Giusto un paio di mesi fa, proprio su questa rivista, avevamo aspramente criticato il nuovo Testo Unico del Ccnl Sportivi, denunciandone le troppe carenze in merito sia all’attenzione al dettaglio che al rispetto rigoroso della terminologia giuslavoristica, oltre che all’assenza di una logicità, razionalità e equità tipica e propria (in teoria) delle leggi1. A distanza di un paio di mesi ci tocca tornare sulla questione, purtroppo in riferimento ad un rinnovo contrattuale che ci riguarda da vicino, il Ccnl per i lavoratori degli Studi Professionali e delle strutture che svolgono attività professionali, ipotesi sottoscritta il 16 febbraio 2024 da Confprofessioni e da Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs.
IL NUOVO ACCORDO
In questo contributo ci soffermeremo sugli aspetti più significativi, quelli che creano più incertezze a noi operatori. Non parleremo invece delle cose che non ci piacciono dato che rientrano nella normale dialettica tra le parti del do ut des.
Art. 102 – Permessi e congedi retribuiti
L’accordo prevede che siano concessi a tutti i dipendenti del Settore permessi e/o congedi familiari retribuiti, tra cui: b. Giorni 3 (tre) lavorativi per natalità e giorni 3 lavorativi per lutti famigliari fino al terzo grado di parentela e per gli affini. Non vedete nulla di strano? Ve lo dico io cosa c’è. Anzi, ve ne dico due. Per prima cosa la norma non dice se i tre giorni di permesso sono riconosciuti per ogni evento o se rappresentano un limite massimo annuale. E non mi si venga a dire che è implicito che siano all’anno dato che la norma originaria da cui scaturiscono i permessi per lutto, la legge n. 53/2000, li prevedeva in relazione all’anno. Siamo professionisti e certi voli pindarici li lasciamo fare agli altri. Noi vogliamo, pretendiamo chiarezza. Anche perché il rischio che il lavoratore li richieda ogni volta aprendo un contenzioso è alto e la probabilità che qualche giudice gli dia pure ragione ancora di più. La seconda cosa è che la norma riporta tale diritto per eventi riguardanti soggetti fino al terzo grado di parentela e per gli affini. Dove stanno i dubbi? Per prima cosa il grado di parentela è direttamente associato all’evento lutto, anche se verosimilmente la cosa riguarda anche l’evento nascita. Ma il problema grosso è che il terzo grado è specificatamente riferito alla relazione di parentela. Gli affini, letteralmente, sono invece tutti, senza limiti di grado. Ovvio che non crediamo affatto che fosse questo l’intento dei firmatari dell’accordo; il problema è che in caso di contenzioso non scommetterei che il giudice la penserà allo stesso modo mio.
Art. 119 – Obblighi del lavoratore (malattia)
Richiamato l’onere in capo al lavoratore dello scrupoloso rispetto delle prescrizioni mediche inerenti la permanenza presso il proprio domicilio (come venirne a conoscenza non è dato sapere), il testo contrattuale prevede altresì che ove costui non rispetti le c.d. fasce orarie di reperibilità, allo stesso – già soggetto alle sanzioni previste dalla Legge n. 638/1983 – è imposto l’obbligo dell’immediato rientro nella sede di lavoro. In caso di mancato rientro, l’assenza sarà considerata ingiustificata, con le conseguenze previste all’art. 108 comma 3 del presente Contratto. Ora, che senso ha stabilire l’obbligo di immediato rientro nella sede di lavoro di un lavoratore che continua, fino a prova contraria, non solo ad essere ammalato ma soprattutto risulta in possesso di una valutazione medica che, a prescindere dalle fasce di reperibilità, gli impone di non uscire di casa onde non aggravare il suo precario stato di salute?
Art. 121 – Trattamento economico di malattia
L’accordo riconosce, nei casi di assenze documentate e dovute a patologie oncologiche di rilevante gravità, un periodo aggiuntivo di comporto di 90 giorni, in coda a quello “normale” di 180 giorni, a fronte del quale il datore di lavoro dovrà effettuare un’integrazione tale da raggiungere: – per il 7° e 8° mese: 100% della retribuzione, – per il 9° mese: 70% della retribuzione. Ora, i giorni sono 90, ma l’integrazione è per tre mesi. Da qui la domanda di come calcolare l’integrazione dovuta dal datore. Il 7° e 8° mese sono di calendario o sono da considerare di 30 giorni l’uno? E il 9° mese di quanti giorni è? Facciamo un esempio prendendo un lavoratore che ha concluso il periodo di comporto di 180 giorni il 30 giugno. Dal 1 luglio decorrono i 90 giorni di comporto aggiuntivo e quindi le possibili interpretazioni sono due: a) L’azienda integra al 100% i mesi di luglio e agosto, il 7° e 8° mese. Parliamo di 62 giorni da cui consegue che per settembre, il 9° mese, che l’azienda dovrà integrare al 70% solo i primi 28 giorni. b) L’azienda integra al 100% i primi 60 giorni, ovvero i 31 giorni di luglio e 29 di agosto. L’integrazione fino al 70% riguarderà quindi i due giorni finali di agosto e i primi 28 di settembre. Se il lavoratore si ammalasse il 5 luglio la faccenda si complica ulteriormente.
