Alcuni recenti sondaggi rilevano che il 91% dei responsabili delle risorse umane è preoccupato per il turnover dei dipendenti nell’immediato futuro.
“Mentre l’economia continua a riprendersi dalle interruzioni causate dalla scorsa pandemia, le organizzazioni si trovano ad affrontare un mercato del lavoro molto diverso ed estremamente competitivo rispetto agli anni passati”, ha dichiarato Jamie Kohn, direttore dello studio sul tema promosso da Gartner (società americana di ricerca strategica). “Mentre molti stanno vivendo un numero record di ruoli aperti, le aziende stanno anche cercando di mitigare il turnover represso dei dipendenti”. Si potrebbe parlare di una vera e propria guerra dei talenti che spinge molte aziende a interrogarsi sull’effettiva efficacia delle strategie di employee retention riferita alle risorse considerate “pregiate”.
Come è noto, nel linguaggio degli specialisti di HR, l’employee retention è quell’insieme di strategie pensate per far restare in azienda le persone che vi lavorano, dandogli delle motivazioni solide per scegliere di non spostarsi in altre organizzazioni, anche qualora se ne presenti la possibilità.
Tuttavia, è difficile comprendere quali possono essere le migliori strategie di employee retention da adottare senza prima aver attivato adeguati processi di valutazione che consentono di capire meglio l’effettivo valore e peso della risorsa disponibile, le sue potenzialità di sviluppo, le sue motivazioni, le sue insoddisfazioni.
Per questa ragione mi addentrerò nel mondo della valutazione in ambito organizzativo esplorando da vicino significati, metodi e contenuti.
Gestire le persone significa applicare strumenti/metodi e ricorrere a modelli interpretativi per ottimizzare il rapporto tra il sistema delle risorse professionali disponibili e il sistema degli obiettivi da raggiungere. Consideriamo l’azienda, o lo studio professionale, come un sistema aperto (ovvero, come un insieme di elementi interconnessi e interdipendenti che lavorano insieme per raggiungere un obiettivo comune) che è influenzato dalle forze esterne come il mercato, la concorrenza, la tecnologia, i cambiamenti nella normativa (e così via), e che, a sua volta, influisce sull’ambiente esterno attraverso le attività che sviluppa. Potremmo dire che gestire le risorse umane significa saper integrare opportunamente il sistema organizzativo con il comportamento individuale dei dipendenti, dove il “come farlo” dipende dalle caratteristiche del sistema organizzativo stesso e dalla qualità del comportamento atteso. Per attuare questo tipo di integrazione, è indispensabile ricorrere a percorsi valutativi che consentano di comprendere anzitutto qual è lo “stato dell’arte” dell’azienda e delle risorse che vi operano. La valutazione è, quindi, uno strumento fondamentale della gestione delle risorse umane che consente di analizzare e verificare la performance, avere elementi oggettivi su cui basarsi per orientare opportunamente i collaboratori a raggiungere gli obiettivi aziendali mediante la coerente valorizzazione delle qualità professionali di ciascun dipendente.
Di fatto, anche se decidiamo di non esercitarla in maniera esplicita e formalizzata, la valutazione è una modalità inevitabile: pensiamo a tutte le volte che abbiamo osservato un collega o un collaboratore nel proprio lavoro e ci siamo fatti un’idea della qualità della sua prestazione attribuendogli un giudizio del tipo: “ok” non “ok”, “giusto” o “sbagliato”. Ne consegue che la valutazione è un meccanismo a cui tutti siamo soggetti e, affinché possa risultare fruttuoso, è necessario che venga esercitato consapevolmente ed in maniera strutturata e precisa. Perché una valutazione risulti efficace è necessario che sia ancorata a definiti parametri / categorie, che verta su un oggetto specifico e limitato e che sia manifesta.
È noto che il processo di valutazione è, il più delle volte, condizionato da aspetti soggettivi e che la differenza tra oggettività e soggettività in una valutazione riguarda il grado di imparzialità che viene messo in atto attraverso il presidio del nesso tra giudizio espresso ed eventi oggettivi. Una valutazione è tanto più obiettiva quanto più si basa su prove e fatti verificabili, indipendentemente dalle opinioni e dalle esperienze personali del valutatore.
