Il decalogo del preposto – IL PREPOSTO, UNA FIGURA DA RISCOPRIRE NEL MONDO DELLA SICUREZZA

Nina Catizone, Consulente del Lavoro in Torino

Il decalogo del preposto

IL PREPOSTO, UNA FIGURA DA RISCOPRIRE NEL MONDO DELLA SICUREZZA

Il nuovo Interpello della Commissione Interpelli n. 4 del 19 settembre 2024 è la palese dimostrazione che il preposto ha assunto un peso determinante nel mondo della sicurezza sul lavoro e, insieme, mette in luce che il preposto di oggi non è più il preposto di ieri. Basti pensare che ora il preposto ha persino l’obbligo di interruzione dell’attività del lavoratore “in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza”, nonché, se necessario, “in caso di rilevazione di deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e di ogni condizione di pericolo rilevata durante la vigilanza”. Non sorprende, quindi, che ultimamente Cass. Pen., 2 agosto 2024, n. 31657, cominci a richiamare l’attenzione sulla norma della L. n. 215/2021 che nel nuovo b-bis) dell’art. 18, comma 1, D.lgs. n. 81/2008 impone l’obbligo di nomina del preposto. Purtroppo, molteplici sono al riguardo gli equivoci che nelle imprese (e non solo nelle imprese) si stanno addensando sul preposto e diventa quindi pressante l’esigenza di fornire i necessari chiarimenti. Una sorta di decalogo del preposto.

1) A chi spetta nominare il preposto? Con chiarezza, il nuovo b-bis) dell’art. 18, comma 1, D.lgs. n. 81/2008 impone l’obbligo di nomina del preposto al datore di lavoro e ai dirigenti. Non a caso, si tratta di un obbligo sanzionato dall’art. 55, comma 5, lettera d), a carico vuoi del datore di lavoro, vuoi del dirigente. Sorge, peraltro, un problema. Supponiamo che il datore di lavoro abbia individuato un preposto sprovvisto dei requisiti formativi necessari. Ne risponde soltanto il datore di lavoro o anche il dirigente? La risposta è: anche il dirigente nel caso in cui il dirigente abbia omesso, non già ovviamente di sostituirsi al datore di lavoro, bensì di segnalare al datore di lavoro l’inadeguatezza dell’atto d’individuazione. E la medesima risposta, a parti inverse, vale, addirittura a maggior ragione, nell’ipotesi in cui l’inadeguata individuazione sia stata compiuta dal dirigente.

2) Il nuovo b-bis) dell’art. 18, comma 1, D. lgs. n. 81/2008 impone di individuare “il” o “i” preposti. L’uso alternativo del singolare e del plurale sembra ragionevolmente proporzionare il numero dei preposti alle caratteristiche dell’azienda, sia sotto il profilo inerente alle dimensioni e alla molteplicità delle sedi, sia sotto il profilo inerente alla specificità delle diverse lavorazioni svolte.

3) Eloquente è, d’altra parte, il comma 8-bis inserito dalla L. n. 215/2921 nell’art. 26, D.lgs. n. 81/2008, ove con indifferenziato riguardo ai datori di lavoro appaltatori e sub-appaltatori si stabilisce che “nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori devono indicare espressamente al datore di lavoro committente il personale che svolge la funzione di preposto”. Certo, accade che il datore di lavoro appaltatore si avvalga di un numero ridotto di lavoratori e non manca chi non esita a sostenere che in una simile ipotesi non sussisterebbe l’obbligo di indicare al datore di lavoro committente il preposto. Ma si tratta di una tesi che appare contrastante con il dettato onnicomprensivo della norma e che viene accolta dalla Commissione Interpelli nell’Interpello n. 4/2024: “In considerazione della peculiarità e dell’importanza del ruolo del preposto attribuita dalla normativa vigente, è da considerarsi sempre obbligatorio che i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori indichino al datore di lavoro committente il personale che svolge detta funzione e l’individuazione del preposto dev’essere effettuata tenendo in considerazione che tale ruolo debba essere rivestito solo dal personale che possa effettivamente adempiere alle funzioni e agli obblighi ad esso attribuiti, condizione che non sembra potersi rinvenire se il responsabile della commessa (ad es. il project manager), non si reca presso il luogo delle attività. Proprio in considerazione del ruolo, il legislatore, in alcuni casi, ha previsto che talune attività vengano eseguite solo sotto la diretta sorveglianza del preposto come, ad esempio, in materia di ponteggi”.

4) Irrinunciabile è che l’individuazione del preposto sia consacrata in un atto formale: un atto di cui occorre dar conto nel DVR [contenente, in base all’art. 28, comma 2, lett. b), D.lgs. n. 81/2008, “l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri], un atto che consenta al suo autore di dimostrarne il compimento, un atto che investa il destinatario di obblighi e responsabilità, un atto che il destinatario possa (e anzi debba) mettere in discussione, ad esempio nel caso in cui ritenga di non possedere i requisiti prescritti.

