HR&Organizzazione – L’ECONOMIA dell’attenzione

Andrea Merati, Consulente sistemi di gestione aziendale

Tutto ebbe inizio il primo settembre 1969, quando l’economista, nonché professore, Herbert Simon parlò di “Progettare organizzazioni per un mondo ricco di informazioni”; l’evento, una conferenza universitaria, rimase casualmente compreso tra il Festival di Woodstock, a metà agosto, e la morte di Jack Kerouac, a fine ottobre: si concludono gli anni Settanta, inizia a spegnersi la rivoluzione giovane e si accende il congegno dell’innovazione tecnologica digitale. Il professor Simon, per farsi comprendere, raccontò una storiella (il termine cool sarebbe storytelling, ma non riesco): «La Pasqua scorsa i miei vicini hanno comprato per la loro figlia un paio di conigli. Non so se intenzionalmente o per sbaglio, fatto sta che uno era maschio e l’altra femmina, e così ora viviamo in un mondo ricco di conigli. Che un mondo sia ricco o povero di conigli è una questione relativa. Ma poiché il cibo è essenziale per le popolazioni biologiche, potremmo giudicare se il mondo è povero o ricco di conigli, mettendo a confronto il numero di conigli con la quantità di lattuga ed erba a loro disposizione. Un mondo ricco di conigli è un mondo povero di lattuga e viceversa». Più avanti, nel discorso, aggiunge: «In una società ricca d’informazione deve dunque mancare qualcosa: questo qualcosa è l’attenzione».

Abbiamo a disposizione una gran quantità di ricerche (gli scettici possono riversarsi sull’internet a cercare i lavori di Hayles o di Seaver) sulle moderne capacità di lettura: in digitale è molto più difficile mantenere lo stesso livello di comprensione, empatia e ricordo rispetto alla lettura su carta; inoltre, dopo oltre cinquant’anni, si conferma il pensiero del professor Simon: abbiamo una enorme ricchezza di informazioni ma, contestualmente, siamo sempre più affetti da un deficit di attenzione. Tra il 2017 e il 2021 si è prodotta una quantità di dati che ha superato quella generata nell’intera precedente storia umana, tanto che si comincia a parlare di non sapere più dove metter la roba (gli armadi digitali occupano spazio ma, al contrario dei nostri guardaroba, hanno anche il problema di consumare un sacco di energia). Da quando gran parte delle nostre vite (quella privata e quella lavorativa) hanno preso casa on line, la nostra capacità di concentrazione ha iniziato a scemare: complessivamente per circa il 40%, con picchi nei giovani (64%) e nella mezza età (57%), le motivazioni di tale fenomeno pare siano ascrivibili alla dipendenza da smartphone, alla bulimia da social network e all’uso compulsivo, assurdo e violento della posta elettronica (in questo caso, agnostici e dubbiosi possono scatenare il Google su Fletcher – non è la signora in giallo -, Demeneix o CMU of Pittsburgh; gli aggettivi, invece, sono colpa mia).

Tutto questo ci racconta che abbiamo un problema di comunicazione efficace, che è molto probabile che il nostro messaggio non venga assimilato e che risulti anche poco assorbito, per non parlare di quanto possa esser capito. Perdite di tempo enormi e costose, tanto che hanno pure un nome: switch cost, il costo dello spostamento dell’attenzione, quando si guardano le notifiche o si leggono messaggi e poi si deve tornare al lavoro iniziale. Tornando al nostro professore, egli ci ricorda che per elaborare le informazioni è necessario distribuire la nostra attenzione attraverso quattro classi di attività: ascolto, conservazione, pensiero e parola; da qui si evince che una organizzazione deve tendere ad assorbire
meno quantità possibile di attenzione, assumendo più informazioni di quante ne produce; quindi, funziona se ascolta e pensa più di quanto parli.
Dobbiamo rivedere la progettazione e le modalità dei nostri sistemi informativi, legando il tutto a una cultura nuova della comunicazione, tecnologica e no, verso l’esterno ma, soprattutto, all’interno del nostro spazio professionale. Ci torneremo, nel mentre possiamo considerare che Herbert Simon ha vinto il Turing nel 1975, il Nobel per l’economia nel 1978 e, nel 1993, ha ottenuto il riconoscimento per gli straordinari contributi dati alla psicologia, dall’American Psychological Association; potremmo anche disapprovare le sue conclusioni, osservando orgogliosamente sui ripiani della nostra libreria, la medaglia d’oro della Marciallegra vinta alle medie e il diploma di merito conquistato al circolo degli scacchi, ma rischiamo di perderci in un labirinto di informazioni inutili, che distolgono l’attenzione da ciò che ci serve davvero.


Scarica l'articolo