In “Sintesi” di maggio 2018 è stata pubblicata la prima parte di questo articolo. Il contesto storico analizzato nella prima parte è stato quello dell’Ottocento, fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Si è avuto modo pertanto di soffermarsi sugli albori della Rivoluzione Industriale e gli effetti di essa riguardo il mondo del lavoro e la nascita della “classe operaria”, dell’associazionismo sindacale e dei partiti socialisti europei. L’assistenza e l’aiuto alle persone indigenti e ai lavoratori rimasti senza lavoro era di fatto prestata da Enti di beneficenza o da entità create dai lavoratori stessi aventi carattere di mutua assistenza. Gli Stati assoluti, prima della Rivoluzione Francese e gli Stati liberali poi, non intervenivano in alcun modo nel tema dell’assistenza e previdenza e comunque nelle relazioni tra i “privati”. L’ideologia liberale aveva tra i propri elementi peculiari la dottrina del laissez faire e della “mano invisibile” prefigurata dal Saggio di Adam Smith “Della ricchezza delle Nazioni” pubblicato nel 1776 che sosteneva che il mercato di per sé si autoregolava in base alla legge della domanda e dell’offerta.
In realtà, e rinvio al precedente articolo già citato, questo cinico meccanismo “naturale”, caratteristico come visto della dottrina liberale, non trovò applicazione, in primo luogo per un motivo tecnico, ossia presupponeva un Unico Mercato libero, e in secondo luogo per motivi politico-sociali che hanno portato gli Stati a intervenire direttamente nel campo delle tutele per le classi meno abbienti. La situazione sociale dopo la fine della prima guerra mondiale in tutti i Paesi era tale da richiedere riforme in senso assistenziale e più in generale riforme strutturali per far fronte alle tensioni e ai disordini che l’indigenza e anche le ideologie erano state portate a un punto di non ritorno.
Sempre complesso affrontare qualsiasi tema ove ci si riferisca al ventennio fascista. Posizioni di assoluta condanna nei confronti del regime fascista hanno accompagnato la crescita ormai di qualche generazione. Forte è il dubbio che tali condanne non siano altro che il retaggio di un’influenza culturale e di una certa interpretazione della storia che forse spesso non ha mantenuto il rigore della scientificità storiografica, ma si è alimentata di emotività ideologica.
Tale precisazione sembra opportuna solo per evidenziare che il fascismo sale al potere nell’ottobre del 1922. Prima del periodo fascista l’Italia era una nazione democratica? Il popolo aveva una partecipazione attiva nella gestione dello Stato? Non erano le maggiori potenze europee “più sviluppate” delle Nazioni che si definivano democratiche ma avevano fin dalla fine dell’ottocento colonizzato sostanzialmente l’intero globo?
Come sempre per analizzare un tema deve essere quest’ultimo posto nel contesto storico-circostanziale in cui lo stesso si è sviluppato.
Consenso o non consenso del fascismo da parte del popolo?
Certamente il fascismo non è stato un movimento di élite. Quest’ultime erano certamente quelle che avevano caratterizzato i Governi che si erano succeduti dall’unità d’Italia dal marzo del 1861. Liberali di Sinistra o di destra ma tuttavia sempre referenti delle classi aristocratiche e dell’alta borghesia italiana.
Gli anni che portano il fascismo al potere sono gli stessi anni in cui il popolo si divide tra i fasci e i comunisti. Sono quindi gli anni ove le “masse, “il popolo”, si muove aggressivamente verso un sistema, quello liberale-paternalistico.
Del resto, è sufficiente riflettere che solo nel 1918 si introdusse il suffragio universale in realtà limitato ai maschi che avessero compiuto 21 anni o che avessero prestato il servizio militare.
Il fascismo, quindi, movimento di massa e rivolto a dare una svolta alla “vecchia” politica dell’epoca.
Antitesi del sistema sociale liberista, il fascismo pone in essere un sistema politico ove a mezzo dell’associazionismo crea una forte compenetrazione tra lo Stato e le associazioni e gli individui vengono coinvolti e si “sentono“ parte di un insieme.
Riguardo la politica previdenziale, il periodo fascista evidenzia una fase di sviluppo nel 1926-27 con la dichiarazione della “Carta del Lavoro”. Di seguito degli stralci di tale documento che rappresenta al meglio la visione fascista riguardo il tema del presente articolo:
“…Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzativi ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato …
Le associazioni professionali legalmente riconosciute assicurano l’uguaglianza giuridica tra i datori di lavoro e i lavoratori, mantengono la disciplina della produzione e del lavoro e ne promuovono il perfezionamento.
