Una nube tossica in Cassazione
Sempre più esteso, e sempre più insidioso per i vertici delle imprese, si sta dimostrando quel principio che nel TUSL (Testo unico sicurezza lavoro, D.lgs. n. 81/2008) ha assunto un ruolo centrale ai fini dell’individuazione dei soggetti penalmente responsabili in materia di sicurezza del lavoro. Mi riferisco all’art. 299 ove si dispone che “le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”, e, dunque, al datore di lavoro, al dirigente, al preposto. Se ne fa carico ultimamente una preziosa sentenza della Corte Suprema –Cass. pen., Sez. IV, 29 agosto 2023, n. 35897– che in 114 pagine evoca una nube tossica di acido solfidrico, un gas contraddistinto dal caratteristico odore di uova marce prodotto dalla reazione chimica tra 28 tonnellate di acido solforico versato in una vasca e i solfuri ivi presenti. Decesso di quattro lavoratori, condanna di più imputati per omicidio colposo plurimo aggravato.
Per cominciare, la Sez. IV sottolinea che, “in tema di reati omissivi colposi, la posizione di garanzia può essere generata non solo da una investitura formale, ma altresì dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garanti, che, mediante comportamenti concludenti, palesino una presa in carico del bene protetto”, e che “in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, indipendentemente dalla sua funzione nell’organigramma dell’azienda”.
Si tratta di un principio di cui occorre porre in luce le implicazioni tutt’altro che innocue.
Quanto mai attuale è la deduzione tratta proprio dalla sentenza sulla nube tossica: “la previsione dell’art. 299, D.lgs. n. 81/2008, elevando a garante colui che di fatto assume ed esercita i poteri del datore di lavoro, amplia il novero dei soggetti investiti della posizione di garanzia, senza tuttavia escludere, in assenza di delega dei poteri relativi agli obblighi prevenzionistici in favore di un soggetto specifico, la responsabilità del datore di lavoro, che di tali poteri è investito ex lege”. Sicché “la responsabilità dell’amministratore della società, in ragione della posizione di garanzia assegnatagli dall’ordinamento, non viene meno per il fatto che il ruolo rivestito sia meramente apparente”.
Con la conseguenza che “la funzione di garanzia non può che derivare direttamente dall’assunzione formale del ruolo, senza possibilità per colui che si presenta come garante di invocare la mera apparenza quale ragione di esonero da colpa”, e che “colui il quale s’interpone, svolgendo a tutti gli effetti il ruolo d’imprenditore, assume, perciò stesso, in prima persona i doveri di garanzia che derivano dal ruolo, sul quale fanno affidamento i garantiti, i quali non hanno alcun strumento per poter accertare compiutamente il fondamento del ruolo rivestito”. E ancora: “non si tratta di un obbligo di vigilanza sulla condotta dell’imprenditore dissimulato, ma di un dovere immediato e diretto di rispetto della normativa antinfortunistica e delle norme generiche cautelari, finalizzate a prevenire gli infortuni sul lavoro, che discende direttamente dall’assunzione formale del ruolo sul quale i terzi debbono fare affidamento”. A maggior ragione, “in situazioni in cui la condizione di pericolo cui il lavoratore si trovi esposto sia connessa a carenze dell’impianto di produzione gravi e molteplici, come tali immediatamente percepibili da chiunque senza particolari indagini”.
Non pensi, dunque, l’amministratore di una s.p.a. di esimersi da responsabilità, sostenendo e dimostrando che, in materia di sicurezza del lavoro, le funzioni di datore di lavoro erano di fatto assolte da altro soggetto pur sprovvisto della relativa veste formale. E la ragione è profonda: “ove si ritenesse esonerato da responsabilità colui che formalmente assume uno dei ruoli di garante, in ragione della sua apparenza, si consentirebbe, attraverso l’interposizione fittizia, di vanificare la cogenza della tutela penale per omissione di cautele doverose correlate alla salvaguardia di soggetti ritenuti dall’ordinamento deboli e bisognevoli di protezione”.