Art. 149 – Corresponsione del trattamento di fine rapporto
Si dispone che il trattamento di fine rapporto debba essere corrisposto all’atto della cessazione dal servizio nei tempi tecnici necessari alla elaborazione del tasso di rivalutazione Istat con questa precisazione: e comunque non oltre 30 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Ipotizziamo che un lavoratore cessi il 1 agosto. I 30 giorni scadono il 31 agosto ma non avendo ancora elaborate a tale data le buste paga di agosto ciò obbligherà l’azienda al riconoscimento al lavoratore di un interesse del 2% (due per cento) superiore al tasso ufficiale di sconto sul Tfr erogato nell’ultimo cedolino paga. A meno che il datore, in presenza di importi corposi di Tfr, eroghi una sua anticipazione, riducendo così l’importo da dare a saldo sul quale sarebbero dovuti gli interessi, sperando così di dissuadere il lavoratore da azioni risarcitorie. Comunque sia la disposizione comporta onerosi adempimenti e conteggi a carico del datore o del suo consulente che, ovviamente, sentitamente ringraziano.
Art. 151 – Dimissioni
Con questo articolo si prevede che: Le dimissioni devono essere rassegnate in ogni caso per iscritto con lettera raccomandata A/R, Pec o altro mezzo idoneo a certificare la data di ricevimento e con rispetto dei termini di preavviso stabiliti dal precedente art. 146. Si tratta di una superficialità imperdonabile (non un refuso visto che il testo del precedente accordo del 2015 era in parte diverso non citando la Pec) soprattutto considerando che al comma successivo ci si ricorda dell’esistenza delle dimissioni con modalità telematiche. Tutto ciò denota la scarsa attenzione (ormai ricorrente) che le parti prestano alla rilettura degli accordi raggiunti. Cosa che trova puntuale conferma anche leggendo l’Art. 144 – Comunicazione del recesso dove si dice che:
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato dando preavviso scritto a mezzo di lettera raccomandata A/R con ricevuta di ritorno, Pec o consegna a mano con ricevuta o con le modalità previste dalla normativa vigente. Che dire? Semplicemente imbarazzante.
Art. 140 – Minimi tabellari
Abbiamo lasciato per ultimo questo articolo che fissa l’importo dell’Una Tantum da riconoscere ai lavoratori quale compensazione a copertura del periodo intercorso tra la scadenza del C.C.N.L. avvenuta il 31.3.2018 e la sottoscrizione del presente rinnovo. L’importo, si dice, è stabilito in 400 euro totali da erogarsi in due tranches, ovvero: – 200 euro 1.5.2024; – 200 euro 1.5.2025. Fino ad oggi i vari Ccnl hanno usato la formula della erogazione dell’Una tantum “con la retribuzione del mese di …”. Noi no. Noi siamo diversi, siamo più bravi. Ci piaceva l’idea stabilire il giorno esatto, il 1° del mese, termine il cui rigoroso rispetto ci crea grosse difficoltà. Erogare (il testo riporta proprio questo termine) un importo il giorno 1° maggio esclude la possibilità di inserire questo emolumento nel cedolino di maggio che paghiamo i primi di giugno. E nemmeno ad aprile dato che quelle retribuzioni le pagheremo di norma nella prima decade di maggio. Dovremmo inserirlo a marzo 2024 per esser certi di rispettare integralmente il contratto collettivo (ricordiamoci sempre del famigerato comma 1175 che impone, al fine di usufruire dei benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale, il rispetto integrale degli accordi e contratti collettivi). Basta così o c’è ancora qualcosa? Certo che ne abbiamo, che pensavate? Sorvoliamo per il momento sul comma 3 che prevede che L’importo sopra indicato può essere erogato attraverso gli strumenti di welfare previsti dalla normativa vigente, disposizione sulla quale temo che l’Agenzia delle Entrate avrà qualcosa da ridire. Guardiamo invece il comma successivo. Gli importi saranno riparametrati sulla base dei mesi di anzianità di servizio lavorati nel periodo 1.4.2018 – 1.3.2024 seguendo le previsioni dell’art. 130 del presente C.C.N.L. (considerando come mese intero le frazioni di mese superiori o uguali a 15 giorni). Premesso che i nuovi minimi tabellari sono entrati in vigore dal 1° marzo 2024, il periodo di riparametrazione degli arretrati, per chi non lo avesse notato, è indicato dal 1° aprile 2018 al 1° marzo 2024, per un totale di 71 mesi e un giorno. Un giorno, il 1° marzo 2024, per il quale già sono vigenti i nuovi minimi contrattuali e per il quale – ça va sans dire – non occorre erogare alcuna somma a “copertura”. Per un attimo mi son venuti alla mente alcuni contratti di locazione redatti direttamente (e maldestramente) da alcuni clienti, l’ultimo visto proprio alcuni giorni fa ove si diceva che la durata è di anni 4, dal 01 aprile 2024 al 01 aprile 2028.
UN GIUDIZIO, AHIMÈ, NEGATIVO
Anche il rinnovo del Ccnl Studi conferma la mia opinione di come il legislatore sbagli a fare riferimento ai contratti collettivi stipulati da associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale quale punto di riferimento per una serie di normative: minimali contributivi, DURC, benefici contributivi, deroghe ad alcune disposizioni di legge. Ormai ho perso ogni speranza di trovare un accordo collettivo scritto come si deve visto che non ci sono riusciti nemmeno i “professionisti della terminologia”: Avvocati, Notai, Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, Revisori Contabili e, ahimè, anche noi Consulenti del Lavoro. Quegli stessi professionisti che sulla stampa specializzata denunciano la mancanza di rigore giuridico delle norme che si trovano ad applicare ma spesso pure la scarsa chiarezza dei vari contratti collettivi. Qualcuno potrebbe parlare di karma.