Le corporazioni costituiscono l’organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi.
… Dalla collaborazione delle forze produttive deriva fra esse reciprocità di diritti e di doveri.
… Le associazioni professionali hanno l’obbligo di regolare, mediante contratti collettivi, i rapporti di lavoro fra le categorie di datori di lavoro e di lavoratori, che rappresentano.
… Ogni contratto collettivo di lavoro, sotto pena di nullità, deve contenere norme precise sui rapporti disciplinari, sul periodo di prova, sulla misura e sul pagamento della retribuzione, sull’orario di lavoro.
… L’azione del Sindacato, l’opera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della Magistratura del lavoro, garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento del lavoro.
… La retribuzione deve essere corrisposta nella forma più consentanea alle esigenze del lavoratore e dell’impresa.
… Il lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici, viene retribuito con una percentuale in più, rispetto al lavoro diurno.
… Il prestatore di lavoro ha diritto al riposo settimanale in coincidenza con le domeniche.
… Dopo un anno di ininterrotto servizio il prestatore d’opera, nelle imprese a lavoro continuo, ha diritto ad un periodo annuo di riposo feriale retribuito.
… La previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore di lavoro e il prestatore d’opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa. Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare, quanto è più possibile, il sistema e gli istituti di previdenza.
Lo Stato fascista si propone: 1) il perfezionamento dell’assicurazione infortuni; 2) il miglioramento e l’estensione dell’assicurazione maternità; 3) l’assicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi come avviamento all’assicurazione generale contro tutte le malattie; 4) il perfezionamento dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria; 5) l’adozione di forme speciali assicurative dotalizie per i giovani lavoratori”.
I contenuti e le espressioni comunicative sembrano essere quelli odierni. Ancora:
“…Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzativi ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato …
Le associazioni professionali legalmente riconosciute assicurano l’uguaglianza giuridica tra i datori di lavoro e i lavoratori, mantengono la disciplina della produzione e del lavoro e ne promuovono il perfezionamento.
Le corporazioni costituiscono l’organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi.
… Dalla collaborazione delle forze produttive deriva fra esse reciprocità di diritti e di doveri.
… Le associazioni professionali hanno l’obbligo di regolare, mediante contratti collettivi, i rapporti di lavoro fra le categorie di datori di lavoro e di lavoratori, che rappresentano.
… Ogni contratto collettivo di lavoro, sotto pena di nullità, deve contenere norme precise sui rapporti disciplinari, sul periodo di prova, sulla misura e sul pagamento della retribuzione, sull’orario di lavoro.
… L’azione del Sindacato, l’opera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della Magistratura del lavoro, garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento del lavoro.
… La retribuzione deve essere corrisposta nella forma più consentanea alle esigenze del lavoratore e dell’impresa.
… Il lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici, viene retribuito con una percentuale in più, rispetto al lavoro diurno.
… Il prestatore di lavoro ha diritto al riposo settimanale in coincidenza con le domeniche.
… Dopo un anno di ininterrotto servizio il prestatore d’opera, nelle imprese a lavoro continuo, ha diritto ad un periodo annuo di riposo feriale retribuito.
… La previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore di lavoro e il prestatore d’opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa. Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare, quanto è più possibile, il sistema e gli istituti di previdenza.
Lo Stato fascista si propone: 1) il perfezionamento dell’assicurazione infortuni; 2) il miglioramento e l’estensione dell’assicurazione maternità; 3) l’assicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi come avviamento all’assicurazione generale contro tutte le malattie; 4) il perfezionamento dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria; 5) l’adozione di forme speciali assicurative dotalizie per i giovani lavoratori”.
Negli anni successivi, negli anni “30”, l’amministrazione della previdenza venne centralizzata in grandi enti pubblici – l‘INFPS (Istituto Nazionale Fascista Previdenza sociale) e l’INFAIL (Istituto nazionale fascista per Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e l’INAM (Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori).
Particolare attenzione venne posta alla tutela della maternità. Nel 1925 venne istituito un apposito ente – ONMI (Opera Nazionale Maternità e infanzia). Tale ente assisteva le madri durante la gestazione, il parto e l’allattamento e curava l’assistenza sanitaria dei fanciulli nella fase prescolare.
