Mi arriva per posta un simpatico invito ad aderire ad un network professionale prestigioso (inutile, non farò nomi, non mi sembra elegante). Istintivamente (anzi, ingenuamente) penso con piacere che magari qualcuno mi avrà notato, si sarà interessato ai miei piccoli e pochi lavori, chissà, forse qualcuno avrà parlato bene di me. Invece il tutto è accompagnato, nelle ultime righe, da una proposta economica (nel senso che devo sborsare dei soldi e nemmeno pochi) a fronte della quale avrò un certo ritorno, dicono, di immagine ed una promozione della mia figura professionale. Furbi, penso; questi vendono il nome, e la scusa del network e dei complimenti che accompagnano la mail è solo un modo per guadagnarci qualcosa e rafforzare soprattutto il loro brand. Ma poi vedo sui social e nel mondo reale che è tutto un fiorire di professional network, di service partner, di “brandizzazione” e delle mille altre invenzioni che possono servire a diffondere la propria immagine di successo ed il proprio prestigio, comunque e quantunque. Per non parlare dei premi, delle classifiche, dei best of. Con modalità di selezione spesso ignote (mi dicono, nella maggior parte dei casi, c’è anche qui da pagare una fee di ingresso) si stilano classifiche professionali indipendentemente dal valore reale dei classificati (alcuni li conosco e so che grande valore hanno, però ne conosco anche altri che non comprendo bene perchè siano in lista). E con qualcuno (che magari non senti da anni) che in privato ti scrive che sta concorrendo al premio XX e che il tuo voto, espresso sui social o con qualche altra modalità, gli farebbe molto piacere. Io non giudico nessuno, beninteso, ognuno della propria faccia fa ciò che vuole, forse potrei chiedermi se questo non sia un modo per aggirare il divietò di pubblicità comparativa che molti ordini professionali hanno nel proprio codice deontologico: d’altronde dire che in una certa categoria sei il migliore vuol dire che gli altri sono “un po’ meno migliori” di te. E che ci sia qualcuno più bravo di altri è, da una parte, un fatto ovvio, dall’altra parte magari qualche nome o qualche meccanismo di premiazione ti fa venire il dubbio che il più bravo di turno è spesso chi, magari pagando, ha voluto mettersi in lizza e in mostra, si “è mosso bene” o ha le conoscenze giuste. Nel mondo professionale tendo a credere che a parte qualche professionalità davvero stratosferica per testa e lungimiranza, di “Soloni” non ce ne siano poi così tanti, e ci sono in compenso una marea di bravi professionisti che qualcosa da insegnarti ce l’hanno sempre (oltre che da imparare, ma quello non si finisce mai). Restare umili non fa mai male, peraltro; e poi, da quando il successo è automaticamente una garanzia? Anche certi network di professionisti sono fantastici: per parafrasare il tormentone di Annalisa, è tutto un “ho visto lui che raccomanda lei che raccomanda me che raccomando lui”, dove la segnalazione non nasce dalla lunga e proficua conoscenza, ma – al contrario – la conoscenza, magari superficiale, è specificamente finalizzata alla segnalazione reciproca. Insomma, siamo nell’epoca dell’immagine, del brand, degli influencer, dei like, dei social media manager, delle logge professionali, magari con una spruzzata di beneficenza. Specifico: non si deve certo demonizzare la comunicazione – che è importante e indispensabile oggi – ma è così vano il desiderio che la comunicazione traghetti qualcosa di reale? Specie nel mondo professionale, insisto, chè se una marca di panettoni sostiene che mangiandoli sarai felice per tutto l’anno e sarà sempre Natale (come in una bella canzone di Lucio Dalla) lì siamo nel campo della pubblicità esagerata che ti vuole acchiappare (chi più chi meno, siamo onesti, tutti ci facciamo acchiappare da qualcosa), ma nel mondo delle professioni, spesso con declinazioni fiduciarie e strategiche, questo ha ancora significato? E quindi, ritornando al punto, certe classifiche, certe premiazioni “sponsorizzate” che senso hanno? Io non vorrei che fra un po’ a qualcuno venisse in mente un programma sul genere di “4 ristoranti” (vale anche per “4 alberghi” eh), che anche lì fa un po’ sorridere, dai; si prendono 4 esercizi a caso in territorio che ne conta almeno 350/400, li si mette in lizza con modalità di voto discutibili e poi uno viene nominato migliore della zona (con gli altri 400 a cui francamente potrebbero girare le …orecchie). Ma ve lo immaginate un “4 consulenti” dove un collega un po’ altezzoso, simpatico come un granchio negli slip, venisse a mettere il becco nel vostro studio, discettando e criticando su questo e quello, facendovi dei tranelli, mettendo alla berlina le vostre pecche, salvo poi proclamarvi “miglior studio di ….”