GUIDARE E SVILUPPARE COMPETENZE: Il ruolo del Mentoring nelle organizzazioni

Fernanda Siboni, Psicologa del lavoro - Consulenza Organizzativa, dello Sviluppo Risorse Umane e della Formazione - Coach, Counselor e Soft Skills Trainer

La ricerca e la sperimentazione nell’ambito dello sviluppo delle competenze nelle organizzazioni ha visto, negli ultimi anni, il ricorso a diversi approcci: dall’e-learning, al counselling, al coaching, al mentoring. Quest’ultimo si è rivelato e risulta essere quanto mai utile ed attuale, soprattutto in una fase in cui le imprese necessitano di creare nuove opportunità per i neoassunti e favorire il ricambio manageriale, unitamente allo sviluppo di nuove forme di collaborazione fra le risorse interne. Il mentoring, in generale, è un processo di supporto e guida in cui un individuo più esperto e competente (mentore), fornisce orientamento, consigli e sostegno a un individuo meno esperto o più giovane (mentee), al fine di favorirne lo sviluppo professionale e personale. Il mentore utilizza la propria esperienza, conoscenza e competenza per aiutare il mentee a sviluppare competenze e crescere nel proprio percorso di carriera. L’etimologia della parola mentore nasce dall’Odissea: Mentore era l’amico fidato e consigliere di Ulisse, il quale, prima di partire per Troia, chiese a Mentore di prendersi cura di suo figlio Telemaco e di prepararlo a succedergli al trono. Nel corso del poema, la Dea Atena assume la forma di Mentore per guidare, proteggere e istruire Telemaco durante i suoi viaggi. In questo ruolo, Mentore (ed Atena) hanno la funzione di insegnante, di guardiano e di protettore, infondendo saggezza e fornendo consigli. Il mentoring può essere definito come una metodologia di formazione che avviene attraverso una relazione tra un soggetto con più esperienza ed un allievo interessato a sviluppare determinate competenze. Durante il percorso di apprendimento, il mentor condivide, sottoforma di insegnamento e trasmissione di esperienza, il proprio sapere e le proprie competenze per favorire la crescita personale e professionale del mentee. Il mentoring può avvenire sia in modo formale, attraverso programmi strutturati all’interno dell’organizzazione, che in modo informale, attraverso relazioni spontanee. Il mentoring organizzativo è di solito strutturato e gestito dall’organizzazione di appartenenza che articola il processo di selezione e abbinamento del mentore e del mentee in base a criteri quali le competenze, le esperienze (del mentore) e gli obiettivi di sviluppo attribuiti al mentee. Il processo è monitorato dall’organizzazione stessa per valutare l’efficacia del programma e apportare eventuali miglioramenti necessari. L’obiettivo principale del mentoring organizzativo è, come detto, favorire lo sviluppo professionale e personale del mentee, attraverso il supporto e la guida del mentore, al fine di sviluppare competenze tecniche e soft skills utili all’esercizio del ruolo lavorativo e per raggiungere gli obiettivi di carriera individuati. Altri obiettivi sono: aiutare il mentee a comprendere la cultura organizzativa e i processi interni, facilitando così l’integrazione e l’adattamento all’ambiente di lavoro; incoraggiare il mentee a essere proattivo nel proprio sviluppo professionale, agevolando l’ottenimento della propria autonomia e l’acquisizione di sempre maggiori responsabilità. Da queste considerazioni si potrebbe pensare che il mentoring sia molto simile al coaching. In realtà i due approcci, pur occupandosi entrambi di sviluppo professionale, sono sostanzialmente differenti: mentre il coaching tende a fare emergere nel coachee le proprie risorse personali e le proprie abilità potenziali (di cui non sempre il coachee è conscio) al fine ottimizzarne la prestazione nel breve periodo, il mentoring privilegia la guida e la condivisione dell’esperienza da parte del mentore nei confronti del mentee per facilitarne l’orientamento nel contesto organizzativo e per sviluppare quelle competenze che la persona non esperta necessita di accrescere e perfezionare. Ne consegue che il coaching è un processo strutturato e metodico di aiuto volto a supportare il coachee nel raggiungimento di obiettivi di prestazione prefissati e specifici per far fronte a determinate sfide, mentre il mentoring tende ad avere