HR&Organizzazione – PECUNIA NON OLET, MA LA PAGA NON BASTA A CONTRASTARE LA GREAT RESIGNATION DAL MONDO DEL LAVORO Dal quiet quitting al job creep, l’analisi delle dimissioni di massa e dello stato di salute del mercato del lavoro

Barbara Garbelli, Consulente del Lavoro in Pavia, Esperta in materia  di sicurezza sul lavoro, Presidente Ancl UP Pavia

In più occasioni ci siamo domandati come la pandemia avrebbe modificato il nostro modo di lavorare, i rapporti interpersonali e più in generale il vivere quotidiano. Se da un lato siamo consapevoli che ad oggi non si è ancora sedimentata una nuova quotidianità, d’altro canto abbiamo percezione e certezza che stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione del mondo del lavoro. Questo non solo da un punto di vista operativo, dato che da ormai due anni a questa parte imprenditori e professionisti hanno dovuto avviare una significativa riorganizzazione del lavoro, ma in maniera importante anche sotto l’aspetto psicologico dell’approccio all’attività lavorativa.

È indubbio che i due fenomeni hanno una stretta correlazione: lo smart working, che ha caratterizzato gran parte della riorganizzazione dell’attività lavorativa, ha portato ad una lenta e costante evoluzione dell’approccio dei lavoratori alla propria attività.

Molti sono i lavoratori che hanno scoperto e apprezzato questo nuovo modo di lavorare: la possibilità di gestire il tempo, la riduzione dei costi di viaggio per raggiungere il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa, o già soltanto non dover affrontare la difficoltà di trovare parcheggio, hanno reso fortemente appetibile questo nuovo strumento organizzativo. Tuttavia, come spesso accade, la “medaglia” dello smart working presenta una seconda faccia, oggettivamente negativa, che passa dalla sensazione di isolamento, al senso di inadeguatezza, alla progressiva perdita di senso di appartenenza all’identità aziendale.

Tutti questi aspetti negativi, trascurati -a volte per oggettiva impossibilità e impreparazione- per un lungo periodo, hanno dato origine ad alcuni fenomeni che si stanno manifestando sempre più insistentemente in tutto il mondo, anche nel nostro paese, ed in maniera diffusa anche nelle realtà di medie e piccole dimensioni.

GREAT RESIGNATION O DIMISSIONI DI MASSA

Uno dei fenomeni di cui tristemente si parla da diversi mesi a questa parte è quello delle dimissioni di massa, che negli Stati Uniti viene chiamato Great Resignation e che tra aprile e settembre 2021 ha portato ben 19 milioni di americani a lasciare il lavoro, con un picco di 4,5 milioni di dimissioni nel solo mese di novembre 2021, un vero e proprio record storico. Analisti e imprenditori studiano da oltre un anno il fenomeno tentando di individuarne le ragioni, che parrebbero non essere correlate alla precarietà del mondo del lavoro: attualmente, infatti, negli Stati Uniti il mercato del lavoro è molto dinamico, almeno dal punto di vista delle richieste da parte imprenditoriale, cui però fa da contraltare una limitata offerta di disponibilità da parte della forza lavoro. Uno degli aspetti di maggior rilievo del fenomeno sembra essere correlabile alla tipologia di lavoro svolto, collegata all’età della persona: la maggior parte delle fughe dal lavoro è avvenuta da lavoratori con mansioni impiegatizie, compresi in una fascia di età tra i 30 e i 45 anni, caratterizzata da una maggior appetibilità sul mercato del lavoro rispetto a chi ha maturato minore esperienza. La consapevolezza di un mercato del lavoro dinamico ed il fabbisogno di risorse formate e competenti, ha dunque incentivato i lavoratori a cercare nuove condizioni di lavoro, maggiormente confacenti alle proprie esigenze personali e familiari.

Un’altra ipotesi di spiegazione del fenomeno è strettamente collegata al periodo pandemico: in base alle statistiche nel periodo di lockdown i lavoratori hanno subito un notevole aumento della mole di lavoro, specie in alcuni settori, quale la sanità, dove le dimissioni sono aumentate del 3,6%. In questo caso l’aumento dello stress (e, a volte, conseguente burnout) è stata la ragione che ha spinto i dipendenti a lasciare la propria occupazione.

