HR&Organizzazione – GLI STILI DI GESTIONE IN AZIENDA: come garantire efficacia e coerenza organizzativa

Fernanda Siboni, Psicologa del lavoro - Consulenza organizzativa, dello sviluppo risorse umane e della formazione - Coach, counselor e soft skills trainer

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Quando si parla di gestione aziendale, spesso si pensa prevalentemente alla capacità di dirigere le persone e alla leadership. In realtà occorre considerare anche che, alla base del funzionamento di un’organizzazione efficace ci sono i modelli organizzativi, veri e propri strumenti che definiscono come l’azienda è strutturata, chi fa cosa, come vengono prese le decisioni e come si gestiscono i processi operativi. In altre parole, il modello organizzativo rappresenta il modo in cui un’impresa si configura per raggiungere i propri obiettivi, garantendo coerenza, efficienza e conformità alle normative. Ma cosa si intende esattamente per modello organizzativo funzionale al raggiungimento degli obiettivi prefissati? Se paragoniamo un’organizzazione ad un’orchestra, ogni strumento ha una funzione specifica, ma la sinfonia perfetta è ottenuta facendo in modo che tutti gli strumenti, anche grazie al direttore d’orchestra, suonino armonicamente e sinergicamente tra di loro. Allo stesso modo, un modello organizzativo, ben progettato e ben gestito, assicura che ogni parte dell’azienda lavori in sinergia per raggiungere il successo. Un modello organizzativo si compone di diversi fattori quali: la struttura (gerarchica, funzionale, a matrice, piatta ecc), che individua le linee di responsabilità e i processi di comunicazione; i sistemi di governance interna (procedure, policy, protocolli, deleghe) che regolano i flussi operativi e decisionali; i meccanismi di gestione e controllo che definiscono gli assetti organizzativi e i sistemi di monitoraggio a tutela dell’azienda (audit, supervisioni, ecc). I modelli organizzativi sono, quindi, importanti in quanto, oltre a definire ruoli chiari e livelli di responsabilità (evitando così sovrapposizioni e ambiguità spesso origine di inefficienze), migliorano i processi decisionali (grazie a linee gerarchiche e procedure definite), riducono i rischi legali, potenziano il rispetto delle regole e la gestione, assicurano conformità normativa e accountability, favoriscono l’adattabilità al cambiamento, diventando una base solida per l’innovazione e la crescita dimensionale. Il modello organizzativo è una parte essenziale del sistema azienda: se consideriamo l’organizzazione aziendale come un insieme integrato di persone, attività, risorse e relazioni che operano per raggiungere obiettivi comuni, all’interno di questo sistema, il modello organizzativo costituisce la struttura portante, definendo relazioni gerarchiche e funzionali, includendo regole e procedure che funzionano come regolatori del sistema, garantendo ordine ed efficienza, allineando la struttura operativa con la strategia aziendale, riducendo inefficienze e disequilibri, creando connessioni funzionali tra persone, risorse e informazioni, funzionando come uno strumento di adattamento ai cambiamenti normativi, tecnologici o di mercato. Integrare il modello organizzativo nella visione sistemica dell’azienda permette di: avere una visione d’insieme, comprendendo come ogni decisione influenzi l’intera organizzazione; garantire maggiore coerenza interna, evitando sovrapposizioni o conflitti tra funzioni e attività; rafforzare la capacità dell’azienda di affrontare cambiamenti o crisi, aumentando la sua resilienza e adattabilità.

MODELLI ORGANIZZATIVI: MECCANICO O ORGANICO?

Con riferimento alle macro-categorie di modelli organizzativi, possiamo considerare due principali tipologie: il modello meccanico e quello organico. Conoscerli è fondamentale per individuare poi lo stile di gestione più congruo. Il modello meccanico è tipico delle organizzazioni gerarchiche, rigide, con ruoli ben definiti e comunicazione verticale, dove ogni persona ha compiti chiari e le decisioni sono centralizzate. Immaginiamo una macchina ben oliata, dove ogni ingranaggio ha un ruolo preciso e deve funzionare in modo efficiente e prevedibile. In questo tipo di organizzazione, i compiti sono suddivisi in modo dettagliato, i ruoli sono chiari e ogni dipendente sa esattamente cosa deve fare. La comunicazione avviene prevalentemente dall’alto verso il basso, e le decisioni sono prese dai livelli superiori del management. Questo modello funziona bene in ambienti stabili, poco innovativi, dove i processi sono ripetitivi e l’efficienza è prioritaria. Al contrario, il modello organico è flessibile e meno gerarchizzato: l’organizzazione è paragonabile a un organismo vivente, dove le funzioni e i ruoli possono cambiare ed adattarsi in base alle necessità, la comunicazione è più aperta e multidirezionale, e i dipendenti sono incoraggiati a collaborare e a partecipare attivamente alle decisioni, favorendo creatività e innovazione. Si caratterizza per flessibilità, ruoli adattivi e comunicazione orizzontale. È ideale per ambienti complessi e dinamici, come le startup o le aziende tecnologiche, dove la rapidità di adattamento è fondamentale.

