IL LAVORO INTERMITTENTE: dalla tabella mummificata a una svolta operativa
Andrea Asnaghi e Marco Cucci , Consulente del Lavoro in Paderno Dugnano (Mi) e Consulente del Lavoro in Milano
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E non è necessario perdersi “ in astruse strategie, tu lo sai, può ancora vincere chi ha il coraggio delle idee. (R. Zero, “Il coraggio delle idee”)
Nell’Aprile di quest’anno il Legislatore ha deciso di operare un importante snellimento normativo: con la Legge n. 56 del 7 aprile 2025 “Collegato Lavoro” ha definitivamente abrogato moltissimi atti normativi promulgati in epoca prerepubblicana, dal 1861 al 1946, ormai obsoleti ma rimasti (almeno parzialmente) in vigore fino a ora. Da questo pensionamento forzato è stata risparmiata la Tabella allegata al Regio Decreto n. 2657 del 6 dicembre 1923, che con i suoi 102 anni è ad oggi uno degli atti normativi (rectius, dei riferimenti operativi) più vetusti ancora vigenti nel nostro ordinamento. Com’è noto, la Tabella sopra citata consiste in un elenco di mansioni lavorative per le quali era (ed è tutt’ora) possibile ricorrere a una tipologia di lavoro di tipo discontinuo che disapplicasse le norme sul normale orario di lavoro indicate nel Regio Decreto Legge n. 692 del 15 marzo 1923 (Primo testo di legge del nostro ordinamento sull’argomento). Da quel lontano 1923 è passata tanta acqua sotto i ponti, ma la Tabella era sempre lì. Nei primi anni Duemila il Decreto legislativo n. 66/2003, con una visione straordinariamente pratica e una chiarezza rara per il nostro ordinamento, raccolse le fila del discorso sull’orario di lavoro mandando definitivamente in pensione il vetusto R.D.L. N. 692/1923… Ma la nostra Tabella resisteva stoicamente, superando indenne anche la crisi del 2008 e la rivoluzione del Jobs Act del 2015, venendo addirittura ripresa nel 2019 dalla sentenza n. 29243 della Corte di Cassazione, che ne ribadì l’importanza come elemento chiave per decidere la non ammissibilità di clausole nei CCNL che impedissero il ricorso al lavoro intermittente. Decisione peraltro ripresa anche dalla Circolare n.1/2021 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che si riferisce alla Tabella Allegata come fonte del “requisito oggettivo”, necessario per il ricorso al lavoro intermittente. In 102 anni il Diritto del lavoro si è evoluto enormemente, ma le voci della Tabella sono rimaste cristallizzate nel tempo; pur essendo oramai un reperto storico desueto nessuno si prese la briga di restaurarla o aggiornarla: tutti a dire che “temporaneamente” si doveva usare quella (la Legge Biagi, il Job Act), tutti a confortarci sul fatto che il Ministero del lavoro avrebbe emanato una nuova tabella, ma dal 2003 (anno in cui nacque il lavoro intermittente) saranno cambiati almeno una decina di ministri e di esecutivi senza battere colpo. E la Tabella subì l’inevitabile obsolescenza del tempo. Infatti, di alcune delle 46 professioni elencate nella tabella non si ha più notizia: dal cavallante al fuochista ferroviario, la tabella è diventata come una di quelle vecchie cartoline sbiadite che raccontano il passato. Romantica, se volete, ma poco utile. Infatti, in mancanza di un aggiornamento, viene precluso il ricorso all’intermittenza a molte professioni nate più di recente: solo per fare alcuni esempi, promoter o merchandiser, agronomi, ingegneri ambientali, softwaristi o addetti all’AI, o ancora i rider, l’elenco sarebbe sterminato. Già sentiamo la vostra obiezione: dove la mettiamo la possibilità di previsione della contrattazione collettiva? Ma anche lì la cosa non sembra facile, talvolta anche la mentalità di certa contrattazione collettiva sembra mummificata al pari della tabella, legata a vecchi schemi, pregiudizialmente ostica al contratto intermittente, madre di ogni precariato (ricordate, per fare un paragone, la battaglia sui voucher?). Pensate che il Ministero prima (vedi interpello n. 10/2016,) e la Cassazione poi (Sent. n. 29423/2019) hanno dovuto sancire qualcosa che era già scritto a chiare lettere, e cioè che la contrattazione collettiva non poteva vietare il ricorso al lavoro intermittente per le c.d. ipotesi soggettive (età fino a 24 anni e over 55 anni), possibilità prevista “in ogni caso” dalla legge. Intendiamoci, il contratto intermittente è effettivamente un contratto precario (e di questo terremo conto nella nostra proposta), è esempio emblematico di quella gig economy (letteralmente: economia dei lavoretti) tanto deprecata. D’altra parte i lavoretti