Certamente, chiunque valuta può incorrere in errori, dato che i “filtri percettivi” che possono influenzare la valutazione sono sempre in agguato. Eccone alcuni: i così detti “bias cognitivi”, che sono distorsioni relative alla nostra capacità di elaborare le informazioni. Per esempio, la tendenza a confermare le nostre credenze preesistenti rispetto a qualcosa o a qualcuno, ignorando le informazioni contrarie; i preconcetti
basati sull’etnia, sull’età, sul genere, sull’orientamento sessuale o su altre caratteristiche di chi abbiamo davanti; le emozioni del momento che ci possono condurre ad essere indulgenti piuttosto che severi nel giudizio su qualcuno; il contesto in cui avviene la valutazione; le esperienze personali pregresse (se abbiamo avuto esperienze negative in passato con una determinata persona potremmo valutarla in modo negativo anche in futuro, nonostante le diverse circostanze). Essere consapevoli dei filtri percettivi che influenzano la valutazione porta a ricercare il modo di minimizzare il loro impatto, mirando ad ottenere un livello di obiettività accettabile. Da qui il ricorso a metodi e strumenti opportuni che possono aiutarci in questa direzione. Ma cosa occorre valutare in azienda?
La valutazione del potenziale è l’analisi delle capacità «potenziali» che non vengono abitualmente espresse nell’attività lavorativa quotidiana di routine, ma che potrebbero essere indagate, valorizzate ed incoraggiate per la crescita professionale del lavoratore al fine di migliorare la sua performance e favorire lo sviluppo di carriera. È particolarmente utile nei casi in cui è necessario attivare processi di diversificazione tra carriera manageriale e tecnico-professionale, nelle situazioni di proiezione del lavoratore verso nuove aree di attività o nei casi di attribuzione di nuovi incarichi strategici per l’organizzazione.
Le principali finalità della valutazione del potenziale sono: garantire flessibilità all’organizzazione, promuovere un sistema di coerenza tra ruolo e scelta di chi lo ricopre, orientare lo sviluppo ed i piani di carriera, finalizzare le azioni formative e i relativi piani. La valutazione del potenziale è utile e funzionale quando è rapportata ad una determinata posizione organizzativa e ad un ruolo «atteso» che deve essere preventivamente precisato e scrupolosamente descritto.
Riguardo ai metodi, lo strumento d’elezione è l’assessment center che è un intervento diagnostico volto a valutare l’insieme delle caratteristiche che si ipotizza siano presenti in un individuo, ma che non sono ancora state espresse o comunque non sono risultate visibili nella consuetudine lavorativa. Come ho già avuto modo di precisare nel mio articolo precedente (vedi Sintesi – mese di febbraio 2023), è opportuno che l’assessment venga gestito da psicologi del lavoro (o comunque mediante una partnership fra consulente del lavoro e psicologo) che hanno competenze adeguate per effettuare correttamente sia la progettazione che la rilevazione di “come” e “cosa” si vuole indagare.
Per valutazione della prestazione si intende il processo attraverso il quale il capo diretto rileva, analizza e gestisce la performance del collaboratore. La prestazione è il raffronto fra i risultati
conseguiti dal lavoratore in relazione agli obiettivi assegnati in un arco di tempo convenzionato. La valutazione della performance è importante per diverse ragioni: in primo luogo, aiuta le organizzazioni a identificare i dipendenti che stanno fornendo un valore aggiunto e quelli che potrebbero aver bisogno di migliorare; in secondo luogo è un’occasione per stimolare il collaboratore ad agire sulle proprie aree critiche; in terzo luogo è un mezzo per sviluppare piani di carriera e percorsi di crescita coerenti e pertinenti. Senza valutazione non è possibile fornire al collaboratore feedback precisi e circostanziati sul proprio operato e quindi renderlo consapevole delle proprie aree di miglioramento. In sintesi, possiamo dire che i principali obiettivi della valutazione della prestazione sono: 1) sviluppare la competenza, la motivazione e la qualità della performance; 2) favorire lo sviluppo personale e professionale; 3) fornire al dipendente un feed back franco ed oggettivo sul proprio andamento; 4) facilitare e migliorare la comunicazione fra capo e collaboratore; 5) orientare e sviluppare le prestazioni verso gli obiettivi attesi; 6) decidere in merito ad eventuali incrementi retributivi; 7) sviluppare percorsi di formazione coerenti. Gli oggetti di questo tipo di valutazione sono essenzialmente i risultati ottenuti dal lavoratore in relazione agli obiettivi assegnati (“cosa” è stato fatto) e i comportamenti organizzativi agiti dallo stesso (“come” è stato fatto). Per procedere adeguatamente, si rende anzitutto necessario definire con precisione la prestazione attesa, per poi confrontarla con la prestazione effettiva prodotta dal collaboratore. Va ricordato che il processo di valutazione della prestazione è strettamente collegato a quello di sviluppo del dipendente.
