Si susseguono ultimamente pronunce piuttosto preoccupanti nei tribunali nazionali, secondo le quali nel nostro ordinamento non vi sarebbe una norma che consenta la compensazione di debiti contributivi con crediti di altra natura. La più recente è ad opera del tribunale di Brescia che, nell’ordinanza n. 1251 del 22 febbraio 2022, entra nel merito di un ricorso presentato da una società a responsabilità limitata contro l’Inps per contestare l’esito negativo di un Durc e afferma che non è ammissibile sanare debiti di natura contributiva compensando i relativi importi con crediti di natura fiscale, nella fattispecie il credito Iva. Nel caso in esame, al di là del fatto che l’impresa non sia stata pienamente in grado di dimostrare l’effettiva spettanza del credito utilizzato in compensazione, tra l’altro contestato dall’Agenzia delle entrate, l’aspetto preoccupante è che il Giudice ha ritenuto illegittima tale compensazione, in quanto non sorretta da specifica disposizione legislativa che sostenga espressamente la liceità della compensazione fra partite aventi natura differente, ovvero, in tal caso, Inps e Iva. L’ordinanza giustifica la decisione affermando che “in ambito contributivo, non è mai stata adottata una disposizione di legge che consenta la compensazione di obbligazioni previdenziali riferibili a soggetti differenti o che permetta una estinzione di tali debiti mediante controcrediti di natura fiscale, anche se facenti capo al medesimo soggetto.”
Di contro però, mai vi è stato un qualsiasi rimando, anche velato, all’impossibilità di intrecciare debiti e crediti di origine diversa. L’articolo 17 del Decreto legislativo n. 241 del 9 luglio 1997, peraltro citato anche nell’ordinanza in esame, al comma 1 afferma: “I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’Inps e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto.”
Quando si parla di “dichiarazioni” è palese il richiamo all’ambito fiscale, poiché non risulta esistere un qualsiasi adempimento in materia contributiva che si possa definire “dichiarazione”, al contrario delle denunce periodiche, quali, ad esempio, gli Uniemens.
È chiaro quindi il riferimento alle compensazioni di varia natura senza limitarne lo spazio d’azione.
Proseguendo la lettura del testo normativo, il comma 2 elenca le tipologie di crediti e debiti che possono essere compensati: “Il versamento unitario e la compensazione riguardano i crediti e i debiti relativi…” e prosegue citando, tra gli altri, imposte sui redditi, ordinarie e sostitutive, addizionali, Iva, contributi previdenziali e assistenziali, premi assicurativi Inail, etc.
Nemmeno negli interventi legislativi più recenti è stato mai affermato il divieto di compensazione tra partite di diversa natura. Anzi, il Decreto legge n. 124 del 26 ottobre 2019, convertito con modificazioni dalla legge n. 157 del 19 dicembre 2019, all’articolo 4 integra il già citato D.l. n. 241/97 aggiungendo l’articolo 17-bis, che ha introdotto il divieto di compensazione, limitatamente ad appalti e subappalti di valore superiore a 200.000 euro, sia in ambito di ritenute fiscali (comma 1) che in ambito di contributi previdenziali (comma 8): “In deroga alla disposizione di cui all’articolo 17, comma 1, per le imprese appaltatrici o affidatarie e per le imprese subappaltatrici di cui al comma 1 del presente articolo è esclusa la facoltà di avvalersi dell’istituto della
compensazione quale modalità di estinzione delle obbligazioni relative a contributi previdenziali e assistenziali e premi assicurativi obbligatori, maturati in relazione ai dipendenti di cui al medesimo comma 1.” Se si parla di deroga, evidentemente, il presupposto è che vi sia una regola consolidata alla quale derogare, ovvero la possibilità di compensare debiti e crediti di qualsiasi natura essi siano.