Di seguito un prospetto che caratterizza i due modelli: Immagine che contiene testo, schermata, Carattere, numero

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Alcune aziende adottano modelli ibridi in relazione alle funzioni organizzative, per esempio strutture meccaniche per attività tendenzialmente standardizzate (come, per esempio, l’amministrazione ordinaria) e modelli organici per generare innovazione e progetti strategici (per esempio, il marketing).

LO STILE DI GESTIONE COME SCELTA STRATEGICA E CULTURALE

Spesso si ritiene che lo stile di gestione sia solo una questione legata alle inclinazioni dell’imprenditore o del manager: autoritario o democratico, orientato al compito o alle persone. In realtà, dovrebbe essere una scelta strategica e culturale attentamente ponderata poiché, attraverso lo stile gestionale scelto, vengono inviati precisi messaggi all’intera organizzazione. Se, ad esempio, un’azienda punta sull’innovazione, ha bisogno di team autonomi e creativi e, in questo caso, uno stile partecipativo, che valorizza idee e iniziativa dei dipendenti, sarà più efficace rispetto ad un approccio autoritario che potrebbe bloccare la creatività. Al contrario, un’azienda focalizzata sull’efficienza richiederà uno stile direttivo, per garantire il rispetto delle procedure e l’ottimizzazione delle attività. Inoltre, è importante che lo stile di gestione sia coerente con la cultura organizzativa di riferimento: un manager che adotta uno stile opposto ai valori aziendali rischia di auto-delegittimarsi, di non essere percepito come “allineato” con le direttive aziendali generando, conseguentemente, confusione nei collaboratori e penalizzando il rapporto di fiducia con loro. È inoltre utile che un responsabile adatti il proprio stile di gestione alle esigenze dei collaboratori: il collaboratore junior ha bisogno di indicazioni chiare e feedback continui, chi è esperto (ma ancora insicuro), necessita di supporto e conferme, mentre il collaboratore senior (e autonomo) richiede un approccio incentrato sulla delega che lo responsabilizzi e lo faccia crescere ulteriormente. Naturalmente, non esiste un modello organizzativo (o uno stile di gestione) migliore in assoluto: la scelta dipende dal contesto di riferimento (interno ed esterno), dalla strategia aziendale che si vuole attuare e dalla cultura interna. L’importante è garantire coerenza tra struttura, gestione e obiettivi strategici, costruendo un’organizzazione capace di essere, al tempo stesso, stabile e innovativa, efficiente e creativa, pronta ad affrontare le sfide di un mercato in continua evoluzione. Ad esempio, in una startup appena nata, è particolarmente utile uno stile partecipativo, capace di motivare e coinvolgere il team nelle sfide quotidiane. Invece, in un’organizzazione consolidata e stabile, risulta più funzionale uno stile delegante accompagnato dal controllo strategico: in questo modo si mantiene l’efficienza senza soffocare l’autonomia operativa delle persone. Nei momenti di crisi, infine, diventa necessario un approccio più direttivo per poter agire velocemente, ma sempre unito a un sostegno formativo che aiuti i collaboratori ad affrontare il cambiamento. Gestire le persone non è mai un atto neutro: ogni scelta di leadership ha un impatto strategico e può avvicinare l’organizzazione ai propri obiettivi, oppure allontanarla! Quando un manager applica sempre e solo il proprio stile preferito, senza fermarsi a leggere l’ambiente e il momento storico, rischia di perdere efficacia: all’inizio gli effetti possono sembrare impercettibili, ma nel tempo si trasformano in problemi significativi (conflitti di priorità, aumento dello stress, calo motivazionale e una generale sensazione di incoerenza nella leadership). Si pensi, ad esempio, a un manager che continua a delegare tutto anche in una situazione di crisi, quando invece servirebbero decisioni rapide e dirette. O, al contrario, a un capo che mantiene un controllo rigido e direttivo in un contesto creativo, finendo per soffocare l’innovazione e la partecipazione del team. Può essere utile che chi gestisce si ponga alcune domande, quali, per esempio:

• Qual è la strategia che l’azienda sta perseguendo in questo momento?