? Personalmente, per il solo fatto di averlo visto partecipare a un programma simile, sarebbe l’ultimo studio in cui andrei a parare. Perché stiamo parlando di professionisti fiduciari, ricordiamolo – dove il limite fra il discutibile e il promozionale (che in alberghi o ristoranti ci sta pure) sfocerebbe qui nel ridicolo ed improponibile. Magari poi a qualcuno potrebbe venire in mente, che so, un talent per consulenti del lavoro (mi immagino anche un possibile nome: Inps Factor) fatto per praticanti: chi vince diventa automaticamente consulente senza fare gli esami di Stato (immagino già il sorriso sui praticanti impegnati negli esami in corso: a proposito, in bocca al lupo a tutti). In compenso, ci starebbe invece benissimo un format “Studi da incubo”; la selezione non sarebbe nemmeno difficile, né ci sarebbe nulla da inventare, basterebbe entrare in un qualsiasi studio dei nostri in un periodo di scadenza, alle prese con leggi farneticanti, adempimenti farraginosi, siti e programmi improvvisati e istruzioni che arrivano all’ultimo minuto (quando non il minuto dopo). Tornando ai premi, mi viene in mente la differenza del nostro Premio Letterario (chi non sa cosa sia o vuole approfondire può consultare il numero di questa Rivista): nessuna iscrizione, nessun pagamento, nessuna raccomandazione, nessuna intenzione “politica”, solo attenzione e rispetto. Quest’anno abbiamo premiato un giovane valente studioso che ha reso abbordabile un tema complesso, la rivista di una casa editrice (con una responsabile editoriale che sprizzava entusiasmo da due occhi vividissimi), la curatrice di un’opera di riflessione e ricerca sul lavoro di cura (ha ritirato il riconoscimento con una bellissima bimba, quasi più felice della mamma), un ottimo dirigente Inps autore di un libro sulla cassa integrazione (la cui idea è nata in epoca Covid, dove anche gestire ciò è stato un piccolo dramma nel dramma), un’avvocata emozionatissima, autrice di un docu-romanzo sull’emancipazione femminile (che qualche avvocato sappia ancora provare emozioni è segno che la nostra specie può forse evitare l’estinzione) e il papà di un figlio autistico, che ha trasformato genialmente questa difficoltà in un’opportunità lavorativa e di riscatto esemplare, buona come una pizza. Solo sorrisi veri, strette di mano, abbracci, riconoscenza, stima: in una parola, solo autenticità. Senza classifiche particolari, un premio non per dire che sei il migliore ma come un “grazie” per ciò che hai fatto. Forse dovremmo riflettere su alcune parole scritte oltre 40 anni fa da Pasolini (che, quando voleva, sapeva essere intellettuale profetico): “A tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare, a questa antropologia del vincente, preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.” Oppure, è il momento giusto per ricordarlo, pensate ai Magi del Vangelo: ricchi, potenti e sapienti andati a vedere un nascituro in una grotta seguendo un’intuizione profetica. E tornati, così dicono le scritture, semplicemente felici e stupiti in cuor loro, nessun premio, nessuna maglietta con sopra ricamato (la stampa ancora non era stata inventata..) “siamo stati da Gesù”, nessun proclama del tipo “solo noi abbiamo capito tutto”, nessun programma pseudoelettorale al suono di “fidatevi di noi, dateci il potere, Dio è con noi”. No. Solo un’intima, profonda, preziosa ed insostituibile gioia nel cuore, che viene dalle cose vere. E così, giunti alla fine, approfittiamo dell’ultima citazione per augurare ancora una volta a tutti i lettori un felice Natale. Magari non “al top”, non “glamour”, ma gioioso e sereno. Con “meno apparenza e più autenticità”. (Che bello slogan, magari vinco un premio…).