PREMESSA
Che il diritto del lavoro sia caratterizzato da una notevole frammentazione delle fonti è cosa nota1; altrettanto nota, d’altra parte, è l’attenzione riposta dal Legislatore negli ultimi tempi nei confronti del lavoro reso (nelle sue diverse forme) all’interno del terzo settore2. Al contrario, ciò che risulta assai meno conosciuta è l’incidenza delle norme del terzo settore sulla generalità dei rapporti di lavoro subordinato; incidenza che, una volta ancora, conferma le complessità insite nella gestione e amministrazione del personale dipendente. Il terzo settore, più approfonditamente, è stato di recente oggetto di una riforma sostanziale, il cosiddetto “Social act” 3, volta a meglio regolamentare un ambito di fondamentale importanza per la Repubblica, così come sancito dalla nostra Costituzione4.
La portata di tale intervento normativo, voluto da un Legislatore consapevole dell’“importanza del privato sociale per l’economia del Paese”5, benché come evidente mirato alla regolamentazione del terzo settore, è risultata però, soprattutto per taluni aspetti, dalle conseguenze generalizzate e non esclusivamente riconducibili a tale specifico ambito. Più precisamente, il “Social act”, consegnando delle prescrizioni volte in particolar modo a regolare il terzo settore, risulta impattare al contempo sulla prestazione di lavoro in genere, e non esclusivamente su quelle rese nel territorio solidaristico, rendendosi pertanto necessario, per il Professionista od operatore del settore, se non anche per il datore di lavoro, conoscere l’incidenza (e l’esistenza) di tali disposizioni normative.
IL DIRITTO DEL LAVORATORE DI CONCORRERE AL BENE COMUNE
Per quanto di interesse, ai fini del presente contributo, si presti attenzione, in particolare, a quanto stabilito dall’art. 17, comma 6-bis, del D.lgs. n. 117/2017, “Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della Legge 6 giugno 2016, 106”; articolo frutto, peraltro, di un successivo intervento correttivo prodotto dal Legislatore, ossia l’art. 5 del D.lgs. n. 105/2018.
Ivi si dispone che “I lavoratori subordinati che intendano svolgere attività di volontariato in un ente del Terzo settore hanno diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale”, riproponendo, in buona sostanza, quanto disciplinato in precedenza dall’art. 17 della L. n. 266/1991 (la “Legge-quadro sul volontariato”, oramai abrogata ad opera del nuovo Codice del Terzo Settore). A ben osservare, il diritto assegnato al lavoratore che intende partecipare alle attività di volontariato risulta da meglio indagare. È evidente, infatti, come la disposizione sopra vista attribuisca un importante diritto, sebbene astratto, in quanto condizionato a un (non meglio chiarito) corretto funzionamento dell’attività (verbatim “organizzazione”) aziendale. Orbene, se in taluni casi è il Ccnl che corre in soccorso allo scopo di meglio perimetrare il concetto di corretto espletamento dell’attività aziendale, oppure che consegna delle disposizioni ad hoc in tema di volontariato6, in altri, ossia in assenza di una precipua indicazione ad opera della contrattazione collettiva generalista, risulta necessario utilizzare diversi escamotage per rispondere al medesimo fine.
A tal proposito, prendendo in prestito alcuni utili concetti consegnati dalla giurisprudenza su problematiche differenti (invero analoghe per taluni aspetti), si consideri che:
-Il Consiglio di Stato con la Sentenza della V sezione del 7 aprile 2023, n. 3628, in tema di clausola sociale in materia di appalti, nell’esprimersi sulla problematica contemperazione tra la libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione e la tutela del lavoro e dell’occupazione, tra le molti fonti sancita dall’art. 35 della Costituzione, ricorda che “l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali […] va contemperato con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi”;
-Il Tribunale di Grosseto, con ordinanza n. 203/2020, in tema di smartworking, a cui il D.l. n. 18/2020 dava diritto con priorità, per quei lavoratori “del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa”, sancì come: “Non si intende qui certo sostenere che vi sia un generalizzata previsione normativa cogente, ma semplicemente che, accertata la sussistenza delle condizioni per ricorrere al lavoro agile, il datore di lavoro non può agire in maniera irragionevolmente o immotivatamente discriminatoria nei confronti di questo o quel lavoratore […]”; dovendosi ad ogni modo chiarire che deve rimanere “impregiudicata ogni riserva di valutazione nel merito connessa al legittimo esercizio del potere di iniziativa imprenditoriale costituzionalmente garantito”.
