La pandemia ha contribuito notevolmente all’incremento del digitale, che ha senz’altro creato importanti opportunità di crescita e accelerazione per molte realtà del nostro Paese. Lo sviluppo tecnologico ricopre un ruolo fondamentale anche nel processo di riqualificazione professionale, promuovendo sistemi formativi sempre più innovativi quali, per esempio, i corsi in e-learning e favorisce la nascita di nuove figure professionali e di nuovi linguaggi in ambiente di lavoro. Si pensi inoltre a come la comunicazione tecnologica influenzi anche le modalità di socializzazione e di relazione interpersonale (sms, e-mail, chat…).
L’utilizzo delle tecnologie informatiche è ormai talmente diffuso, che immaginare la nostra vita quotidiana senza computer o senza Internet sarebbe assurdo. Analogamente il mondo del lavoro è talmente sempre più connesso all’utilizzo di apparecchiature informatiche, che anche le professioni più tradizionali si avvalgono ormai dell’aiuto delle nuove tecnologie. Ci sono poi delle attività lavorative, che vengono svolte quasi esclusivamente attraverso l’utilizzo di attrezzature informatiche. È proprio in questi casi che gli operatori sono sottoposti al rischio di ingresso di uno sproporzionato numero di informazioni digitali, che il cervello umano deve accogliere ed elaborare. Ciò può causare notevoli problemi per la salute e la sicurezza sul lavoro delle persone che, in modo particolare, svolgono la loro attività principalmente con utilizzo di: computer, Internet, Email, Software di Istant Messaging (WhatsApp, Messenger, Skype, ecc…), SW Gestionali, e così via.
Un’elevata esposizione a tuti questi fattori può provocare la comparsa di alcuni fenomeni quali ad esempio il Tecnostress. In linea generale lo stress, definito come una situazione di prolungata tensione che può ridurre l’efficienza sul lavoro e determinare un cattivo stato di salute, è oggi il secondo problema di salute maggiormente legato all’attività lavorativa.
Secondo gli studi attuali, risulta essere la causa del 50-60% di tutte le giornate lavorative perse, con un enorme costo economico per il sistema produttivo: rappresenta il rischio di impresa del terzo millennio!
Il Tecnostress viene definito come: «il disagio causato dall’incapacità di affrontare le nuove tecnologie in modo sano». Lo psicologo Craig Broad fu il primo, nel 1984, ad utilizzare questo concetto per indicare lo stress causato dall’uso delle nuove tecnologie, specialmente informatiche; egli definì il Tecnostress come “un disagio moderno causato dall’incapacità di coabitare con le nuove tecnologie del computer”.
Successivamente il termine fu ampliato dagli psicologi Weil e Rosen, i quali lo definirono come “ogni impatto o attitudine negativa, pensieri, comportamenti o disagi fisici o psicologici causati direttamente o indirettamente dalla tecnologia” (1998).
Lavorare in un contesto multitasking dove ci si trova, nello stesso momento, ad avere a che fare con differenti strumenti di lavoro (smartphone, tablet, computer, telefono d’ufficio) i quali contengono a loro volta molteplici “applicazioni”, da un lato ha creato molti vantaggi ma dall’altro potrebbe portare a conseguenze dannose per la salute del lavoratore che si vede oberato di comunicazioni e con la sensazione di non essere in grado di gestire i compiti che gli sono assegnati.
Questa “nuova” forma di stress sembrerebbe colpire, nella maggior parte dei casi, coloro che lavorano in ambienti altamente informatizzati e caratterizzati da una forte riduzione o addirittura privazione delle relazioni personali (lavoro a distanza) nonché da un controllo esasperato della tecnologia sulle attività svolte.
Volendo indicare le principali cause si può dire che il Tecnostress è correlato a: • gestione di un numero ingente di informazioni;
Altri aspetti che influiscono sul manifestarsi della malattia possono essere la postura, o le modalità di lavoro come lo smart working, che fa della tecnologia il suo strumento principale.
L’esposizione al Tecnostress porta alla manifestazione di alcuni sintomi ed effetti, riconoscibili a più livelli, che possono causare ulteriori patologie e e disturbi differenti.