un focus più ampio e a lungo termine sullo sviluppo professionale e personale dove il mentor fornisce orientamento, consigli e supporto al mentee per favorire la crescita complessiva e il successo nel percorso di carriera. Chi è il mentor in un’organizzazione? È una figura esperta e sagace (con competenze nel settore in cui il mentee necessita di essere addestrato), con un backgroud riconosciuto, che si fa carico (mettendo a disposizione esperienze, conoscenze e capacità), di guidare, consigliare orientare un neofita per aiutarlo a crescere professionalmente. È un professionista competente (solitamente interno all’organizzazione e quindi profondo conoscitore del contesto di riferimento), che è in grado di trasmettere chiaramente e pazientemente al mentee informazioni, conoscenze ed esperienze in maniera coinvolgente e motivante adattando il proprio approccio e la propria comunicazione al livello di ricezione dell’allievo, dimostrando con il proprio esempio pratico la via da seguire, rappresentando un modello di riferimento e di ispirazione da emulare. Le qualità funzionali di un buon mentore sono essenzialmente: esperienza consolidata, empatia, ascolto attivo, comunicazione efficace, interesse per la crescita dell’altro, flessibilità, pazienza, rispetto per gli altri, disponibilità, passione per la condivisione, lealtà, affidabilità, integrità professionale. Ne consegue che la selezione della persona “giusta” in grado di interpretare tale ruolo in maniera pertinente è fondamentale. Nella mia esperienza di coach e formatrice ho potuto notare che spesso le aziende selezionano la figura del mentore considerando quasi esclusivamente il background della persona in questione, unitamente alla sua disponibilità a “cedere” esperienza e competenze, trascurando il resto. Questo può risultare oltre che riduttivo anche rischioso perché può compromettere il buon esito dell’operazione. Pertanto, un’accurata indagine dei tratti attitudinali del candidato mentore e della motivazione che lo spinge ad esercitare questo ruolo, uniti ad una adeguata formazione personalizzata (soprattutto sul versante della comunicazione empatica ed efficace) possono fare la differenza. Il metodo utilizzato per realizzare una adeguata attività di mentoring comporta il presidio di alcuni passaggi fondamentali: 1) Definizione degli obiettivi che con il mentoring si vogliono raggiungere, in sintonia con gli obiettivi strategici di crescita dell’azienda e con le esigenze di sviluppo dei dipendenti. 2) Selezione dei dipendenti che possono beneficiare del mentoring e dei rispettivi mentori (sulla base dei criteri citati precedentemente) attraverso una opportuna mappatura delle competenze. Si tratta di un passaggio che richiede particolare attenzione e che comporta la rilevazione delle competenze possedute sia dai mentori (per valutarne l’idoneità) che dai potenziali fruitori del mentoring, per poter avere una panoramica del livello di partenza e quindi poter, successivamente, valutare il gap relativo al valore aggiunto acquisito al termine dell’attività di mentoring. 3) Formazione dei mentori per garantire che siano ben preparati a svolgere il ruolo in maniera efficace. 4) Presentazione del progetto ai partecipanti spiegando i benefici ed il valore aggiunto che si vuole ottenere. 5) Monitoraggio del percorso, mediante incontri periodici di verifica. 6) Riconoscimento dei successi, presentando ed enfatizzando i risultati ottenuti mediante la realizzazione di eventi celebrativi (per es. meeting con premiazione delle persone coinvolte nei progetti che hanno avuto esiti particolarmente interessanti). 7) Valutazione dell’efficacia del progetto a lungo termine, esaminando l’impatto sulle prestazioni, sullo sviluppo professionale e sull’engagement dei dipendenti. 8) Promozione di una cultura aziendale che valorizzi il mentoring e l’apprendimento continuo, incoraggiando i dipendenti a condividere le proprie conoscenze ed esperienze con i colleghi. Prima di decidere di attivare tale processo occorre, quindi, avere idee chiare in merito al fatto che il mentoring sia il metodo più idoneo, rispetto ad altri, per raggiungere determinati obiettivi. A mio avviso, i casi in cui il mentoring si rivela più utile sono: 1) L’inserimento di nuovi collaboratori all’interno dell’azienda, per agevolare l’integrazione dei nuovi dipendenti nel contesto di riferimento aiutandoli ad avere un approccio efficace al lavoro. 