di eventuali frazioni inferiori ai quindici giorni per cui si deve ritenere che ogni ulteriore periodo che non raggiunga i 15 giorni di calendario sia ininfluente.
LA PROVA NEI CONTRATTI A TEMPO PARZIALE
Nulla si dispone in merito al fatto che la prestazione venga resa a tempo pieno piuttosto che part-time, perdendo una buona occasione per intervenire su una discriminazione tra lavoratori full-time e lavoratori a tempo parziale che oggi, peraltro, appare ancor più evidente. Un’inspiegabile diversità di trattamento più volte denunciata da chi scrive1 e che andrebbe attentamente valutata in relazione alla Direttiva UE n. 97/81/CE del 15.12.1997 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale ed in particolare alla Clausola 4: Principio di non-discriminazione ove si dispone che per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive. È davvero difficile per chi scrive trovare una sola ragione obiettiva per cui al lavoratore part-time si riconosca meno tempo rispetto ad un lavoratore full-time per valutare l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni, anche “ambientali”, di svolgimento del rapporto lavorativo.2 Invece ancora oggi abbiamo non solo una differenza tra tempo pieno e parziale ma addirittura trattamenti diversi per lavoratori con identico orario settimanale. Si consideri infatti che: – Lavoratore A con un contratto di un anno, 10 ore settimanali, 2 ore al giorno per 5 giorni. Il periodo di prova è pari a 24 giorni di lavoro effettivo, ossia 48 ore (2 ore x 24 giorni). – Lavoratore B sempre a tempo parziale di 10 ore settimanali per 12 mesi ma svolte solo il lunedì, avrebbe sempre 24 giorni di lavoro effettivo ma il periodo di prova sarebbe di 24 giorni per 10 ore, per un totale di ben 240 ore di prova. Ben 5 volte tanto il periodo di prova che spetta al collega del primo esempio. Spiace dirlo ma non ci siamo proprio.
L’EFFETTIVO ESPERIMENTO DELLA PROVA
Analizzando invece la nuova modalità di calcolo che prevederebbe per un contratto a termine di 30 giorni un periodo di prova di soli 2 giorni, la stessa disconosce nei fatti una costante giurisprudenza – che si fonda sul mai modificato art. 2096 c.c. dove si legge che l’imprenditore è tenuto a consentire l’esperimento che forma oggetto del patto di prova – secondo la quale il datore di lavoro è tenuto a dare all’esperimento una durata minima, benché non pattuita tra le parti. Il datore può sì liberamente recedere dal rapporto durante la prova ma solo nel momento in cui abbia effettivamente consentito l’esperimento, affermando quindi l’illegittimità dei licenziamenti in prova intimati dopo un lasso di tempo troppo breve e comunque in assenza di una reale valutazione delle capacità professionali del lavoratore (Cass., n. 1104/1989). Rammentiamo peraltro che è lo stesso Considerando n. 27 della direttiva UE n. 2019/1152 a ritenere che i periodi di prova dovrebbero pertanto essere di durata ragionevole. Non vi è nulla di ragionevole nel concedere alle parti, datore di lavoro e lavoratore, un lasso di tempo di due soli giorni per valutare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, valutando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto (Cass., n. 1099/2022).
L’INTERVENTO DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Le modalità di calcolo sopra previste potrebbero comunque cedere il passo ad eventuali disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva. Si badi bene: non si dice disposizioni “diverse” ma “più favorevoli”. E qui sorge il primo problema: capire cosa significhi più favorevole. Lo è un periodo più corto che potrebbe significare per il lavoratore ricevere in tempi strettissimi la conferma di un’occupazione lavorativa, quantomeno fino a scadenza del termine? O lo sarebbe un periodo più lungo proprio perché consentirebbe al datore di lavoro una valutazione e una decisione più ponderata? Detto che chi scrive dubita fortemente sul fatto che la contrattazione collettiva prevederà termini più lunghi del rapporto “un giorno di prova ogni 15 di calendario”, una lettura ragionata della norma ci propone una riposta al nostro dubbio. Proviamo con due esempi. a) Contratto a termine di 6 mesi. Stando alla previsione generale potremmo stabilire una prova di 12 giorni. Ma la norma dice anche che non può essere … superiore a quindici giorni (di prestazione effettiva anche se non esplicitamente detto). b) Contratto a termine di 12 mesi, 365 giorni. Stando alla previsione generale potremmo stabilire una prova di 24 giorni. Qui la norma prevede che non può comunque essere superiore a trenta giorni. Il legislatore pare quindi implicitamente riconoscere che considera favorevolmente un periodo di prova più lungo di quello standard dato dal rapporto 1 ogni 15. Ove peraltro i Ccnl volessero avvalersi della facoltà di prevedere nei rapporti a termine una durata della prova in deroga alla neointrodotta proporzione 1/15, sembra implicito che ciò debba avvenire con un specifico nuovo accordo. Fino ad allora le attuali discipline del patto di prova, ove non diversamente già specificato, resteranno in vigore solo per i contratti a tempo