• Qual è la cultura organizzativa in cui mi muovo?

• Di cosa hanno bisogno i miei collaboratori adesso?

• Qual è il contesto esterno e il momento storico che stiamo vivendo?

• Quali sono le priorità?

• Il mio stile di gestione attuale è coerente con le esigenze presenti?

• Quale stile potrei integrare o modulare per essere più efficace?

Un aspetto fondamentale dello stile di gestione è la coerenza: se un responsabile si dichiara a parole favorevole al coinvolgimento e aperto al contributo dei collaboratori, ma poi accentra tutte le decisioni, genera inevitabilmente disorientamento e frustrazione. Allo stesso modo, se un’azienda propone una carta dei valori promuovendo proclami sull’empowerment, la collaborazione, l’iniziativa (o altri principi analoghi) ma poi premia comportamenti organizzativi che vanno nella direzione opposta, mina la fiducia e la motivazione dei propri dipendenti. Pertanto, l’efficacia gestionale è possibile se vi è allineamento fra:

• ciò che si dichiara (valori e comunicazione),

• ciò che si decide (strategie e policy),

• ciò che si fa (azioni quotidiane).

Quando questi tre livelli sono coerenti tra loro, la leadership diventa credibile, generativa e solida.

GLI STILI DI GESTIONE: CARATTERISTICHE, UTILITÀ E LIMITI

Quali sono gli stili gestionali maggiormente ricorrenti, e come possono essere efficacemente integrati con i modello organizzativi di riferimento?

1. Stile direttivo. Si basa su un approccio gerarchico chiaro: il manager prende tutte le decisioni senza consultare il team, definisce regole precise e si aspetta che i collaboratori le eseguano senza discutere, la comunicazione è unidirezionale (dall’alto verso il basso) la delega è nulla (o minima). Si tratta di uno stile funzionale in situazioni di emergenza o di crisi (es. evacuazioni, incidenti gravi), quando si ha a che fare con collaboratori junior ed inesperti, quando si opera in contesti fortemente regolati dalle norme ed in presenza di strutture organizzative marcatamente gerarchizzate e quando il modello organizzativo di riferimento è “meccanico”. È uno stile adatto in contesti che richiedono esecuzione immediata e disciplina (come nel caso di un responsabile di produzione che assegna compiti con chiarezza durante un fermo macchina). A lungo termine tale stile può però generare paralisi dell’iniziativa e dell’autonomia dei collaboratori, carenza di problem solving, assenza di pensiero critico, demotivazione, tensione e blocco dell’innovazione. Lo stile direttivo può essere paragonato ad un farmaco potente: è utile in emergenza, ma tossico nel tempo.

2. Stile transazionale. Si basa su scambi chiari tra manager e collaboratori dove il leader definisce compiti e aspettative, e i collaboratori ricevono ricompense o sanzioni in base ai risultati ottenuti. Il concetto chiave è del tipo: “Se tu fai questo, io ti do quello”, secondo una logica premio/punizione. È orientato al raggiungimento di obiettivi specifici, basato su regole, procedure, contratti psicologici chiari, dove il manager controlla e supervisiona costantemente l’operato dei collaboratori e usa ricompense (bonus, incentivi) per stimolare la performance e sanzioni in caso di mancato rispetto delle aspettative. Si differenzia dallo stile direttivo in quanto quest’ultimo attiva una modalità di guida prevalentemente attraverso il dare ordini e l’attivare il controllo (fai questo perché te lo ordino e so che è la soluzione giusta), mentre il modo transazionale si avvale di un sistema di “scambio” ed incentivi (se raggiungi questo obiettivo, avrai questa ricompensa). Anche se comporta il rischio di generare eccessive rigidità, funziona in contesti organizzativi di tipo meccanico quando è necessario garantire ordine, rispetto delle regole e raggiungimento di risultati concreti in tempi brevi.