Rispetto ad oggi ove in capo all’INPS la legge ha accentrato tutta una serie di prestazioni per gli assicurati (lavoratori), la pensione di vecchiaia, l’indennità di malattia, l’indennità di disoccupazione ora denominata NASPI, e quant’altro ancora, nel 1928 l’indennità di malattia per i lavoratori non era accentrata nella competenza di un unico Ente. Infatti, in tale anno si introdusse l’obbligo assicurativo contro la tubercolosi e l’obbligo per tutti i contratti di lavoro di contenere norme per la tutela della salute dei lavoratori. Ne derivò lo sviluppo di casse mutue a livello categoriale, locale e aziendale. Di fatto eravamo già di fronte alla contrattazione di secondo livello!
Il secondo dopoguerra per quanto attiene la legislazione sociale trova certamente in alcuni provvedimenti legislativi delle fonti di notevole importanza e di alta qualità tecnico-normativa.
Sia il D.P.R. n. 547 del 1955 che il D.P.R. n. 303 del 1956 danno pratica attuazione al precetto costituzionale di cui all’art. 38 della vigente Costituzione Italiana:
“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L’assistenza privata è libera”.
Seppur la norma sia contenuta nel codice civile del 1942, precedente pertanto alla fine del secondo conflitto mondiale, grande rilievo e importanza per la sua struttura aperta e inossidabile al passare del tempo è l’art. 2087 che dispone che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Nel 1978 viene istituito il servizio sanitario nazionale con la L. n. 833 del 23 dicembre. Un momento normativo d’importanza epocale in quanto di fatto porta a compimento per quanto attiene perlomeno il settore della legislazione sociale che attiene al diritto alla salute, il principio di “universalità” ossia della tutela dovuta al persona in quanto tale e non connessa al principio contrattuale sinallagmatico di prestazione e controprestazione.
Un momento ancora di grande importanza in materia di leggi “sociali”, che ci porta all’attualità e alle conclusioni di queste considerazioni riguardanti la legislazione sociale vista da un profilo storico, è indubbiamente il D.Lgs. n. 626 del 1994, poi trasfuso con integrazione e razionalizzazione normativa nel successivo D.Lgs. n. 81/2008.
Questo apparato normativo, complesso e altamente tecnico, rappresenta per quanto attiene il settore dell’igiene e sicurezza sul lavoro, l’applicazione universale e generalizzata della tutela della salute dei lavoratori. Si è, infatti, già scritto che la prevenzione e la tutela della sicurezza sul lavoro erano ben disciplinate da normative ancora del 1955-1956. Tuttavia, la storia del diritto del lavoro italiano dal 1970 è stata sempre caratterizzata da una forte distinzione tra lavoratori occupati in grandi realtà produttive e altri, che ancor oggi rappresentano la grande maggioranza occupati invece in aziende di medie-piccole dimensioni.
La portata innovativa del D.lgs. n. 626/94, poi del D. Lgs. n. 81/2008, è stata quella di ampliare alla generalità dei datori di lavoro l’ambito di applicazione di tale normativa.
Inoltre, tale normativa prevede in modo insistente che i lavoratori siano soggetti a formazione e destinatari di informazioni riguardanti la materia relativa all’igiene e sicurezza sul lavoro.
I momenti di formazione portano a consapevolezza che il mondo del lavoro, ancor oggi, produce non solo beni e servizi ma anche molti morti e patologie. Moltissime di tali patologie, data l’analisi medico-statistica sono state considerate come derivanti dall’attività lavorativa e pertanto svincolate dalla dimostrazione del nesso di causalità tra patologia e le mansioni svolte. Questo al fine di permettere al lavoratore di poter ottenere le prestazioni assicurative, che certamente avrebbe preferito non ricevere.
Sempre a rafforzare questa consapevolezza devono essere lette quelle norme che prevedono anche in capo ai lavoratori delle responsabilità riguardo condotte non corrette in relazione alla creazione di potenzialità di rischi sul lavoro.
Siamo in una fase ove il legislatore ha preteso un cambio culturale nei confronti del mondo del lavoro che evidentemente possa portare a una forte anticipazione preventiva di eventi che poi hanno dei riflessi sulla spesa pubblica.
Proprio tale aspetto rappresenta ormai lo spettro del sistema della legislazione sociale che si trova di fronte problematiche di grande complessità apparentemente inconciliabili: sempre più pensionati data la maggiore longevità delle persone, ingresso nel mondo del lavoro dei giovani in età molto avanzata e spesso con contratti precari che non consentono di programmare una vita familiare e l’inevitabile caduta ancora sul sistema pubblico delle persone che perdono il lavoro o lavorano a singhiozzo sull’ammortizzatore sociale della Naspi.