FINISCE IL DRAMMA DEL DATORE DI LAVORO?
Nina Catizone, Consulente del Lavoro in Torino
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Appena è stata resa nota, una recentissima sentenza della Cassazione ha subito indotto alcuni ad esprimere una speranza: che volgesse al termine una stagione giurisprudenziale che ha trasformato i vertici aziendali, in testa i membri dei Consigli di amministrazione delle s.p.a., in vittime di un dramma nel mondo della sicurezza del lavoro. A mente fredda, ci chiediamo come stiano le cose.
L’INDIVIDUAZIONE DEL DATORE DI LAVORO
Al centro dell’attenzione un problema quanto mai spinoso: l’individuazione del primo garante della sicurezza, il datore di lavoro. Nel lontano passato, la Cassazione affermava che, “nelle imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni ed igiene sul lavoro, posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del Consiglio di amministrazione”. A un certo punto, aggiunse: “salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia”. Ma allora ci chiedemmo: quale delega? La nostra risposta fu: non la delega prevista dall’art. 16 del D.lgs. n. 81/2008, bensì la delega contemplata nell’art. 2381 c.c.: “Se lo statuto o l’assemblea lo consentono, il Consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti. Il Consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega”. E ci fu agevole notare che la delega di cui all’art. 2381 c.c. nulla ha da spartire con la delega prevista dall’art. 16, D.lgs. n. 81/2008: una delega, quest’ultima, che costituisce una facoltà esclusiva del soggetto individuato come datore di lavoro (salva restando la subdelega ad opera del soggetto delegato dal datore di lavoro), e che ha per oggetto una o più funzioni antinfortunistiche (e nemmeno tutte), ma non la stessa qualità di datore di lavoro. Giammai, quindi, dissi, trova cittadinanza la figura non di rado evocata in alcune prassi aziendali del c.d. “datore di lavoro delegato”. Tanto è vero che compete al datore di lavoro delegante la vigilanza sul delegato a norma del comma 3, primo periodo, dell’art. 16, D.lgs. n. 81/2008.
LA SOLUZIONE DELLA SEZ. IV
Cinque sentenze hanno dato la risposta della Cassazione. Per prima, meritoriamente, Sez. IV, 27 febbraio 2023 n. 8476. Successivamente Sez. IV, 5 giugno 2024, n. 22586, Sez. IV, 6 giugno 2024, n. 22839, Sez. IV, 5 novembre 2024, n. 40682, Sez. IV, 7 aprile 2025, n. 13350. Leggiamo, a titolo di esempio, la n. 40682/2024. Nel caso di specie, per un infortunio mortale sul lavoro, la Sez. IV conferma la condanna del presidente e di due membri del Consiglio di amministrazione di una s.p.a., nonostante la lamentata sussistenza di altri garanti e di deleghe. Quanto alla delega di funzioni, spiega che la delega di funzioni è lo strumento con il quale il datore di lavoro (e non anche il dirigente, pure investito a titolo originario come il preposto dal TUSL di compiti a tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro) trasferisce poteri e responsabilità per legge connessi al proprio ruolo ad altro soggetto che diviene garante a titolo derivativo, con conseguente riduzione e mutazione dei doveri facenti capo al soggetto delegante, e che l’art. 16 TUSL richiede che la delega, accettata per iscritto da soggetto in possesso di tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, risulti da atto scritto recante data certa, attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate e attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate, oltre a prevedere la necessaria conoscibilità della delega mediante adeguata e tempestiva pubblicità, permanendo in capo al datore di lavoro delegante l’obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite, obbligo che peraltro s’intende assolto in caso di adozione e attuazione efficace del modello di verifica e controllo di cui all’art. 30, comma 4, TUSL (il c.d. MOG). Sottolinea ancora che non sono invece delegabili (art. 17 TUSL) alcuni obblighi che ineriscono l’essenza della figura del datore di lavoro e della sua posizione di garante all’interno del contesto produttivo, per l’intima correlazione con le scelte aziendali di fondo (trattasi della nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, della valutazione dei rischi e della redazione del relativo documento). Per quel che concerne la delega gestoria, la Sez. IV opera un distinguo tra le società di capitali più semplici e le società di capitali in cui, invece, l’amministrazione sia affidata a un organo collegiale quale il consiglio di