3. Stile partecipativo. Prevede un coinvolgimento attivo dei collaboratori: il manager stimola il confronto di idee e la condivisione di responsabilità, pur mantenendo autonomia nella decisione finale. Si rivela proficuo se attuato con collaboratori esperti, nelle situazioni in cui è richiesta innovazione e sviluppo del problem solving, nelle fasi di cambiamento, anche al fine di accrescere la motivazione e l’accrescimento delle competenze trasversali (per esempio, un project manager in una agenzia digital che coinvolge il team in un brainstorming strutturato per definire strategie). Tuttavia, può portare, talvolta, ad un rallentamento dei processi decisionali, allo sviluppo di compromessi a scapito del perseguimento delle priorità, alla generazione di conflitti nei teams poco maturi. Onde evitare questi effetti collaterali, è opportuno definire a priori e chiaramente i perimetri decisionali, facilitare il confronto costruttivo, valorizzare i contributi di tutti. Di fatto lo stile partecipativo contribuisce a trasformare i collaboratori da semplici esecutori a veri co-creatori, aumentando motivazione, apprendimento e risultati e si addice ad un contesto organizzativo di tipo organico.

4. Stile delegante. Si fonda su una fiducia piena nelle capacità dei collaboratori: il manager definisce obiettivi e risultati attesi, ma lascia loro la libertà su come raggiungerli, fornendo supporto solo se richiesto. È produttivo se utilizzato con collaboratori altamente competenti e responsabili, in team auto-organizzati e agili, quando il manager ha la necessità di concentrarsi su attività strategiche e non ha tempo per occuparsi di questioni operative. Efficace con professionisti esperti (come per esempio un manager R&D che assegna un obiettivo e lascia piena autonomia su come raggiungerlo), è compatibile con modelli organizzativi di tipo organico. Tuttavia, può generare senso di abbandono nei collaboratori meno pronti, errori operativi (in mancanza di adeguato monitoraggio), disomogeneità di approccio ai problemi (se le linee guida non sono chiare). Prima di attuare questo stile occorre verificare il livello di maturità ed autonomia dei collaboratori, definire obiettivi, tempi e criteri con chiarezza, concordare le modalità del monitoraggio, offrire supporto su richiesta, e, successivamente, fornire feedback sul processo e sui risultati. È importante ricordare che delegare non significa scaricare compiti, ma investire fiducia per sviluppare competenze e responsabilità.

5. Coaching style. Ha l’obiettivo di sviluppare le competenze, l’autonomia e il potenziale dei collaboratori: ogni attività quotidiana diventa un’occasione di apprendimento e crescita, il focus è sulle competenze e sul potenziale individuale, la comunicazione è improntata sul supporto graduale che guida verso l’autonomia, verte sulla definizione di piani di sviluppo personalizzati e sulla capacità di stimolare la motivazione intrinseca. Si rivela particolarmente efficace con collaboratori junior e in fase di apprendimento, per formare future figure chiave durante cambiamenti organizzativi o tecnologici, in presenza di gap di performance, oppure nella realizzazione di progetti complessi e innovativi. Richiede tempo e pazienza, talvolta può rischiare di trasformarsi in un eccesso di guida e può rallentare i processi produttivi. Per applicarlo in modo efficace è utile definire gli obiettivi formativi (oltre a quelli operativi), adottare una comunicazione da coach (con domande aperte e feedback stimolanti), prevedere affiancamenti operativi costanti, lasciare spazio alla sperimentazione e alla gestione dell’errore, favorire la progressiva autonomia del collaboratore. In sostanza il coaching style non comporta solo insegnamento, ma accompagnamento del collaboratore verso la piena espressione del suo potenziale.

6. Stile trasformazionale. Si basa sulla capacità del leader di ispirare e motivare il team verso obiettivi ambiziosi, promuovendo cambiamento, innovazione e “senso” (scopo legato a ciò che si fa). Le sue caratteristiche chiave includono una visione chiara e ispirante, la motivazione intrinseca basata su valori e significati profondi, la spinta costante all’innovazione e al miglioramento continuo, un forte focus su empowerment e sviluppo personale, oltre a un alto livello di intelligenza emotiva. È particolarmente indicato nei cambiamenti strategici o culturali, per aumentare l’engagement e il senso di appartenenza, in progetti di innovazione radicale e per sviluppare talenti e future leadership. È funzionale in un contesto organizzativo di tipo organico. Tra i rischi troviamo l’eccessiva dipendenza dal leader carismatico, il sovraccarico emotivo (e conseguente rischio burnout), il disallineamento operativo (se manca una gestione concreta), e la percezione di una sorta di illusione (se la vision è troppo scollegata dalla realtà). Per attuare uno stile trasformazionale efficace è importante costruire e comunicare vision realistiche e, nel contempo, ambiziose, generare connessioni positive con le persone coinvolte, comprendere le motivazioni di ciascun collaboratore, incoraggiare innovazione e sperimentazione, integrare coaching e supporto operativo (volto a realizzare la vision), essere un esempio coerente con i valori e gli obiettivi dichiarati. Infatti, il leader trasformazionale sa ispirare il team non solo attraverso l’esplicitazione della propria vision, ma soprattutto con l’esempio quotidiano.

