Il 14 luglio 2018 è entrato in vigore il cd. Decreto Dignità1 che è intervenuto in materia di contratti a termine e di somministrazione a termine oltre ad aver introdotto norme sulla lotta alla ludopatia e di contrasto alla delocalizzazione. Inoltre sono state varate anche norme di carattere fiscale che interessano professionisti e imprese. In questo intervento commento esclusivamente le norme sul contratto a termine e sulla somministrazione che hanno letteralmente penalizzato l’uso dei due contratti al punto da ritenere che nei prossimi 10 anni si perderanno complessivamente 80.000 posti di lavoro (8.000 posti l’anno). Su questo argomento è in atto una disputa tra il Governo e l’Inps sulla veridicità di tali dati (un po’ quello che era successo all’epoca della Legge Fornero e sulla drammatica questione degli “esodati”). Ma dalle stime fatte dagli economisti sono circa 57.000 posti di lavoro al mese (684.000 all’anno) che si perderanno con il mancato sistema dei contratti a termine liberi. Sta di fatto che scoraggiare l’assunzione a termine (come di fatto sta avvenendo) non produce un automatico incoraggiamento di assunzioni a tempo indeterminato. Di fatto diminuirà sicuramente la precarietà di lunga durata ma aumenterà molto la precarietà di breve durata. Un vero successo!!!
Il decreto in commento, se non sarà modificato, rischia di ottenere esattamente l’effetto contrario a quello che si proponeva e cioè quello di ridurre la precarietà. Di fatto, le aziende hanno bloccato tute le assunzioni a termini e il ricorso al lavoro somministrato.
Si darà un accenno anche alla modifica in materia sanzionatoria a seguito di licenziamento illegittimo nel caso delle tutele crescenti.
Ma analizziamo in dettaglio le nuove norme, o meglio le modifiche introdotte dal legislatore, riportando le prime riflessioni e considerazioni.
Si può apporre un termine al contratto di lavoro senza alcuna motivazione solo al PRIMO contratto e sempre che abbia una durata non superiore a 12 mesi.
Se il primo contratto acausale avesse una durata inferiore può essere PROROGATO senza motivazione fino ad un massimo di 12 mesi. Se invece si volesse stipulare un NUOVO contratto a termine con lo stesso lavoratore (cd. stop and go) ogni nuovo contratto deve avere una specifica motivazione.
Se, invece, il primo contratto a termine inferiore a 12 mesi fosse stato stipulato con la causale, anche sui contratti successivi sarà sempre necessaria la causale.
Comunque, tra proroghe e rinnovi (vedi oltre), non è possibile eccedere la durata massima complessiva di 24 mesi nell’arco della vita del lavoratore.
Si ricorda che, fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i ventiquattro mesi. Ai fini del computo di tale periodo si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei ventiquattro mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.
Resta comunque ferma la possibilità di un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi, che può essere stipulato presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente per territorio. In caso di mancato rispetto della descritta procedura, nonché di superamento del termine stabilito nel medesimo contratto, lo stesso si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione.
Può essere apposto un termine al contratto avente una durata superiore a dodici mesi o comunque dopo il primo rinnovo (entro i limiti di 24 mesi complessivi), solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori;
b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Su queste condizioni molto potremmo dire; ci limitiamo solo a osservare che il giudizio finale sulla legittimità delle condizioni apposte spetterà al giudice e che l’incertezza, fino al giudicato definitivo, regnerà sovrana.
Non ci sono limiti ai rinnovi purché si rispettino gli intervalli di tempo previsti dal cd. stop and go (10 o 20 giorni a seconda che il precedente contratto abbia avuto una durata rispettivamente inferiore o superiore a sei mesi). Ovviamente dopo il primo contratto, causale o acausale, è necessario motivare il contratto.
Per quanto riguarda le proroghe il nuovo decreto le ha ridotte a quattro (cinque in precedenza) dalla data di entrata in vigore del decreto (14 luglio) indipendentemente dal numero dei contratti stipulati.
Termini di impugnazione
Il termine per l’impugnazione è passato a 180 giorni (120 in precedenza) dalla cessazione del singolo contratto.
Nel caso di stipula di un contratto a termine, la legge aveva previsto una contribuzione addizionale pari all’1,40% della retribuzione lorda (imponibile previdenziale). Ora il decreto ha stabilito che il contributo addizionale viene aumentato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo (e non proroga) del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.
Si ricorda che il contributo addizionale non si applica: a) ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti; b) ai lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali; c) agli apprendisti; d) ai lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
In caso di assunzione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina del contratto a termine, con esclusione delle disposizioni riguardanti il numero complessivo dei contratti a tempo stipulabili (art. 23, D.lgs. n. 81/2015) e il diritto di precedenza (art. 24 del medesimo Decreto legislativo). Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore.
Questo significa che anche ai contratti di somministrazione si applica la normativa:
del prolungamento (30 o 50 giorni con pagamento della maggiorazione del 20 o 40% per i giorni rispettivamente fino e oltre al 10°).
La stranezza del Decreto è che si è intervenuti esclusivamente sul contratto di lavoro tra somministratore e somministrato e non sul contratto commerciale tra somministratore e utilizzatore. È come se le motivazioni di assunzioni dovessero riguardare il somministratore e non l’utilizzatore. Insomma un vero pasticcio. E sicuramente, con questa norma, sarà quasi impossibile ricorrere alla somministrazione senza incappare in inconvenienti. Le aziende non hanno assolutamente necessità di aumentare i rischi a loro carico.
Andrà chiarito se il limite dei 24 mesi è da conteggiare in capo all’Agenzia di Somministrazione (indipendentemente da quanti siano gli utilizzatori) o in capo all’utilizzatore singolo (ipotesi, quest’ultima, più veritiera). Va ricordato che, sia che si assuma direttamente il lavoratore o che lo si assuma tramite Agenzia di somministrazione, il totale dei 24 mesi (o maggior periodi previsto dai Ccnl) resta insuperabile.
Il decreto stabilisce che la nuova normativa si applica ai contratti STIPULATI dopo l’entrata in vigore del decreto stesso e quindi dal 14 luglio in poi. Per stipula si intende il momento della sottoscrizione del contratto e non la decorrenza dello stesso. Pertanto, può verificarsi il caso in cui il contratto sia stato stipulato prima del 14 luglio ma la decorrenza sia successiva a tale data. In questo caso l’unico problema potrebbe essere quello della certezza della data di stipula. Se, ad esempio, si fosse inviata la COB prima del 14 luglio e ci fossero testimoni (diversi da chi in azienda abbia potere di firma) che attestino l’avvenuta sottoscrizione del contratto prima del 14 luglio, a quel contratto si applicherebbe la vecchia normativa, compreso la durata dei 36 mesi.
Il testo del Decreto non ha in alcun modo modificato l’impianto sanzionatorio stabilito dalla normativa previgente.
Il Decreto Legge ha semplicemente aumentato del 50% i tetti minimo e massimo previsti per i nuovi assunti (a decorrere dal 7 marzo 2015) da parte delle imprese con più di quindici dipendenti, stabilendo che, laddove il dipendente abbia diritto ad una tutela meramente indennitaria, questa non potrà essere inferiore a SEI mensilità (QUATTRO in precedenza) e superiore a TRENTASEI mensilità (VENTIQUATTRO in precedenza) restando invariate le due mensilità per anno di anzianità. In pratica, la misura minima non tiene affatto conto dell’anzianità di servizio mentre per raggiungere il massimo delle 36 mensilità saranno necessari 18 anni di servizio (12 anni in precedenza).
1 D.l. 12 luglio 2018, n. 87,