5)Il datore di lavoro può nominare sè stesso preposto? Nell’Interpello n. 4/2024, la Commissione Interpelli ribadisce quanto già aveva affermato nell’Interpello n. 5/2023 e cioè che “la coincidenza della figura del preposto con quella del datore di lavoro vada considerata solo come extrema ratio – a seguito dell’analisi e della valutazione dell’assetto aziendale, in considerazione della modesta complessità organizzativa dell’attività lavorativa – laddove il datore di lavoro sovraintenda direttamente a detta attività, esercitando i relativi poteri gerarchico-funzionali”. Sostiene, inoltre, che “non potendo un lavoratore essere il preposto di se stesso, nel caso di un’impresa con un solo lavoratore le funzioni di preposto saranno svolte necessariamente dal datore di lavoro”. Si tratta di tesi che origina perplessità, se non altro perché nella nuova lett. b-bis) per “preposto” s’intende necessariamente il soggetto così come definito dall’art. 2, comma 1, lett. e), D.lgs. n. 81/2008: una definizione che palesemente evoca caratteristiche estranee alla figura del datore di lavoro, a partire dai “limiti di poteri gerarchici e funzionali”. E va da sé che le sanzioni previste dall’art. 55, D. lgs. n. 81/2008 a carico del preposto non appaiono estensibili al datore di lavoro.

6) Il datore di lavoro e i dirigenti hanno la facoltà di esimersi dall’obbligo di individuazione dei preposti? Il datore di lavoro sì. Basta che eserciti la facoltà prevista dall’art. 16, D.lgs. n. 81/2008 di delegare ad altri l’obbligo di individuazione dei preposti, così come del resto l’obbligo di vigilanza sui lavoratori di cui agli artt. 18, commi 1, lettera f), e comma 3-bis. Ma ciò ovviamente nel rispetto dei requisiti di validità della delega previsti dall’art. 16, D.lgs. n. 81/2008. Dunque, il datore di lavoro ha la facoltà di delega. Ma non la possiedono i dirigenti. Per il semplice fatto che la facoltà di delega è attribuita dall’art. 16, D.lgs. n. 81/2008 esclusivamente al datore di lavoro, ma non al dirigente.

7) Abbiamo visto che, in forza della L. n. 215/2021, i compiti del preposto sono diventati ancor più onerosi. Non meraviglia allora che in più aziende -a partire da quelle pubbliche- si stia assistendo a un fenomeno di rifiuto da parte dei preposti individuati di svolgere questo incarico. Domanda: è ammissibile il rifiuto? Certo è che, ove non sia stato formato, il preposto non solo può, ma deve rifiutare l’incarico. Ma riteniamo che, in assenza di una motivazione plausibile, il preposto individuato non possa rifiutarsi, se non a rischio di perdere il lavoro.

8) La presenza di un preposto di fatto esime il datore di lavoro dall’obbligo di nominare il preposto? Oggi, con le nuove norme sui preposti, possiamo dire che, in caso di mancata individuazione del preposto da parte del datore di lavoro e dei dirigenti, nell’azienda manca il preposto? Non necessariamente. Perché il preposto individuato dal datore di lavoro e dai dirigenti è il preposto di diritto. Ma sappiamo che il D.lgs. n. 81/2008 prevede la figura del preposto di fatto (v. art. 299, D.lgs. n. 81/2008). E qui, però, un’avvertenza. Non basta certo la presenza di un preposto di fatto per esimere da responsabilità il datore di lavoro e il dirigente che non abbiano provveduto a individuare il preposto di diritto. In ogni caso, il preposto di fatto deve comunque essere formato in forza dell’art. 37, comma 7, D.lgs. n. 81/2008? Ecco la risposta data da Cass. Pen. 12 maggio 2022, n. 18839. Condannato per il reato di cui all’art. 37, comma 7, D.lgs. n. 81/2008, un datore di lavoro nega la nomina di un preposto di cui sarebbe stata omessa la formazione. Ma la Sez. III rileva che, a dire dell’imputato, “la mera assenza formale della nomina escluderebbe l’elemento oggettivo del reato, pur nello svolgimento di fatto delle funzioni”. Replica che “la mancanza di nomina formale (scritta con data certa) non è rilevante sulla formazione, in quanto quello che rileva è la ratio della norma che mira ad evitare la mancanza di formazione specifica per chi comunque esercita la funzione di preposto”, e che “le norme sono dirette a prevenire pericoli nell’espletamento delle mansioni, comunque svolte”.