2) I casi in cui si rivela necessario diffondere nuove competenze operative all’interno dell’azienda ad integrazione della formazione di base fatta in aula o in e-learning, per esempio nel caso in cui un dipendente che necessita migliorare le proprie capacità di leadership potrebbe essere associato a un mentore con esperienza in quel campo, in grado di guidarlo nel percorso di sviluppo delle competenze richieste. 3) Le situazioni di successione, per preparare i dipendenti a ruoli di maggiore responsabilità e aiutarli a comprendere da vicino le sfide e le peculiarità di tali ruoli, per supportare il ricambio generazionale e valorizzare la “memoria storica” dell’azienda. 4) Durante i periodi di cambiamento in coincidenza con ristrutturazioni, fusioni, acquisizioni per favorire i processi di adattamento alle nuove situazioni. 5) Dove è necessario promuovere l’inclusione in ambienti in cui vi siano soggetti che possono sentirsi isolati o esclusi a causa di differenze culturali, linguistiche, di genere. Il mentore può contribuire a generare reti di relazioni utili a favorire il dialogo aperto e l’apprendimento reciproco fra persone con esperienze e background culturali differenti, facilitando la creazione di una cultura aziendale più inclusiva in cui tutti i dipendenti si sentono valorizzati e rispettati. In generale, il mentoring organizzativo può essere applicato in una vasta gamma di contesti all’interno dell’azienda, contribuendo a favorire lo sviluppo professionale, a promuovere la crescita personale, a generare lo scambio di conoscenze e esperienze tra mentore e mentee, a migliorare le performance complessive, contribuendo alla crescita collettiva e all’innovazione dell’organizzazione. In quest’ottica, si inserisce anche un’altra pratica: il “reverse mentoring”. Si tratta di una modalità sempre più diffusa in azienda, mediante la quale i dipendenti più giovani, meno esperti ma più “digital”, sono chiamati a trasferire competenze ai colleghi senior e ad aiutarli a familiarizzare con la tecnologia. Nel “mentoring al contrario”, si invertono le parti dell’insegnante e dell’allievo e l’azienda cresce anche grazie alle competenze degli juniors, stimolando lo scambio e la collaborazione tra generazioni, contrastando le diffidenze e i pregiudizi verso i giovani talenti. Si rivela particolarmente utile in contesti in cui vi è una rapida evoluzione tecnologica unita al bisogno di sviluppare competenze intergenerazionali. La realizzazione del “reverse mentoring” è piuttosto semplice, a patto che siano spiegati con chiarezza gli obiettivi ed il valore aggiunto ottenibile. Un esempio pratico può essere l’insegnamento, da parte dei giovani “digitalizzati” verso gli “anziani”, del funzionamento ed utilizzo di una determinata piattaforma: si organizzano incontri formali (di gruppo o “one to one”) temporalmente cadenzati (per es. una volta la settimana) con l’obiettivo di creare un determinato livello di conoscenza e padronanza d’uso dello strumento digital individuato. Tali incontri possono essere in presenza o a distanza. L’aspetto importante è che vi sia un clima sereno e motivato, dove i “seniors” si sentano a proprio agio nel ruolo di discenti (superando il timore di essere sminuiti in quanto “apprendisti”) e i juniors possano esprimersi con disinvoltura nel sentire valorizzata una loro competenza in cui si sentono particolarmente “forti”. Da quanto detto fin qui, è facilmente intuibile che in generale, l’attività di mentoring risulta essere meno costosa rispetto ad altre attività di sviluppo delle competenze (come per esempio la formazione, e il coaching) che richiedono, il più delle volte, la fruizione di professionisti esterni all’azienda. È un tipo di pratica che, se correttamente impostata, può dare vita ad una effettiva e proficua crescita, con costi contenuti, del background di un’organizzazione.

Bibliografia di riferimento Luisa Varriale – (2008) – Il mentoring nell’organizzazione aziendale – Giappichelli David Clutterbuck – (2019) – A ciascuno il suo Mentor – Franco Angeli Eric Parsloe, Melville Leedham – (2022) – Coaching and Mentoring – Kogan Page Ltd


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