Da non sottovalutare il fatto che il Tecnostress in azienda può inoltre comportare un incremento dei costi di gestione a causa dell’aumento del rischio per la salute e la sicurezza delle imprese e della necessità di rivolgersi ai medici.
Per la tabella clicca qui.
Per l’immagine clicca qui.
Secondo il famoso psicologo Craig Brod è possibile dividere il concetto in due atteggiamenti specifici dell’individuo che, se presenti, inducono Tecnostress nel soggetto stesso:
“OVERIDENTIFICATION WITH COMPUTER TECHNOLOGY”: ovvero un eccessivo interesse alla tecnologia anche a discapito della propria obiettività;
“STRUGGLE TO ACCEPT COMPUTER TECHNOLOGY”: ovvero una vera e propria battaglia o presa di posizione contro l’uso delle nuove tecnologie.
All’epoca non si parlava ancora di smartphone, tablets o di internet, ma solo di hardware: oggi invece è sicuramente possibile ricondurre una parte dello stress anche all’uso dei social network; detto ciò potrebbe essere corretto affermare che qualcuno soffra di “networking stress”.
Per capire se il termine possa essere corretto, analizziamo in primis la definizione di Tecnostress che il Professor J. Kupersmith ha fornito, attraverso 4 dimensioni:
1. ANSIA DA PERFORMANCE: data da un insieme di pensieri svalutanti, auto-valutazioni negative, aspettative di fallimento (pensieri come: “non ce la farò mai”, “sbaglio sempre tutto”,
“non riesco a stare al passo con gli altri”);
2. OVERLOAD DI INFORMAZIONI: dato da una numerosità eccessiva di compiti per cui è
necessario impiegare le nuove tecnologie;
3. CONFLITTO DI RUOLI: l’introduzione delle nuove tecnologie ha apportato in modo
significativo un cambiamento nei ruoli (in ambito lavorativo si è risentito molto, per esempio, del “gap generazionale”, a causa del quale i più giovani diventano gli esperti in brevissimo tempo rispetto ai più anziani);
4. FATTORI ORGANIZZATIVI: dati da tecnologie insufficienti da un punto di vista numerico, o a causa di poca disponibilità o perché ritenute poco utili, che però causano problemi nella gestione del loro uso.
Oggi i social network sono diventati una componente importante della vita lavorativa e forse le sue logiche non sono ancora ben chiare e comprensibili da parte di tutti.
Il Networking stress, a livello lavorativo, agisce su ciascuna di queste quattro dimensioni:
1) I soggetti che iniziano una nuova attività lavorativa, soprattutto commercianti o liberi professionisti, sono spesso ottimisti, pensando che basti pubblicare un post sui social per avere successo per poi scontrarsi invece con la dura realtà: l’impegno richiesto è grandissimo e per prima cosa bisogna abituarsi ad un nuovo modo di comunicare.
2) L’alto numero di piattaforme social esistenti potrebbe essere percepito come un ulteriore
fonte di stress: è pertanto essenziale che l’azienda rifletta in primis su cosa puntare e su cosa pubblicare.
3) Una nuova rilevanza della comunicazione online ha portato come conseguenza nuove professioni che oggi tendono ad emergere a discapito di vecchi ruoli aziendali che vengono definiti obsoleti.
4) A livello organizzativo spesso le risorse umane dedicate alla gestione dei social sono “poche” a livello numerico, in quanto considerate ancora materia per adolescenti e per il tempo libero.
Addirittura, a causa del Networking Stress aziendale, stanno iniziando a registrarsi i primi casi di “nomofobia”, ovvero la paura di rimanere disconnessi.
Il fatto di rimanere senza cellulare, anche quello aziendale, per magari un’intera giornata potrebbe generare emozioni come ad esempio la paura di perdere telefonate importanti, di non riuscire a portare a termine obbiettivi o di non essere reperibili per i superiori o per i clienti a loro affidati, che porterebbero ad un primo segnale di allarme di nomofobia.
Il termine nomofobia nasce in Gran Bretagna da “No Mobile Phobia”, ovvero, la fobia di rimanere senza cellulare. I sintomi possono essere nausea, sudorazione intensa, giramenti di testa, tremori, riconducibili ad una vera e propria fobia, addirittura molto simili ad una sorta di astinenza/dipendenza da sostanze.