esistono e sono una quota sempre più caratterizzante per alcune professioni o settori: nel dubbio, regolarli è meglio che demonizzarli, perché altrimenti lasceremmo spazio a praterie incontrollate ben più pericolose (lavoro nero, ritenuta d’acconto, finte esternalizzazioni e via discorrendo). Come ridare linfa in maniera efficace a questa fattispecie senza sprofondare in un uso incontrollato? Certo si potrebbe pensare di impegnarsi e produrre una nuova tabella aggiornata che, depennando una serie di professioni ormai antiquate, ne individuasse altre al passo coi tempi. Ma a parte lo storico immobilismo sopra citato (che perdura sino ad oggi) che non farebbe ben sperare in una soluzione a breve, la cosa più evidente è la velocità con cui si evolve il mondo del lavoro, rapidità tale da vanificare qualsiasi sforzo legislativo: ogni legge nasce vecchia e lo stesso varrebbe a maggior ragione per l’eventuale nuova Tabella, che richiederebbe continui aggiornamenti per essere mantenuta affidabile. Una soluzione più efficiente ed efficace potrebbe prevedere una nuova Legge che mantenga il requisito soggettivo dell’età ed elimini quello oggettivo ex lege, abrogando definitivamente la “Tabella highlander” e demandando ai Contratti Collettivi, nazionali ma anche di secondo livello, la possibilità di definire per quali attività sia possibile ricorrere al lavoro intermittente. Tuttavia, i legislatori succedutesi nel corso degli ultimi 22 anni avevano individuato nella tabella un possibile argine alla deriva di CCNL osteggianti in maniera totale la fattispecie: una sua eliminazione lascerebbe la fattispecie in loro balìa. Vi è anche da considerare, in ogni caso, che rispetto ad altre regolazioni dei lavoretti, il contratto intermittente prevede il versamento della contribuzione regolare ed è un contratto subordinato a tutti gli effetti. Non bisogna nemmeno dimenticare poi la svolta del D.lgs. n. 104/2022 sulla materia (prevendo forme di informazione, di contrattualizzazione e di gestione del contratto in maniera più puntuale e garantista – anche in ordine alla facoltà di comunicazione della revoca della chiamata), così come la facoltà del lavoratore, certo applicabile anche al lavoro intermittente, di poter richiedere di essere adibito a contratti dotati di maggiore stabilità. A dare maggiore possibilità di esercizio, una svolta positiva riteniamo potrebbe essere data dalla possibilità di ricorrere, nei casi non previsti dalla contrattazione o nel silenzio di essa, alla Certificazione dei contratti ex D.lgs. n. 276/2003 per certificare la volontà delle parti di stipulare contratti a chiamata in aggiunta ai due requisiti: quello soggettivo ex lege e quello oggettivo derivante da contrattazione collettiva; ricordiamo a questo proposito la scarsa aderenza e praticabilità della contrattazione di secondo livello nelle PMI, che rappresentano oltre il 90 % del tessuto produttivo italiano. A fronte di questa maggiore liberalizzazione dell’istituto (peraltro controllata dalla certificazione di un contratto) si potrebbe inserire un limite quantitativo legato alla dimensione aziendale, come quello dei contratti a tempo determinato, salvo diversa determinazione della contrattazione collettiva: ad esempio un numero di contratti a chiamata per azienda non superiore al 20% dell’organico con una possibilità di assumerne in ogni caso fino a 3. Ancora, sarebbe opportuno rimodulare il limite di giornate lavorabili a chiamata riducendo il periodo da prendere in considerazione: al posto di 400 giornate in un triennio si potrebbe ragionare su base annuale o semestrale, rispettivamente con un numero di giornate lavorabili in un anno mobile tra 120 e 140 o 60-70 giorni in un semestre mobile; lo scopo sarebbe quello di rendere più evidente la reale esigenza di intermittenza e facilitare i controlli. Un altro strumento di semplificazione, soprattutto per i professionisti che effettuano le chiamate per i loro clienti, sarebbe accorpare in SIUL COB il servizio già attivo su Cliclavoro, eliminando la necessità di una doppia delega per operare. La filosofia che sta dietro a queste proposte è che la flessibilità vada regolata e non demonizzata, certo intercettando eventuali abusi o derive con tutta l’esperienza degli operatori (derivata anche dall’osservazione di quanto accade) ma lasciando il corretto spazio di esercizio ad una fattispecie che, volente o nolente, assorbe una discreta parte di attuali occupazioni minori, che oggi sono spesso lasciate in balia delle peggiori “sistemazioni”.