indeterminato mentre, dal 12 gennaio 2025, per i neo assunti a termine varranno i nuovi criteri di legge (e non più il vecchio metodo proporzionale). Analizzando i vigenti contratti collettivi, ve ne sono alcuni che già prevedono una disciplina ad hoc della prova nei contratti a termine, altri che nulla disciplinano. Tra i primi va citato il contratto Pubblici Esercizi Confcommercio che prevede che il periodo di prova è stabilito in dieci giorni lavorativi per tutto il personale. Ritengo che questa previsione sia oggi pienamente valida, ma poiché esiste una giurisprudenza che sostiene che un periodo di prova non dovrebbe mai coincidere con la durata totale di un contratto a tempo determinato, qualora l’assunzione avvenisse per due settimane, 14 giorni di calendario, potremmo avere due casi: – lavoratore con orario distribuito su 6 giorni lavorativi. La prova sarebbe di 10 giorni su 12 effettivi. Quindi verrebbe confermata in 10 giorni la prova. – lavoratore con orario distribuito su 5 giorni lavorativi. La prova risulterebbe di 10 giorni su 10 di lavoro effettivo. Non si può fare ma il periodo deve essere ridotto. Di quanto? Si naviga a vista. Ma ci sono molti Ccnl che non prevedono una specifica disciplina per il periodo di prova nei contratti a termine (per i quali operavamo la vecchia proporzione in funzione della durata, inizialmente prevista, del rapporto). Tra questi citiamo il contratto Edili Industria che prevede per gli operai comuni un periodo di prova di 15 giorni. In questo settore, qualora dovessimo assumere un manovale con un contratto di un anno, la prova sarebbe, secondo la nuova norma, di 24 giorni effettivi contro i 15 previsti per gli assunti a tempo indeterminato. Sarebbero ora questi ultimi a fruire di una prova più corta rispetto agli assunti a termine. Tutti esempi, quelli sopra citati, che riportano la discussione su un tema già accennato parlando dei lavoratori part-time: la discriminazione tra lavoratori.
VECCHIE E NUOVE DISCRIMINAZIONI
Un aspetto delicato, infatti, è quello di una possibile discriminazione della quale, in questo paese, pare ci si occupi e preoccupi solo quando riguarda determinate categorie ma che viene ignorata quando si parla di tutti gli altri lavoratori. Più sopra abbiamo riportato l’inspiegabile e ingiustificata parificazione del periodo di prova tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale. Poi tra gli stessi lavoratori part-time. Infine, dell’inspiegabile differenziazione tra lavoratori di pari livello (per esempio gli operai dell’industria edile) sulla base della tipologia del contratto di assunzione, determinato o indeterminato. Ma, e lo vedremo tra poco, non mancano anche discriminazioni tra lavoratori di differenti livelli. Parliamo di diritto al lavoro, costituzionalmente riconosciuto, che non significa diritto al posto di lavoro ma pari opportunità nell’accesso al mondo del lavoro, che non può essere stabilita in misura diversa tra i cittadini. E il periodo di prova è uno dei mezzi che garantiscono questo diritto. Vedere che la durata del patto di prova prevista dai Ccnl (periodo che secondo gli stessi consente alle due parti di valutare la convenienza del rapporto) è, per legge dello Stato, pienamente usufruibile solo dai lavoratori a tempo indeterminato e invece in misura ridotta da chi è a termine, non è una cosa accettabile dato che la direttiva UE n. 2019/1152 si fonda su due indissolubili principi: parità di trattamento e divieto di discriminazione. 3 Prendiamo ad esempio il contratto Metalmeccanici industria dove un lavoratore assunto a tempo indeterminato di livello D/1 può avere una prova di 1 mese e mezzo; un livello B/2 di ben 6 mesi. Oggi, con la commentata novella legislativa, un contratto a termine di 12 mesi (365 giorni) per l’assunzione di un quadro non solo avrebbe una durata massima di 24 giorni, ma avrebbe lo stesso periodo di prova di un addetto alle pulizie. Ma non si dice al primo periodo – mai modificato – dello stesso articolo 7 del D.lgs. n. 104/2022 nonché nella direttiva UE n. 2019/1152 che il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego?
CONSIDERAZIONI FINALI
Tutte le problematiche sopra descritte ci confermano come la disciplina dei contratti a termine, e le sue continue modifiche, non sia un fatto tecnico ma essenzialmente una questione di equilibri politici dove emerge chiaramente l’opposizione ideologica di una certa parte sociale al contratto a tempo determinato. Ma considerate le contraddizioni e le discriminazioni sopra evidenziate non possiamo non esprimere la nostra preoccupazione per i possibili, futuri contenziosi. E state certi che a Berlino un giudice prima o poi lo si trova.
1. A. Borella, Il patto di prova del Decreto Trasparenza: superare le disparità di trattamento e le discriminazioni in questa Rivista, settembre 2022, pag. 39.
2. A. Borella, Le discriminazioni contrattuali nell’accesso al tempo parziale in questa Rivista, agosto 2022, pag. 47.
3. A. Borella – Il patto di prova del Decreto Trasparenza: irrisolte le vecchie criticità – ne La circolare di lavoro e previdenza n. 35 del 7 settembre 2022, Euroconference.