La crisi di questi ultimi due anni causata dal Covid-19 ha costretto alla digitalizzazione di molte aziende, senza avere di fatto un’adeguata preparazione o protocollo, con l’introduzione di una nuova o poco conosciuta modalità di lavoro: lo smart working.
Dalla diffusione della malattia il tempo di lavoro da casa è passato da settimane a mesi e ora
parrebbe diventare la modalità di lavoro del futuro, che molte aziende intendono adottare.
Anche in questo caso però è fondamentale garantire il benessere lavorativo dei dipendenti per mantenere la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle aziende.
I dipendenti che lavorano da casa a lungo termine hanno bisogno di strategie e suggerimenti sostenibili per lavorare a distanza e per assicurarsi di essere in grado di produrre un lavoro altrettanto qualitativo.
Ormai anche le riunioni vengono effettuate in videoconferenza (con Zoom, Skype, GoTomeeting e perfino WhatsApp); il lavoratore trascorre molto più tempo con il computer portatile, il tablet, lo smartphone, spesso anche fino a tarda sera e nel weekend. Si ha di fatto la sensazione di non staccare mai la spina.
Il rischio di Tecnostress potrebbe in alcuni casi essere maggiormente percepito dalle persone che svolgono lavoro da casa, ovvero da individui che prestano la loro attività lavorativa in smart working.
Diviene quindi importante:
• che i lavoratori vengano informati sui possibili rischi;
• che il lavoro venga pianificato;
• che i lavoratori abbiano (anche a casa) uno spazio ed una postazione di lavoro adeguata;
• che il lavoratore rimanga in contatto con i colleghi e con il team;
• che vengano effettuate delle pause periodiche.
In merito a questo ultimo punto non va dimenticata l’introduzione del “diritto alla disconnessione”, uno dei punti fondamentali del “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” stipulato in data 7 dicembre 2021 dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, quale strumento idoneo a prevenire i rischi per la salute psicofisica del lavoratore derivanti da un eccesso di lavoro e necessario a mantenere una distinzione tra sfera privata e sfera professionale ai fini di un bilanciamento tra tempi di vita e di lavoro.
Il diritto alla disconnessione è definito come «il diritto del lavoratore a non essere raggiungibile o contattabile, rispondendo al telefono o alle mail (disconnessione tecnica) ovvero il diritto a concentrare la propria attenzione su qualcosa di diverso rispetto al lavoro (disconnessione intellettuale) recuperando le proprie energie psicofisiche».
Il datore di lavoro deve pertanto evitare che il lavoratore agile, che svolge la propria attività lavorativa da remoto attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici, sia sottoposto a stress da eccesso di lavoro o esposto al rischio di c.d. burn out, non deve assegnare carichi di lavoro eccessivi, deve valutare i progetti assegnati e le rispettive scadenze che devono essere compatibili con
il diritto alla disconnessione del lavoratore.
La prestazione in smart working può essere articolata in fasce orarie, individuando, in ogni
caso, la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa; a
tal fine, devono essere adottate specifiche misure tecniche e/o organizzative per garantire la
fascia di disconnessione. Nei casi di assenza c.d. legittima (es. malattia, infortuni, permessi retribuiti, ferie, etc.), il lavoratore può disattivare i propri dispositivi di connessione.
Nel 2007 il Tecnostress è stato ufficialmente riconosciuto come malattia professionale,
di conseguenza analizzarne le cause e gli effetti sui lavoratori rientra nell’obbligo di valutazione dei rischi previsti dal D.lgs. n. 81/08.
La valutazione va effettuata analogamente a quella dello stress lavoro-correlato.
L’Inail, nella fattispecie il Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale, ha proposto una metodologia per la valutazione del rischio basato sul modello Management standards approntato dall’Health and safety executive (Hse).