Possiamo individuare 5 fasi chiave del processo di valutazione: 1) definizione ed attribuzione degli obiettivi; 2) individuazione dei KPI (Key Performance Indicators); 3) rilevazione dei risultati e dei comportamenti; 4) colloquio di sviluppo; 5) azioni di sviluppo. Relativamente alla prima fase, è particolarmente importante individuare gli obiettivi da attribuire in una logica “SMART”, ovvero sottoporre gli obiettivi a dei criteri di formulazione precisi, ricordando che un obiettivo per essere correttamente formulato è utile che sia: specifico (ben individuato e concreto), misurabile (espresso in numeri o in indicatori), ambizioso (adeguatamente sfidante), realistico (raggiungibile date le risorse e i tempi a disposizione), tempificato (connotato da una scadenza entro cui è necessario venga raggiunto).
Venendo alla seconda fase del citato processo, va detto che i KPI (Key Performance Indicators) sono un insieme di elementi quantificabili che vengono utilizzati in azienda per valutare le prestazioni dei collaboratori e per monitorare il conseguimento degli obiettivi strategici ed operativi. Di fatto sono una metrica per misurare l’andamento dei processi aziendali rispetto agli obiettivi prefissati. I KPI, per risultare funzionali, devono essere in grado di mettere in evidenza se l’azienda sta compiendo progressi verso il raggiungimento dei propri obiettivi ed espressi numericamente, in maniera tale da consentire un’adeguata comparazione dei valori durante le fasi di monitoraggio.
La scelta dei KPI aziendali più adatti dipende dalla tipologia dell’organizzazione e dalle mete che si intendono raggiungere. Per definirli correttamente, può essere utile ricorrere ad alcune domande, per esempio: quali KPI esprimono ciò che si vuole raggiungere ed entro quando? Servono a verificare se si è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi? Sono utili per strutturare il sistema premiante in una logica meritocratica? Sono facilmente condivisibili? Sono semplici da comprendere? Sono rilevanti in questo momento per il raggiungimento degli obiettivi? Sono in grado di mostrare lo stato di avanzamento verso l’obiettivo? Sono facilmente misurabili? Sono comparabili anche a distanza di tempo? Alcuni esempi di KPI possono essere: % completamento di un progetto nel tempo definito; % traguardi raggiunti secondo la tabella di marcia prospettata; numero ore pianificate vs ore effettive; % capacità delle risorse; scostamento del budget (pianificato vs effettivo); numero di errori; numero reclami dei clienti; ritorno sull’investimento (ROI).
La fase tre del processo di valutazione contempla la rilevazione dei risultati e dei comportamenti che può essere realizzata mediante l’osservazione diretta di come opera il collaboratore, l’analisi degli output da lui prodotti, la raccolta di informazioni a 360° mediante questionari di autovalutazione ed etero-valutazione (somministrati a capi, colleghi, clienti). Sicuramente, il «segreto» di una efficace valutazione consiste nello stimolare nel collaboratore un processo di leale autovalutazione che accresca la sua consapevolezza rispetto ai propri punti di forza e alle proprie aree di miglioramento e di sviluppo professionale. Tuttavia, qualsiasi sia il metodo di valutazione utilizzato, è di fondamentale importanza che i risultati della valutazione vengano elaborati, comunicati e commentati in maniera opportuna in un colloquio ad hoc fra capo e collaboratore (fase 4, colloquio di sviluppo). Il setting del colloquio di sviluppo è caratterizzato da un incontro, formale istituzionalizzato e tempificato, fra responsabile e collaboratore durante il quale è possibile analizzare e commentare i dati raccolti per trarre informazioni e spunti non solo sugli aspetti migliorativi della prestazione, ma anche sulle prospettive di sviluppo carriera e sugli aspetti motivazionali relativi al percorso professionale previsto nel futuro. Affinché tale incontro risulti efficace e produttivo, è necessario che vengano presidiate alcuni stadi del colloquio. Lo stadio iniziale: è il momento in cui è importante che il responsabile trasmetta disponibilità all’incontro e serenità di approccio, dichiari l’obiettivo e la durata dell’incontro, spieghi le modalità di procedere che verranno utilizzate, verifichi la reale disponibilità all’ascolto e all’interazione da parte del collaboratore. Lo stadio centrale è il momento della condivisione delle valutazioni e quindi è utile invitare il collaboratore ad esprimere la propria autovalutazione e ad esternare il proprio punto di vista integrato da esempi
concreti e dati. È opportuno argomentare comunanze e differenze fra le due valutazioni, sviluppare i punti chiave, essere consequenziali, dedicare il tempo necessario a sciogliere eventuali nodi critici rispondendo con chiarezza alle domande poste dal collaboratore e alle eventuali obiezioni, gestendo con calma e serenità i punti di disaccordo. Lo stadio finale è quello in cui è opportuno richiamare e sintetizzare i principali punti toccati, tirare le conclusioni ri-puntualizzando le aspettative e gli obiettivi di sviluppo identificati, comunicare disponibilità e supporto e concludere in maniera positiva, richiamando gli aspetti di utilità del colloquio ed esprimendo frasi di incoraggiamento.