amministrazione: nelle prime, l’amministratore unico, titolare dell’amministrazione ordinaria e straordinaria, assume anche la posizione di garanzia datoriale, nelle seconde, l’individuazione della posizione datoriale è più complessa, anche in ragione della molteplicità di possibili modelli di amministrazione offerti dalla normativa societaria. Invero, nell’ipotesi in cui non siano previste specifiche deleghe di gestione, l’amministrazione ricade per intero su tutti i componenti del consiglio e tutti i componenti del consiglio sono investiti degli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legislazione a carico del datore di lavoro. Ma di frequente accade che il Consiglio di amministrazione deleghi le proprie attribuzioni o solo alcune di esse ad uno o più dei suoi componenti o a un comitato esecutivo (c.d. board) attraverso la c.d. delega gestoria disciplinata dall’art. 2381 c.c., ove sono dettate le condizioni per accedere al modello in esame, i limiti entro cui è possibile ricorrervi e gli effetti che l’adozione del modello determina nel rapporto fra delegati e deleganti. Con un’avvertenza: che, nell’ottica di accrescimento della tutela del lavoratore, a seguito della delega gestoria l’obbligo di adottare le misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro osservanza si trasferisce dal Consiglio di amministrazione al delegato, rimanendo in capo al Consiglio di amministrazione residui doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo.
INTERVIENE LA SEZ. III
È nel contesto che abbiamo appena rappresentato che ora interviene la sentenza che ha fatto fiorire le speranze di alcuni osservatori. Si tratta di una sentenza della Sez. III e, dunque, di una Sezione diversa da quella che si era sinora pronunciata in materia. Mi riferisco alla n. 22584 del 16 giugno 2025. Dove la Sez. III prende le mosse dalla definizione di datore di lavoro contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera b), D.lgs. n. 81/2008 come “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo do il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”. Osserva che questa definizione, con l’avverbio “comunque”, ha inteso dare netta preminenza al criterio sostanziale che deve essere in ogni caso rispettato e che prevale quando vi è discordanza tra la situazione formale e quella reale. Sottolinea che, nelle aziende di grandi dimensioni, è frequente il caso in cui il soggetto dotato della legale rappresentanza non coincide con quello in grado di esercitare l’effettivo potere di organizzazione dell’azienda e del lavoro dei dipendenti ed è a quest’ultimo che dovranno attribuirsi le connesse responsabilità prevenzionali. Sostiene che il dato normativo consente di distinguere un datore di lavoro in senso giuslavoristico da uno o più datori di lavoro (sussistendo distinte unità produttive) in senso prevenzionale. Considera evidente che la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell’unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali. Ne ricava che egli sarà qualificabile come datore di lavoro ai fini della sicurezza solo se gli saranno attribuiti poteri e disponibilità finanziarie adeguate ad effettuare gli adempimenti prescritti dalla legge e solo entro quei limiti, mentre, per tutti gli altri adempimenti per i quali non dispone dei mezzi e dei poteri per realizzarli, le eventuali violazioni (e relative conseguenze) non saranno a lui ascrivibili”. Dunque, un datore di lavoro anche a mezzo servizio.
IL CONCETTO DI UNITÀ PRODUTTIVA
In effetti, dall’art. 2, comma 1, lettera b), D.lgs. n. 81/2008, si desume che il datore di lavoro è il soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Attenzione, però. Dell’unità produttiva evidentemente così come definita dall’art. 2, comma 1, lettera t), D.lgs. n. 81/2008 “ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo” (e, dunque, anche dell’art. 2, comma 1, lettera b, di tale decreto):
“stabilimento o struttura dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale”.
Una peculiarità, questa, che sembra invece sfuggita alla Sez. III, limitatasi a prendere in considerazione l’art. 2, co. 1, lettera b), ma distratta a proposito dell’art. 2, co. 1, lettera t). Dunque, intanto, ad esempio, un direttore di stabilimento è individuabile come datore di lavoro in quanto quello stabilimento sia dotato di effettiva, piena, incondizionata autonomia finanziaria, e in tale stabilimento il direttore eserciti i poteri decisionali e di spesa. Davvero finito il dramma dei consiglieri di amministrazione?