9) In caso di omessa formazione del preposto, risponde solo il datore di lavoro, o anche lo stesso preposto? Un utile insegnamento si trae da Cass. Pen. 10 aprile 2017, n. 18090. Per un infortunio mortale occorso a un dipendente, il preposto, a sua discolpa, lamenta che “egli non aveva ricevuto alcuna adeguata formazione”. La Sez. IV replica che, “ove l’imputato non si fosse sentito preparato a svolgere tali funzioni, proprio perché non specificamente formato, non avrebbe dovuto assumerle”. Spiega che, “in tali casi, l’addebito di colpa consiste proprio nell’aver intrapreso un’attività che non si è in grado di svolgere adeguatamente, non avendo le conoscenze o le capacità necessarie (c.d. colpa per assunzione)”, che “l’esplicare le mansioni inerenti a un determinato ruolo, nel contesto dell’attività lavorativa, comporta la capacità di saper riconoscere ed affrontare i rischi e i problemi inerenti a quelle mansioni, secondo lo standard di diligenza, di capacità, di esperienza, di preparazione tecnica richiesto per il corretto svolgimento di quel determinato ruolo, con la correlativa assunzione di responsabilità” e che “chi, non essendo all’altezza del compito assunto, esplichi una certa funzione senza farsi carico di procurarsi tutti i dati tecnici e le conoscenze necessarie per esercitarla adeguatamente, nel caso in cui ne derivino dei danni, risponde di questi ultimi”.

10) L’art. 19, comma 1, lettera f), D.lgs. n. 81/2008 prevede l’obbligo del preposto di “frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’articolo 37”. E l’art. 37, nel nuovo comma 7 modificato dalla Legge n. 215/2021, dispone che -oltre ai dirigenti, nonché ora oltre al datore di lavoro- i preposti “ricevono un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, secondo quanto previsto dall’accordo di cui al comma 2, secondo periodo”, e il comma 2, secondo periodo, contempla l’adozione entro il 30 giugno 2022 di un Accordo Stato-Regioni destinato “all’accorpamento, alla rivisitazione e alla modifica degli accordi attuativi del presente decreto in materia di formazione”. Al comma 7-ter introdotto dalla stessa Legge n. 215/2021 nell’art. 37, D.lgs. n. 81/2008, si prevede che, “per assicurare l’adeguatezza e la specificità della formazione nonché l’aggiornamento periodico dei preposti ai sensi del comma 7, le relative attività formative devono essere svolte interamente con modalità in presenza e devono essere ripetute con cadenza almeno biennale e comunque ogni qualvolta sia reso necessario in ragione dell’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi”. Si pone un interrogativo: poiché a tutt’oggi l’Accordo Stato-Regioni promesso per il 30 giugno 2022 non è stato adottato, quale disciplina si applica alla formazione dei preposti? Non può certo attribuirsi alla Legge n. 215/2021 l’assurda volontà di creare nel frattempo un vuoto normativo ed è, quindi, ragionevole applicare in attesa di questo Accordo la disciplina già vigente, in tal guisa subordinando la sostituzione dell’art. 37, comma 7, alla sopravvenienza del nuovo Accordo Stato-Regioni non a caso esplicitamente richiamato mediante le parole “di cui al comma 2, secondo periodo”. Resta un dubbio a proposito del comma 7-ter: la norma ivi dettata circa la modalità in presenza e circa la cadenza almeno biennale delle ripetizioni si applica sin d’ora? Di per sé, il comma 7-ter non richiama esplicitamente l’Accordo Stato-Regioni, attuale e/o aggiornato. Solo che il comma 7-ter si propone di “assicurare l’adeguatezza e la specificità della formazione nonché l’aggiornamento periodico dei preposti ai sensi del comma 7”. E già abbiamo visto che questo comma 7 richiama ora “quanto previsto dall’accordo di cui al comma 2, secondo periodo”, e cioè, dall’accordo che doveva essere adottato entro il 30 giugno 2022. Ne consegue che l’immediata applicazione delle modalità indicate nel comma 7-bis sarebbe in contrasto con la lettera della legge e, segnatamente, con il riferimento del comma 7-bis al comma 7 e, tramite il comma 7, al comma 2, secondo periodo. Una conclusione, questa, recepita dalla circolare n. 1 del 16 febbraio 2022 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Una novità è stata introdotta dalla Legge 19 maggio 2022, n. 52 di conversione del D.l. 24 marzo 2022, n. 24, che ha inserito nel D.l. l’art. 9-bis, intitolato “Disciplina della formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sul lavoro”. Ove si dispone che, “nelle more dell’adozione dell’accordo di cui all’articolo 37, comma 2, secondo periodo, la formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sul lavoro può essere erogata sia con la modalità in presenza sia con la modalità a distanza, attraverso la metodologia della videoconferenza in modalità sincrona, tranne che per le attività formative per le quali siano previsti dalla legge e da accordi adottati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano un addestramento o una prova pratica, che devono svolgersi obbligatoriamente in presenza”.


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