Infine, la fase cinque prevede l’individuazione e la realizzazione delle azioni di sviluppo che consiste nello stilare e nell’attuare un piano di intervento per colmare il “gap” fra prestazione effettuata e prestazione attesa. Tale piano può contemplare sia compiti specifici attribuiti al dipendente, utili ad allenare alcune capacità volte a migliorare la prestazione, sia supporti quali affiancamenti, formazione mirata, step intermedi di monitoraggio dell’andamento della prestazione (insieme al proprio Responsabile)
La rilevazione delle competenze, intese come l’insieme di conoscenze, capacità e comportamenti attivati in un contesto dato, è una pratica che permette di ottimizzare le risorse umane disponibili, migliorare la produttività, pianificare lo sviluppo professionale e gestire l’eventuale turnover. Le competenze, sia tecniche che trasversali, sono ciò che una persona dimostra di saper fare, intellettualmente ed operativamente, in relazione ad un obiettivo, compito o attività in un determinato contesto professionale. Le prime (quelle tecniche) consentono al soggetto di svolgere attività specifiche nell’ambito di una determinata professione, sono settoriali, specialistiche, necessarie per poter svolgere adeguatamente alcuni compiti. Le seconde (le trasversali o “soft skills”) sono invece il complesso delle abilità e qualità che caratterizzano il comportamento professionale di un soggetto e si stanno rivelando sempre più determinanti per favorire il successo professionale di persone e aziende.
Per poter rilevare in maniera strutturata e pertinente le competenze possedute dalle risorse interne all’organizzazione, è necessario redigere il repertorio delle competenze attese che consiste nella specifica e dettagliata descrizione delle competenze funzionali all’esercizio di un determinato ruolo. Il repertorio rappresenta l’insieme delle competenze comportamentali organizzative riconosciute come rilevanti dall’azienda per ottenere le prestazioni auspicate. All’interno del “repertorio” le e competenze trasversali possono essere suddivise in 4 macroaree, che diventano oggetto di valutazione: 1) Cognitiva. È l’area degli elementi intellettivi, considera la predisposizione al ragionamento logico, la capacità di scomporre un problema nei suoi fattori costitutivi, l’abilità dell’individuare criticità ed elaborare ipotesi di soluzione. 2) Realizzativa. Area degli elementi legati all’azione e alla capacità di incidere sul contesto; riguarda la determinazione verso il raggiungimento degli obiettivi, il problem solving operativo e la capacità di anticipare gli eventi mettendo in atto iniziative pertinenti. 3) Relazionale. Riguarda l’area degli elementi attinenti alla sfera dell’interazione con gli altri. Ha a che fare con l’abilità nel comunicare, nel comprendere le esigenze altrui e con la capacità di lavorare in squadra. 4) Gestionale. È l’area degli elementi attinenti il coordinamento delle attività di riferimento e la gestione delle risorse disponibili. Riguarda la propensione ad identificare obiettivi e priorità, a programmare attività, ad utilizzare metodi di gestione e controllo, a presidiare gli interlocutori con autonomia e responsabilità decisionale.
Ogni competenza, rientrante in una delle categorie sopra descritte, può essere identificata da uno specifico “titolo”, da una “definizione” che ne spiega il significato ed essere precisata da una “declaratoria”, cioè chiarita da dei “descrittori comportamentali” che la connotano per consentire a chi valuta di essere in grado di rilevare i «segnali visibili» che denotano la sua presenza. Ciascuna competenza, così descritta, può essere valutata mediante appositi questionari e griglie di osservazione.
La conoscenza del livello di competenze possedute da singoli professionisti permette di comprendere quali possono essere le ragioni di una prestazione poco soddisfacente e di individuare l’eventuale delta da colmare mediante opportuni interventi formativi.
L’attuazione di un coerente processo valutativo è la base per individuare le strategie più pertinenti di employee retention, strategie che possono riguardare il creare un ambiente di lavoro positivo e stimolante in cui i dipendenti si sentano valorizzati e apprezzati, il fornire opportunità di formazione e sviluppo professionale volti a migliorare le competenze e a favorire la flessibilità d’orario, la possibilità di lavorare crescita professionale, il riconoscere e premiare da remoto o altri benefit volti a migliorare la le prestazioni di qualità, l’offrire vantaggi come qualità lavorativa e di vita del collaboratore.
Per le tabelle clicca qui.
Andrea Castiello D’Antonio – (2020) Il capitale umano nelle organizzazioni. Metodologie di valutazione e sviluppo della prestazione e del potenziale -Hogrefe
William Levati, Maria V. Saraò – (2016) Il modello delle competenze – Franco Angeli
Maurizio Agnesa (2020) -Psicologia manageriale. La gestione psicologica delle risorse umane -Libreriauniversitaria.