Il fenomeno della Great Resignation si sta manifestando sempre di più anche in Italia: secondo una statistica Inps, nel primo semestre 2022 sono state oltre 1,08 milioni le persone che hanno lasciato il lavoro. Il dato non è mai stato così alto negli ultimi 8 anni: l’aumento infatti è del 35% rispetto al 2021. Da una ricerca del Politecnico di Milano è emerso inoltre che, per una/un lavoratrice/ lavoratore su quattro, l’aspirazione a modalità di lavoro più “agili” è tra i motivi principali che portano alle dimissioni. Ma il dato più importante che emerge da questa indagine è che per circa l’83% delle persone intervistate le motivazioni vanno ricercate soprattutto nel malessere emotivo, dato dall’assenza di riconoscimenti di merito e dal non sentirsi in linea con i valori aziendali.

IL QUIET QUITTING

Alla Great Resignation può essere associato il Quiet Quitting, fenomeno che ha iniziato ad espandersi notevolmente negli ultimi mesi, diventando virale anche sulle piattaforme social più famose.

Tradotto letteralmente significa “abbandono silenzioso”, nonostante la definizione non rispecchi a pieno il significato del fenomeno. Il quiet quitting si manifesta infatti quando un lavoratore cerca di limitare i propri compiti a quelli strettamente previsti dalla propria mansione, per evitare di trovarsi nella necessità di prestare lavoro straordinario o fare più del minimo necessario richiesto.

Il lavoratore che manifesta il quiet quitting lavora il minimo indispensabile, senza essere propositivo e senza sviluppare alcun senso di responsabilità per la propria mansione, con l’intento di lavorare il meno possibile a discapito della qualità della propria prestazione, per concentrarsi in toto sulla propria vita privata e sulle attività extra-lavorative.

Una chiave di lettura del fenomeno potrebbe essere da ricercare nell’insoddisfazione dei dipendenti per la propria posizione, in pratica significa che il dipendente è pronto a cambiare posizione o che sta addirittura cercando un nuovo lavoro.

Un altro aspetto da considerare è che il dipendente stia vivendo (o stia per vivere) un fenomeno di burnout: a livello psicologico l’abbandono silenzioso può essere considerata infatti come una delle modalità di comportamento utilizzate, anche inconsciamente, dal dipendente per alleviare forti situazioni di stress lavoro-correlato.

Il fenomeno del quiet quitting potrebbe essere anche legato alla ricerca del benessere e dell’equilibrio, il periodo pandemico ha rafforzato nel lavoratore l’idea che si possa essere ugualmente produttivi ed efficienti anche lavorando da remoto, con addirittura la possibilità di gestire meglio l’equilibrio tra vita privata e lavoro. Dopo la pandemia le priorità delle persone appaiono fortemente cambiate, tanto che molti non sono più disposti a tornare a lavorare alle condizioni pre-covid, soprattutto i giovani che, oggi, complice anche l’attuale situazione economica del Paese, nutrono meno ambizioni di carriera.

IL FENOMENO DEL JOB CREEP O WORK CREEP

Il fenomeno opposto a quello dell’abbandono silenzioso è quello del job creep, o “lavoro strisciante”.

Questo fenomeno in voga negli anni 2000 e poi scomparso per qualche anno, è tornato a far parlare di sé complici anche gli effetti lasciati dalla pandemia, dal boom dello smartworking e del lavoro ibrido, all’utilizzo sempre più frequente di strumenti tecnologici. In questo caso, il dipendente tende ad assumersi più incarichi rispetto a quelli previsti per la  propria mansione, a estendere l’orario di lavoro oltre i limiti contrattuali e a rimanere sempre collegato al computer o allo smartphone, costantemente a disposizione di superiori e colleghi. Ne consegue ovviamente uno sbilanciamento del cosiddetto work life balance a favore della vita professionale, con relativo stress e peggioramento della qualità della vita. I confini tra lavoro e vita privata, specie quando si lavora da remoto, sono sempre più sottili: tale fenomeno fa leva su fattori psicologici, come la volontà di riconoscimento o il voler sempre soddisfare le aspettative dei manager. Per alcune persone il fatto di cambiare il proprio modo di lavorare e stravolgere i ritmi lavorativi (attraverso lo smart working) ha portato al rovescio della medaglia, e cioè non essere stati in grado di rallentare i propri ritmi. Il job creep è proprio questo: la volontà di non fermarsi mai, di continuare a lavorare ben oltre l’orario, di continuare a produrre e assumersi sempre più responsabilità, anche senza promozioni o aumenti di stipendio. Kim Marie Thore, esperta di marketing, comunicazione e relazioni pubbliche, focalizzata su strategie e risultati aziendali, è intervenuta in merito all’argomento sul suo profilo LinkedIn, facendo presente che il primo passo per “combattere” questo fenomeno è quello di “essere onesti quando fissiamo le nostre aspettative con noi stessi, col nostro team e con i nostri superiori, cercando di essere efficienti, ma con un occhio più critico e senza avere paura di dire di no”. Perché, “un lavoratore sano, con la mente sgombra, è di sicuro più efficiente di uno pressato dalla mole di progetti. Spezziamo la convinzione che dire sempre sì induca ad un miglioramento della propria posizione” conclude Kim.