Dalla lettura dell’art. 299 scaturisce un ulteriore problema mai esplicitamente affrontato.
L’art. 299 richiama datore di lavoro, dirigente, preposto, ma non altri garanti della sicurezza sul lavoro che pur rientrano nella nomenclatura del D.lgs. n. 81/2008 e, in particolare, mantiene il silenzio proprio su soggetti basilari nel mondo dei cantieri: dal committente al responsabile dei lavori e ai coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori.
Dobbiamo dedurne che mai e poi mai le posizioni di garanzia non esplicitamente richiamate nell’art. 299 gravano altresì su colui il quale, sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a tali posizioni di garanzia?
Il fatto è che l’art. 299 viene letto “come una norma di natura meramente ricognitiva di principio di diritto per il quale l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale”, tanto è vero “la codificazione della c.d. “clausola di equivalenza” avvenuta con il D.lgs. n. 81/2008 non ha introdotto alcuna modifica in ordine ai criteri di imputazione della responsabilità penale concernente il datore di lavoro di fatto, i quali sono, pertanto, applicabili ai fatti precedenti all’introduzione dell’art. 299, D.lgs. n. 81/2008, senza che ciò comporti alcuna violazione del principio di irretroattività della norma penale” (Cass. pen., 7 luglio 2021, n. 25764). Nessun dubbio che su questi sviluppi giurisprudenziali abbia pesato una pronuncia delle Sezioni Unite risalente al 1992, ad epoca dunque antecedente alla nascita dell’art. 299, D.lgs. n. 81/2008, ma ripetutamente richiamata dalla giurisprudenza successiva e -si badi- relativa a contravvenzioni antinfortunistiche: “La individuazione dei destinatari delle norme antinfortunistiche deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate, con assoluta prevalenza rispetto alla carica attribuita al soggetto cioè, alla sua funzione formale” (Sez.Un.pen., 14 ottobre 1992, n. 9874).
Un’ulteriore implicazione coinvolge la figura del preposto. Tra le modifiche al TUSL apportate dalla Legge n. 215/2021 di conversione del D.l. n. 146/2021, ve n’è una che sta creando più problemi alle imprese. Riguarda l’art. 18, comma 1, D.lgs. n. 81/2008, dedicato agli “obblighi del datore di lavoro e del dirigente”.
E consiste nell’introduzione di un nuovo obbligo alla lettera b-bis): l’obbligo di “individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza di cui all’articolo 19”. Domanda: oggi, con le nuove norme sui preposti, possiamo dire che, in caso di mancata individuazione del preposto da parte del datore di lavoro e dei dirigenti,
nell’azienda manca il preposto? La risposta è no. Perché il preposto individuato dal datore di lavoro e dai dirigenti è il preposto di diritto.
Ma sappiamo che il D.lgs. n. 81/2008 prevede la figura del preposto di fatto: “il preposto di fatto è colui che, senza alcuna preliminare investitura da parte del datore di lavoro, espleta concretamente i poteri tipici del preposto, assumendo conseguentemente, in ragione del principio di effettività codificato dall’art. 299 del D.lgs. n. 81/2008, la correlata posizione di garanzia” (Cass.pen., 3 dicembre 2018, n. 54009). E tuttavia, attenzione: non basta certo la presenza di un preposto di fatto per esimere da responsabilità il datore di lavoro e il dirigente che non abbiano provveduto a individuare il preposto di diritto; ed è altrettanto indiscutibile che il preposto di fatto debba comunque essere formato in forza dell’art. 37, comma 7, D.lgs. n. 81/2008: “la mancanza di nomina formale (scritta con data certa) non è rilevante sulla formazione, in quanto quello che rileva è la ratio della norma che mira ad evitare la mancanza di formazione specifica per chi comunque esercita la funzione di preposto” (Cass.pen., 12 maggio 2022, n. 18839).