Il Kaizen è l’antitesi del vecchio barbogio che l’altra settimana ha attraversato la strada in un punto a caso, a pochi metri dalle strisce pedonali, transitando dietro la mia auto; il tutto, con naturalezza sconfortante, mentre parcheggiavo in retromarcia. Per guadagnare trenta secondi del suo tempo ha rischiato di non averne mai più da vivere. Inoltre, l’elettrizzato vegliardo, come avrebbe scritto Camilleri, faceva voci perché ho frenato di colpo spaventandolo. Il patriarca dell’intelligenza naturale non ha analizzato le sue attività e non ne ha colto gli errori; quindi, sicuramente li commetterà di nuovo e, probabilmente, una delle prossime volte gli sarà fatale. Ovviamente rimane l’eventualità che fosse un tentativo di suicidio, ma non è questo il caso che normalmente dobbiamo immaginare per le nostre professioni; per questo motivo proseguo sulla strada degli errori non raccolti. Il termine Kaizen deriva dalle parole giapponesi Kai (cambiamento) e Zen (migliore), identificando l’idea del cambiamento costante verso il miglioramento. Chi ne ha sentito dire da suo cugino o ha visto un tutorial, spesso si ferma a vederlo come un metodo per evitare gli errori, oppure per raggiungere la perfezione, ma non è per nulla questo. In altri casi si identifica il Kaizen come un metodo per la grande industria; di norma, da chi non è avvezzo alla fatica dell’approfondimento, viene associato unicamente alla Toyota. Studiando qualcosa in più delle prime sei righe di Wikipedia o comprandosi un libro (esistono ancora, sfogliabili in carta o rotabili in digitale) si scopre che è una modalità di pensiero, trasformato in sistemi di azione che possono far bene a qualsiasi organizzazione, di dimensioni molteplici e produzioni multiformi. Intanto partiamo dal principio che si tratta di un’astrazione. Niente a che vedere con l’arte ma con la pratica che tende a sostituire con una formula la concreta molteplicità del reale. Quindi dobbiamo immaginare di trovarci nella tangibile e costante dedizione ad apportare piccoli cambiamenti ogni giorno, con l’obiettivo di migliorare una specifica cosa quotidianamente, lavorando sulla parte di un tutto, mantenendo costantemente l’integrazione di tutti i pezzi. L’impatto del miglioramento continuo non sarà né drastico né immediato, perché stravolgere all’improvviso può creare le condizioni di un ribaltamento, come quando si sta su di una barca e ci si sposta tutti su di un lato per non farsi spruzzare dall’onda: si finisce in mare di fianco al natante capovolto, a tentare di rimetter le cose a posto per non affogare (grande ritorno del suicidio accennato in partenza). Per chi ha scarsa fiducia nella filosofia può sempre consegnarsi alla musica, che fa sempre un gran bene: Dolcemente viaggiare, Rallentando per poi accelerare, Con un ritmo fluente di vita nel cuore, gentilmente, Senza strappi al motore. Seconda questione fondamentale: non bisogna confondere il miglioramento continuo con la ricerca della perfezione. Questa, infatti, è una convinzione onanistica e porta con sé un pensiero assolutistico e dispersivo, per non parlare di quanto possa essere tragicamente autoassolutorio quando non si raggiunge il risultato. La metodologia Kaizen non punta alla perfezione fin da subito, ma vuole creare le condizioni perché una serie di perfezionamenti e progressi portino a un cambiamento concreto, positivo e significativo. L’obiettivo è marciare, non arrivare, è creare la capacità dell’organizzazione di seguire un processo continuo dove i cambiamenti possono portare ai risultati attesi e, contemporaneamente, ripartire per altri obiettivi. Nelle prossime puntate entreremo nei particolari e vedremo anche qualche strumento tangibile, per ora pensiamo ai tre temi fondamentali del metodo. Coinvolgimento di tutti gli appartenenti all’organizzazione, creando un ambiente in cui tutti collaborano per raggiungere obiettivi comuni, dove ognuno condivide le proprie conoscenze, le competenze acquisite e le esperienze vissute, superando la concezione del gruppo e assimilando quella della squadra. Eliminazione degli sprechi creando processi sempre più produttivi e funzionanti, che non facciano perdere tempo ed energie. Osservazione costante delle prestazioni eliminando i processi scarsamente produttivi e malamente funzionanti, con l’introduzione di nuove idee, procedimenti diversi e tecniche rivoluzionarie (niente di sconvolgente, a volte la rivoluzione è solo l’abbandono di un’abitudine).