I NUOVI RISCHI PSICOSOCIALI NELLE PICCOLE AZIENDE

Qual è quindi lo stato di salute attuale dei lavoratori? E come stanno i lavoratori di aziende medio/piccole, che hanno avuto meno strumenti per gestire in maniera ottimale la nuova organizzazione del lavoro dettata dalla pandemia? L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), ha presentato una relazione contenente i risultati di uno studio sulla gestione dei rischi psicosociali nei posti di lavoro europei, intervistando alcuni lavoratori di micro e piccole imprese in Danimarca, Germania, Spagna, Croazia, Paesi Bassi e Polonia. Attraverso questa intervista, i lavoratori hanno segnalato:

  • cattivo equilibrio tra lavoro e vita privata, raccontando di vivere con un alto livello di stress a causa dell’eccessivo carico lavorativo; carenza di personale nel settore dell’istruzione che porta a molte ore di lavoro extra con conseguente aumento di stress;
  • alto livello di accettazione e consapevolezza di questi fattori di rischio che finiscono per essere considerati come elementi inalienabili delle attività di lavoro;
  • discrepanza tra le interpretazioni dei lavoratori e dei manager sul rischio connesso all’eccessivo carico di lavoro;
  • scarse relazioni sociali sul posto di lavoro.

Alcuni intervistati in Spagna e nei Paesi Bassi hanno indicato che l’impatto del telelavoro ha permesso ai giovani genitori di trascorrere più tempo con i figli, ma altri intervistati hanno spesso sollevato il pericolo di confusione tra lavoro e vita familiare. La ricerca ha raccolto poi opinioni differenti anche tra i lavoratori più giovani e senza impegni familiari. Alcuni, infatti, preferiscono comunicare e lavorare online a causa della comodità e del denaro risparmiato nei viaggi casa-lavoro, mentre altri parlano della lotta per bilanciare lavoro e vita privata e si sentono sopraffatti dalle forme puramente online di comunicazione con i colleghi. Molti lavoratori hanno notato, come risultato del telelavoro, un deterioramento della qualità della comunicazione: la mancanza di contatto umano e di dialogo tra i lavoratori hanno ridotto la possibilità di confronto e condivisione dei problemi legati al lavoro.

CONCLUSIONI

Il fenomeno delle dimissioni di massa e la difficoltà a reperire risorse valide e competenti nel mondo del lavoro sono in gran parte  figli” della pandemia e degli strumenti organizzativi di contrasto al contagio che sono stati adottati il più delle volte in maniera estemporanea e senza il giusto monitoraggio. In conseguenza di ciò i lavoratori hanno prima sviluppato sintomi legati al jobcreep, consistenti nella difficoltà a scindere vita lavorativa da vita privata, quindi sintomi di quiet quitting, ovvero disaffezione al lavoro. Come poter reagire a questa discrasia dell’equilibrio
vita/lavoro? In parte con ciò che l’ha causata, ovvero con il lavoro agile, che deve diventare non solo agile ma anche cosciente, performante e lungimirante. Inoltre, adottare misure di conciliazione (o meglio armonizzazione) vita/lavoro oggi è la chiave di volta per ripristinare l’equilibrio virtuoso che deve caratterizzare il mondo del lavoro.
Se infatti Vespasiano, imperatore romano, ci insegna che pecunia non olet 1 (il denaro non puzza), il fenomeno della great resignation odierno ci indica che le questioni meramente economiche sono relative: lo stipendio è infatti
soltanto uno dei tanti elementi che creano la soddisfazione del lavoratore.

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