I VENTISEI OBBLIGHI DEL PLANT MANAGER

Nina Catizone , Consulente del Lavoro in Torino

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Nelle più recenti analisi dedicate ai garanti della sicurezza, stanno facendo la parte del leone il datore di lavoro per il suo ruolo di protagonista assoluto delle scelte strategiche di fondo e il preposto in considerazione dei più gravosi compiti che gli sono stati attribuiti dalla Legge n. 215/2021. Ai margini sembra ridursi una figura quale quella del dirigente. E invece è più che mai pressante restituire ai dirigenti (e per cominciare a un personaggio di spicco nelle imprese come il plant manager) l’immagine delineata dal TUSL.

I GARANTI DELLA SICUREZZA

Come avverte Cass. pen., 7 aprile 2025, n. 13350, “ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo” (conformi Cass. pen., 17 marzo 2025, n. 10465; Cass.pen., 28 febbraio 2025, n. 8289).

GLI OBBLIGHI DEL DIRIGENTE

a) E qui occorre porre in risalto un dato fondamentale. In base all’art. 17, D.lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro è il titolare esclusivo degli obblighi di valutazione dei rischi e di nomina dell’RSPP. Adesso dobbiamo porre in risalto che datore di lavoro e dirigenti hanno più obblighi in comune. In proposito, non sfugga all’attenzione una norma fondamentale: l’art. 18 del D.lgs. n. 81/2008. Dove si contemplano obblighi che spettano al datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e ai dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite. Obblighi sanzionati dall’art. 55, comma 5, D.lgs. n. 81/2008 a carico sia del datore di lavoro, sia dei dirigenti.

Prima, delicatissima, domanda: si tratta di obblighi che spettano soltanto ai dirigenti che taluni consulenti aziendali hanno battezzato “dirigenti prevenzionistici”, e, cioè, ai dirigenti a cui sono esplicitamente e specificamente attribuite funzioni in materia di sicurezza del lavoro? La nostra risposta è no. Si tratta di obblighi che spettano ai dirigenti, a prescindere dal fatto che vengano espressamente investiti di funzioni antinfortunistiche. Non sorprenda, ad es., Cass. pen., 29 maggio 2018, n. 24094 che vede imputato il direttore del personale per l’infortunio occorso a un lavoratore, con l’addebito di averlo adibito, pur se reduce da precedente infortunio, alle mansioni ordinarie senza considerare i rischi individuali e le condizioni fisiche del dipendente.

b) Rendiamoci ora conto della vasta portata di una norma quale l’art. 18, comma 1, per giunta nella versione modificata dalla Legge n. 215/2021. Pone a carico del datore di lavoro e -si badi “e”- dei dirigenti 25 obblighi. E quasi non bastasse, il comma 3-bis dello stesso art. 18 ne aggiunge un ventiseiesimo altamente impegnativo. Infatti, il datore di lavoro e il dirigente, oltre ad assolvere agli obblighi propri dettagliati nel comma 1 dell’art. 18, più (“altresì”) sono tenuti a vigilare sull’adempimento degli obblighi propri di altri soggetti. Quali soggetti? i preposti (articolo 19), i lavoratori (articolo 20), i progettisti (articolo 22), i fabbricanti e i fornitori (articolo 23), gli installatori (articolo 24), il medico competente (articolo 25). Nel 2009, quando uscì questa norma, si disse che si voleva scrivere una norma “salvadirigenti”. Proposito riuscito? Ne dubitiamo. A maggior ragione, dopo aver letto il seguito della norma: resta ferma l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati in proprio dalle norme citate (preposti, lavoratori, e così via), allorché la mancata attuazione dei relativi obblighi “sia addebitabile unicamente agli stessi”, e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza da parte del datore di lavoro e del dirigente.

c) Altra domanda. Supponiamo che si addebiti a un dirigente un infortunio determinato dalla mancanza di una misura di sicurezza, e che il dirigente adduca a propria scusante che tale misura non era indicata nel DVR, documento di esclusiva competenza del datore di lavoro. Si tratta di una scusante fondata? No. Mal farebbe il dirigente se pensasse di andare esente da responsabilità penale per il solo fatto che determinate misure di prevenzione pur doverose non fossero previste nel documento di valutazione dei rischi. Come nota Cass. pen., 2 agosto 2017, n. 38528, “le valutazioni e prescrizioni contenute nel DVR non limitano per nulla la responsabilità dei garanti che, nella maggior parte dei casi, trovano loro fondamento prescrittivo nell’articolata disciplina di settore”.

IL CASO DEL PLANT MANAGER

In questo quadro, diventa difficile accogliere la soluzione condivisa dalla Corte Suprema, per giunta su un tema di cospicuo rilievo nel settore della sicurezza sul lavoro. Basti por mente che Cass. pen., Sez. IV, 7 marzo 2025, n. 9454 è chiamata ad occuparsi di un personaggio di spicco nelle imprese come il plant manager. Nell’ambito di una s.r.l. esercente la produzione e il commercio di contenitori, un lavoratore adibito a due macchine pallettatrici s’infortuna alla mano sinistra schiacciata dal rullo trasportatore accessibile pur in movimento di una delle macchine. La Sez. IV rileva che “gli elementi di responsabilità a carico del datore di lavoro venivano ravvisati nella mancata indicazione della necessità di fermare entrambe le macchine (contenendo il DVR solo una generica prescrizione di intervenire su macchine ferme), e nella violazione dell’art. 71, comma 3, D.lgs. n. 81/2008, per non aver provveduto ad adottare adeguati sistemi di protezione che permettessero ai lavoratori di effettuare la regolazione delle attrezzature in condizioni di sicurezza.