Tuttavia, la più eclatante smentita all’interpretazione restrittiva del giudice bresciano è contenuta nella lettera b), comma 134, art. 3 della L. n. 662/1996, Legge delega di cui il citato D.lgs. n. 241/97 è attuativo, in cui si invita il Legislatore a procedere all’ “unificazione dei criteri di determinazione delle basi imponibili fiscali e di queste con quelle contributive e delle relative procedure di liquidazione, riscossione, accertamento e contenzioso; effettuazione di versamenti unitari, anche in unica soluzione, con eventuale compensazione, in relazione alle esigenze organizzative e alle caratteristiche dei soggetti passivi, delle partite attive e passive, con ripartizione del gettito tra gli enti a cura dell’ente percettore.” Ed è la frase “ripartizione del gettito tra gli enti a cura dell’ente percettore” che, riferita alle “compensazioni delle partite attive e passive” introduce inequivocabilmente l’ammissibilità di compensazione di debiti con crediti di diversa natura, il cui importo dovrà poi essere distribuito tra gli enti (creditori) ad opera dell’ente percettore (debitore). Se la volontà del Legislatore fosse stata quella di vietare compensazioni tra partite eterogenee, non avrebbe certamente inserito questo meccanismo, che, pur non essendo stato evidenziato nei decreti attuativi, non può non essere considerato.
Invero, dopo tutti questi anni in cui si è lottato e si continua a lottare contro le compensazioni indebite di crediti inesistenti, vedi lo stesso D.l. n. 124/2019, che all’articolo 1 lega la compensazione di crediti Iva, Irap e da imposte sui redditi superiori a 5.000 euro annui all’avvenuta presentazione della dichiarazione/istanza da cui il credito emerge, è logico ritenere che, se il Legislatore avesse voluto limitare la compensazione del debito contributivo ai soli crediti della medesima tipologia, lo avrebbe dichiarato in maniera esplicita. Successivamente il Ministero delle Finanze, nella circolare n. 101 del 19 maggio 2000 ha rappresentato che, in caso di indebita compensazione di debiti previdenziali con crediti tributari, il contribuente potrà avvalersi dell’istituto del ravvedimento, versando l’importo di indebito credito maggiorato di interessi e sanzioni, e non anche, invece, il debito previdenziale, il quale è definitivamente assolto dal “giroconto” effettuato dall’Erario a beneficio dell’Inps, così come indicato nella risoluzione Ag. Entrate n. 452/E del 27 novembre 2008.
Nella citata risoluzione, in cui l’istante aveva ugualmente effettuato compensazioni orizzontali oltre il limite consentito di credito Iva con importi a debito per ritenute Irpef e contributi Inps, l’ente ha affermato che “il sistema informatico che gestisce i versamenti e le compensazioni ha proceduto automaticamente all’accreditamento degli importi indicati nel modello F24 nella contabilità dell’ente beneficiario, contro addebito all’ente depositario del credito, ancorché il contribuente abbia impropriamente usato in compensazione crediti Iva in misura eccedente”.
Tanto più che con i moderni sistemi telematici si sarebbero agevolmente potuti “bloccare” i modelli di pagamento recanti tali presunte illegittime compensazioni, così come nel sistema dell’home-banking è, ad esempio, ad oggi precluso l’addebito di un modello F24 qualora rechi tributi a credito e/o abbia saldo finale pari a zero.
È superfluo affermare che la pronuncia giudiziale in trattazione, qualora dovesse avere un seguito, avrebbe un impatto a dir poco cruento sull’intero sistema imprenditoriale.
Ve ne sono anche di precedenti, si veda ad esempio la sentenza n. 2207/2021 del Tribunale di Milano: “la compensazione tra crediti di natura fiscale e debiti contributivi è preclusa nel nostro sistema.”
Non si può fare a meno di notare che interpretazioni di questo tenore, casualmente, arrivano in un momento storico in cui il sistema del Superbonus fiscale, meglio noto come “110%”, è interamente basato proprio sulla cessione dei crediti scaturenti dal sistema medesimo (art.121 del D.l. n. 34/2020).
Nonostante quanto affermato fin qui, da inguaribili romantici potremmo anche pensare ad una “provocazione” da parte dei giudici verso il Legislatore, una specie di spinta ad ufficializzare finalmente le compensazioni in trattazione, non mediante atti di prassi, usi e consuetudini, ma con una presa di posizione chiara ed incontrovertibile.
Spiace notare inoltre che, negli anni, il Durc sia mutato, da strumento di garanzia della regolarità delle imprese, a strumento di “tortura”, allorquando le imprese che non hanno la forza e i danari necessari per poterne contestare giudizialmente tutte le storture, tra cui quella in esame, per poter ottenere l’esito regolare del documento si arrendono al sistema, frequentemente rateizzando gli importi dovuti e precludendosi in tal modo la possibilità di agire in giudizio, pur di evitare il blocco delle attività nonché della riscossione delle spettanze, in una spirale burocratica che a lungo andare può arrivare ad annientarle.