Tramite questo modello viene effettuata un’analisi dell’uso delle ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) al lavoro prendendo come riferimento sette dimensioni organizzative chiave, ovvero:
comprende aspetti quali il carico lavorativo, l’organizzazione del lavoro ed il contesto lavorativo;
riguarda l’autonomia e il controllo dei lavoratori sulle modalità di svolgimento della propria attività lavorativa;
i superiori potrebbero ridurre i livelli di Tecnostress favorendo la diffusione della cultura del corretto utilizzo delle tecnologie digitali, migliorando l’assistenza tecnica;
le ICT potrebbero alterare la capacità del soggetto di relazionarsi gli altri, dando vita a forme di comunicazione poco chiare e fraintendibili;
l’aspetto multi-tasking dell’utilizzo delle ICT porta al dilatamento dei confini del “ruolo” del lavoratore, portando spesso alla sovrapposizione di compiti, responsabilità e aspettative che spesso non possono essere soddisfatte; viene verificata la consapevolezza del lavoratore relativamente al ruolo che riveste e garantisce che non si verifichino conflitti;
è necessario tener conto dei cambiamenti derivati dall’utilizzo delle ICT, sia a livello di vantaggio nei processi lavorativi e nella qualità del lavoro, sia in termini di introduzione di nuovi rischi, bisognerà dunque far “evolvere” il lavoro e i lavoratori in modo da garantire un confronto agevole con la tecnologia. Le misure di intervento possono riguardare due livelli:
Livello individuale, consentendo al lavoratore di mettere in atto comportamenti per cambiare la situazione (strategie di problem solving);
Livello organizzativo, diminuendo il numero di richieste poste ai lavoratori e implementando supporto tecnico e formazione sul corretto utilizzo.
Il Tecnostress è pertanto una grande fonte di insoddisfazione e frustrazione lavorativa in ambiente di lavoro. Tuttavia, ci sono diversi metodi per contrastarlo che possono sviluppare meccanismi che aiutano i lavoratori a effettuare i compiti assegnati con la tecnologia senza dipendere da essa.
Le aziende e i loro collaboratori potrebbero ad esempio intervenire con pratiche come la meditazione, l’attività fisica, le pause rigeneranti e le discipline olistiche in genere (respirazione yoga e tecniche di rilassamento) che aiutano a “rallentare” i pensieri e “rasserenano e calmano” il cervello.
Fondamentale è inoltre una formazione adeguata che porti ad una maggiore consapevolezza rispetto al corretto rapporto fra la persona e le nuove tecnologie. Tra i numerosi strumenti e metodi per prevenire e contrastare l’insorgenza del Tecnostress in azienda, c’è anche la Netiquette, ovvero l’insieme di regole di buon comportamento che ogni utente Internet dovrebbe rispettare per usare correttamente la rete.
La parola Netiquette deriva da net(work) «rete» e (e)tiquette «etichetta»; ha di fatto la stessa funzione della “buona educazione” nella vita di tutti i giorni, una sorta di “galateo del web”: il suo scopo principale è quello di disciplinare il comportamento degli utenti online nel rapportarsi tra di loro.
La Netiquette non è regolamentata da legge e il trasgredirla non comporta alcuna sanzione di tipo giuridico, salvo azioni che hanno rilevanza legale come ad esempio la diffamazione. Il mancato rispetto delle sue regole, oltre che a far risultare l’utente grossolano e poco educato, può in ambito lavorativo tradursi in situazioni difficilmente gestibili, se non irrimediabilmente dannose.
Può portare, ad esempio, a conseguenze disciplinari che possono arrivare anche al blocco dell’account (Social Network, Chat, ecc.).
Per le imprese è molto importante mantenere un comportamento ineccepibile su web e social, così da dare una buona immagine di sé ai potenziali clienti. Seguire la Netiquette pertanto diventa ancora più necessario.
Sono numerose le aziende che decidono di farsi creare, da specialisti del settore, un piano su misura che, partendo dalle regole fondamentali della Netiquette, sia fatto appositamente secondo le proprie necessità.
Anche se la Netiquette non è propriamente la soluzione all’intero problema del Tecnostress, si può considerare come un modo alternativo per prevenire o porre rimedio a condizioni che possono creare situazioni stressanti per chi fa uso della tecnologia sul proprio posto di lavoro ma anche nella sua quotidianità.