Il presente contributo affronta una questione già più volte dibattuta nel corso degli ultimi anni, ma comunque sempre molto attuale: il cumulo delle qualità di amministratore di società e di dipendente della stessa.
La vicenda in esame riguarda, in particolare, il licenziamento di un soggetto che, dapprima nominato amministratore delegato e presidente del comitato di gestione della società, stipulava, poco tempo dopo, con la medesima società, un contratto di lavoro subordinato con la qualifica di dirigente.
Il dipendente, impugnando il licenziamento, lamentava l’insussistenza della giusta causa di recesso e chiedeva, oltre all’accertamento dell’inesistenza della predetta causa, la condanna del datore di lavoro al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e dell’indennità supplementare prevista dal Ccnl Dirigenti.
Il Giudice del Lavoro del Tribunale e la Corte d’Appello respingevano la domanda del dirigente non riconoscendo la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, in quanto il soggetto in questione non aveva dimostrato l’esistenza dei presupposti per la configurazione di tale tipo di rapporto.
La giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell’affermare, in linea di principio, che “il rapporto organico che lega il socio o l’amministratore ad una società di capitali non esclude la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato a contenuto dirigenziale tra il primo e la seconda” (Cass., n. 1283/1998; Cass. Civ., sez. Lavoro, 1 febbraio 2012, n. 1424) allorquando sia individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente-amministratore ad un potere disciplinare e direttivo esterno, sì che la qualifica di amministratore costituisca uno schermo per coprire un’attività configurabile, in realtà, nei termini di un normale lavoro subordinato (Cass. Civ., sez. Lavoro, 14 gennaio 2000, n. 381; Cass. Civ., sez. Lavoro, 12 gennaio 2002, n. 329).
I giudici di merito, inoltre, rimarcavano l’irrilevanza, ai fini qualificativi, del contratto di lavoro concluso inter partes, in quanto stipulato ai soli fini previdenziali ed assistenziali.
Spesso, infatti, l’interesse che l’amministratore ha di figurare contemporaneamente come lavoratore subordinato coincide con l’opportunità di godere di trattamenti previdenziali, assistenziali e pensionistici connessi per legge con tale qualifica.
Successivamente la Corte di Cassazione, sulla scia di quanto precedentemente deciso dai giudici di merito, rigettava il ricorso del dirigente, sottolineando che le due posizioni lavorative in questione (Amministratore e Dirigente) possono essere cumulabili (ad esclusione dell’Amministratore Unico, in quanto questo sarebbe datore di lavoro di se stesso) solo “ove sia configurabile concettualmente, e dimostrato in concreto, l’elemento che caratterizza tale rapporto, ossia la subordinazione” (Cass. Civ., sez. Lavoro, 23 novembre 1988, n. 6310).
Non vi è, quindi, l’esistenza del vincolo di subordinazione nel caso in cui un dirigente non risponda al consiglio di amministrazione nell’esecuzione della sua attività (Cass. Civ., sez. Lavoro, 3 ottobre 2013, n. 22611).
Vi deve essere, quindi, una volontà imprenditoriale che si forma in modo autonomo rispetto a quella dell’amministratore-dirigente, con l’assoggettamento di quest’ultimo al potere direttivo e di controllo degli organi della società (Cass., n. 381/2000 cit.).
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale, statuendo che “per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, ovvero l’amministratore delegato, e la società stessa, è necessario che colui che intende far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e, cioè, l’assoggettamento, nonostante la suddetta carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso” (Cass. Civ., sez. Lavoro, 25 settembre 2018, n. 22689).
Attestata, quindi, la possibile compatibilità giuridica tra le funzioni di lavoratore dipendente e quelle di amministratore di una società, la sussistenza di un tale rapporto deve essere verificata in concreto, essendo necessario accertare, da una parte, l’esistenza di una volontà della società distinta da quella del singolo amministratore e, d’altra parte, il ricorrere dell’elemento tipico, qualificante, della subordinazione (Cass. Civ., sez. Lavoro, 29 gennaio 1998, n. 894). Nello specifico, la compatibilità non deve essere verificata solo in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo invece accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione (Cass. Civ., sez. Lavoro, 11 novembre 1993, n. 11119).
A tal proposito la giurisprudenza ha precisato che “il cumulo delle due qualità presuppone, al di là dello statuto e delle deliberazioni assembleari e consiliari, la verifica in concreto circa la sussistenza del vincolo della subordinazione gerarchica e, in particolare, lo svolgimento dietro retribuzione, di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita” (Cass. Civ., sez. Lavoro, 26 ottobre 1996, n. 9368).
Il Supremo Collegio, infatti, rigettando il ricorso, ha tenuto a rimarcare, oltre che la necessità della prova del vincolo di subordinazione, il principio per cui può esservi cumulabilità tra la carica di amministratore delegato e lavoratore subordinato di una stessa società di capitali, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale.
Di conseguenza, ai fini della legittimità del cumulo delle qualità di amministratore e lavoratore subordinato della medesima società, è necessario, da una parte, calibrare i poteri conferiti all’Amministratore, che non potranno in tal caso prevedere il potere di assumere e licenziare, il potere disciplinare nei confronti dei dirigenti, i poteri direttivi e di controllo estesi all’area dirigenziale, prevedendo così una non pienezza dei poteri in capo alla figura di Amministratore, ma solo, eventualmente, una funzione vicariale dello stesso; d’altra parte, per la funzione di Dirigente nonché di lavoratore subordinato, dovranno essere previste mansioni diverse da quelle svolte in veste di amministratore, l’obbligo di rendere conto all’organo di amministrazione della società circa il proprio operato e l’assoggettamento al potere disciplinare dell’organo di amministrazione della società come fondamento per la sussistenza del vincolo di subordinazione.