Tali principi, e in particolar modo quelli che discendono dall’art. 41 della Costituzione, risultano senz’altro applicabili al caso in analisi, poiché indispensabili al fine di chiarire il reale significato e potere di questo vago diritto condizionato al corretto fluire dell’attività aziendale. D’altra parte, preso atto di questo importante diritto assegnato, al fine di non cadere in complicate dispute con i lavoratori, peraltro tenuto conto del potenzialmente sovraordinato principio dettato dall’art. 2 Cost.7, potrebbe risultare opportuno inserire (o addirittura prevedere, appositamente), tramite regolamento o contrattazione di secondo livello, una più approfondita spiegazione del corretto e normale funzionamento dell’organizzazione aziendale. In questo senso, appare utile la consultazione empirica di alcune esperienze pregresse, da cui reperire concetti e idee spendibili a tale scopo. Ed allora, a titolo esemplificativo, tramite regolamento o contrattazione si potrebbe stabilire che il diritto in oggetto è concesso “compatibilmente con le esigenze organizzative che riscontrano nei weekend dei picchi di operatività dei negozi” oppure che l’autorizzazione a beneficiarne “non potrà essere negata se non per una ragione organizzativa costituita dalla necessità di garantire il normale andamento dell’attività produttiva”8. Ulteriormente, la concessione del diritto potrebbe essere condizionata al “mantenere e incrementare i livelli di efficienza”9 aziendali, ed anche alla preservazione dei livelli di “efficacia e di funzionalità”10 dell’intero apparato, se non anche al loro miglioramento11, eventualmente facendo riferimento alla necessità di un’invalicabile “programmazione a medio e lungo tempo”12, “al fine di garantire l’operatività dei servizi”13.
Quanto sopra, in buona sostanza, potrà tornare utile al fine di contrapporre delle certezze, predeterminate “nero su bianco” tramite regolamento o contrattazione, a quelle “vaghe, quanto poco plausibili, difficoltà di carattere organizzativo ed ai conseguenti costi”, talvolta mal-utilizzate ex post dal datore di lavoro come giustificazione, le quali risultano pericolosamente catalogabili in sede giudiziale come “motivazioni, legate a costi e difficoltà, che […] appaiono pretestuose ed incomprensibili”14.
CONCLUSIONI
Il sottile e delicato bilanciamento degli interessi in gioco – ovvero il diritto del lavoratore di concorrere al bene comune contrapposto al (sacrosanto) diritto del datore di lavoro di organizzare e mantenere efficiente l’attività aziendale15 – richiede particolari attenzioni da parte dei Professionisti, datori e/o operatori. In passato si è affermato, e a ben vedere più che giustificatamente16, come “la solidarietà giuridica non gode di sufficienti risorse”17 e che “Le stesse cosiddette azioni positive finalizzate a realizzare obiettivi di solidarietà presentano il limite della contingenza e della rapsodicità”18, condizioni queste che hanno richiesto un intervento normativo di natura rimediale; tuttavia oggi, al cospetto dell’importante riforma operata dal “Social act”, che certamente si basa su eccellenti propositi, non pare errato interrogarsi sui rischi connessi alla vaghezza di alcune disposizioni normative ivi contenute, le quali indubbiamente hanno il potere di minare i delicati equilibri del rapporto di lavoro subordinato. A fronte di questo, in attesa di migliori delucidazioni individuate ex lege, non pare errato, come fatto in questa sede, suggerire al datore di lavoro – ma anche ai Professionisti del settore – di muoversi preventivamente, ricorrendo alle valide e potenti strumentazioni ad oggi utilizzabili.