A sua discolpa, l’imputato deduce “l’erronea qualificazione quale datore di lavoro”, dal momento che aveva assunto la qualifica di datore di lavoro solo in data successiva all’infortunio. Rileva che “il convincimento della Corte d’Appello si fonderebbe interamente sul contenuto della visura camerale la quale tuttavia individuava in capo all’imputato non già generici poteri in materia di sicurezza sul lavoro, ma unicamente poteri di rappresentanza della società dinanzi ad enti privati e alla pubblica amministrazione, con limitati poteri di spesa”. Aggiunge che “nella visura non vi era alcun riferimento ai poteri, alle prerogative, alle funzioni, alle attività ed alle incombenze che il D.lgs. n. 81/2008 attribuisce alla figura del datore di lavoro, come invece puntualmente delineati nella delega successiva all’infortunio”.

La Sez. IV esamina il motivo di ricorso che deduce “l’insussistenza di una posizione di garanzia dell’imputato alla data di verificazione dell’infortunio, contestando la qualifica di datore di lavoro in capo allo stesso, avendo egli assunto la qualifica di delegato alla sicurezza dal legale rappresentante della s.r.l. soltanto in epoca successiva all’infortunio”.

Prende atto che la Corte d’Appello ha evidenziato i seguenti punti:

  • dalla visura camerale, risultava che l’imputato ricopriva la carica di “procuratore” della società, con poteri di firma, anche in materia di rapporti di lavoro e di rappresentanza in tutte le questioni attinenti i rapporti di lavoro, l’igiene e la sicurezza sul lavoro, gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
  • nell’organigramma sicurezza-ambiente, era indicato come “rappresentante della direzione” e, nell’organigramma generale, come “plant manager”, ossia direttore di stabilimento;
  • l’ex-responsabile delle risorse umane della s.r.l. aveva dichiarato che l’imputato rivestiva il ruolo di direttore generale, e che, in tale veste, godeva di ampi poteri di spesa (risultanti anche dalla visura camerale), firmava i contratti di acquisto dei dispositivi di protezione individuale e degli altri materiali necessari all’azienda e poteva anche decidere in autonomia, entro i limiti di spesa, l’eventuale modifica in termini di sicurezza di un macchinario.

Questa la conclusione tratta dalla Sez. IV: “così motivando, la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo il quale, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore generale, così come il direttore dello stabilimento di una società per azioni, è destinatario iure proprio, al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità della salute dei lavoratori dipendenti”.

Si tratta di una conclusione che con riguardo al plant manager in qualità di dirigente appare ineccepibile. Ma rimane pressante un interrogativo. Abbiamo visto che due sono gli addebiti di colpa emersi. Certo, la violazione dell’art. 71, D.lgs. n. 81/2008. Ma prima ancora il fatto che il DVR conteneva solo una generica prescrizione di intervenire su macchine ferme, e, dunque, l’inosservanza di un obbligo indelegabile del datore di lavoro quale quello di cui all’art. 28, D.lgs. n. 81/2008. Non sorprende allora che, per coerenza con l’addebito di inosservanza di un obbligo indelegabile del datore di lavoro, i magistrati di merito abbiano attribuito all’imputato la posizione di garanzia di datore di lavoro. Senza, peraltro, tener presente che, in forza dell’art. 2, comma 1, lettera b), D.lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro è il soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Ma naturalmente dell’unità produttiva così come definita dall’art. 2, comma 1, lettera t), D.lgs. n. 81/2008, e, cioè, “stabilimento o struttura dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”. Sicché intanto, ad esempio, un direttore di stabilimento è individuabile come datore di lavoro in quanto quello stabilimento sia dotato di effettiva, piena, incondizionata autonomia finanziaria e in quanto in tale stabilimento il direttore eserciti i poteri decisionali e di spesa. Là dove nel caso di specie emerge che l’imputato “godeva di ampi poteri di spesa” e “poteva anche decidere in autonomia, entro i limiti di spesa, l’eventuale modifica in termini di sicurezza di un macchinario”.

Né, si badi, assumerebbe rilievo la delega rilasciata al plant manager pur se nel nostro caso fosse stata antecedente all’infortunio. Non si dimentichi, infatti, che la delega prevista dall’art. 16, D.lgs. n. 81/2008 costituisce una facoltà esclusiva del soggetto individuato come datore di lavoro, e che ha per oggetto una o più funzioni antinfortunistiche (e nemmeno tutte), ma non la stessa qualità di datore di lavoro. Giammai, dunque, trova cittadinanza la figura non di rado evocata in alcune prassi aziendali del c.d. “datore di lavoro delegato”.

E allora ci chiediamo: come mai non è entrato in scena il datore di lavoro effettivo?

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