LA COERENZA STRATEGICO-ORGANIZZATIVA

Per garantire efficacia e competitività di un’organizzazione aziendale e di uno Studio professionale, è essenziale l’allineamento tra:

Strategia – cosa voglio fare

Modello organizzativo – come mi organizzo per farlo

Stile di gestione – come gestisco le persone per realizzarlo

Quando questa coerenza manca, emergono diversi problemi, quali: la riduzione dell’efficacia strategica (per esempio, una strategia innovativa implementata in una struttura rigida rallenta l’innovazione); la mancanza di comunicazione e coordinamento con conseguente ambiguità sui ruoli e sulle priorità, conflitti interni, confusione nei flussi comunicativi e aumento degli errori operativi; e ancora calo della motivazione (uno stile incoerente con il modello organizzativo mina l’engagement e aumenta il turnover, soprattutto dei talenti più motivati); inefficienza operativa (duplicazioni, sprechi, sovrapposizioni di ruoli e difficoltà di monitoraggio determinano costi aggiuntivi e lentezza esecutiva); perdita di vantaggio competitivo (un’organizzazione incoerente non riesce a implementare la strategia, perde valore per i clienti e viene superata dai competitor più agili). Può succedere che, all’interno di un’azienda, alcuni manager siano allineati ed altri agiscano in maniera distonica rispetto al modello organizzativo di riferimento e alle direttive ricevute. Ciò può accadere per variegati motivi, fra i quali per esempio: l’assenza di un modello di leadership aziendale condiviso, la mancanza di comunicazione interna e di formazione sui comportamenti attesi, l’assenza di parametri di valutazione della prestazione che richiamino il tema dell’allineamento gestionale. Tale situazione può generare effetti critici: i collaboratori percepiscono messaggi diversi (per esempio le linee guida recepite nei meeting periodici interfunzionali divergono rispetto allo stile gestionale quotidiano esercitato dal responsabile di riferimento) e possono, quindi, sentirsi confusi e disorientati sia nell’esecuzione delle attività quotidiane che nella gestione delle priorità. Questo, nel tempo, può generare nel dipendente caduta di motivazione (la contraddittorietà manageriale mina la fiducia e aumenta il turnover), calo delle performance complessive (i team guidati in modo incoerente non implementano la strategia, perseguendo obiettivi scollegati dal piano generale), conflitti organizzativi. Infine, le divergenze tra manager alimentano tensioni e problemi relazionali che riducono produttività ed energia.

CONCLUSIONE

L’invito agli Studi Professionali è che, nel fornire attività di consulenza ai propri clienti, tengano conto anche dell’analisi degli aspetti fin qui esposti, consapevoli che sensibilizzare imprenditori ed aziende all’identificazione dello stile di leadership più funzionale è solo il primo passo: la vera maestria sta nell’applicarlo con coerenza strategica, creando un ambiente prevedibile (le persone sanno cosa aspettarsi), affidabile (le azioni sono allineate ai valori dichiarati), flessibile (modulare lo stile senza contraddirne i principi guida) e produttivo. Le aziende che investono in coerenza manageriale hanno buone probabilità di attrarre e trattenere i talenti migliori, incrementare la produttività e diventare più resilienti di fronte alle sfide.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

Federico Butera– (1992) – L’orologio e L’organismo – Franco Angeli

Henry Mintzberg – (1996) – La progettazione dell’organizzazione aziendale – Il Mulino

Maurizio Decastri (2016) – Leggere le organizzazioni – Guerini Next Richard

L. Daft (2021) – Organizzazione aziendale – Maggioli Editore

Junior Brevil (2023) – Leadership trasformazionale e cultura organizzativa – Edizioni Sapienza.

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