Basta leggere le sentenze più recenti della Cassazione Penale e ci si rende subito conto di un fenomeno nuovo: sta notevolmente cambiando la risposta dello Stato nel settore della sicurezza sul lavoro. Continua a svilupparsi, pur tra non poche difficoltà (una su tutte: le ricorrenti prescrizioni), una risposta imperniata sulla responsabilità penale delle persone fisiche. Ma a fianco della responsabilità penale delle persone fisiche si affaccia sempre più diffusamente un altro tipo di responsabilità: la responsabilità c.d. amministrativa delle imprese. Si tratta di una responsabilità prevista dal D.lgs. n. 231/2001. Ma è solo con il TUSL che tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa furono inseriti i delitti di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Ed è proprio in questo ambito che la giurisprudenza ha cominciato ad applicare con sempre maggiore incisività e frequenza la responsabilità amministrativa. Passo dopo passo, la responsabilità amministrativa degli enti sta fornendo uno strumento particolarmente insidioso per le imprese in virtù di un’efficacia preventiva potenzialmente eccezionale. Mi limito a citare un aspetto. Sempre più frequentemente si verifica in Cassazione un fenomeno: il datore di lavoro viene prosciolto per prescrizione dal reato di omicidio colposo o di lesione personale colposa, ma la società viene condannata. Perché? Perché basta che il P.M. abbia chiesto il rinvio a giudizio della società entro cinque anni dall’infortunio, e a quel punto l’illecito della società non si prescrive più. Ciò malgrado, numerose imprese non hanno ancora assimilato la normativa dettata dal D.lgs. n. 231/2001, e in particolare non si sono poste nella condizione di sfuggire alla responsabilità ivi prevista. E non meno meraviglia che questa normativa stenti ad essere applicata accuratamente da non pochi ispettori e magistrati. Una chiave di volta del sistema è che l’impresa incorre nella responsabilità amministrativa, a condizione che versi in colpa, la c.d. colpa di organizzazione. E questa colpa di organizzazione sussiste in caso di omessa adozione del modello di organizzazione e di gestione, il c.d. MOG. Persistono, tuttavia, equivoci sul contenuto del MOG. Basti riflettere che non poche imprese confondono il MOG con il documento di valutazione dei rischi. Il fatto è che il DVR direttamente descrive le misure di prevenzione e di protezione attuate. Il MOG, invece, illustra le attività effettuate al fine di garantire l’adempimento degli obblighi di sicurezza (ad es., le attività svolte dall’organismo di vigilanza). Un esempio tra i tanti emerge da Cass. pen., 29 gennaio 2020, n. 3731. Dove a favore dell’ente la difesa incentrò tutte le proprie argomentazioni sulla efficacia nel caso di specie del documento di valutazione del rischio (DVR). Quel DVR -disse efficacemente la Corte Suprema- che è “cosa diversa” dal modello organizzativo. Purtroppo, ora, la Cassazione Penale, in una sentenza appena depositata (la n. 51455 del 28 dicembre 2023), ci fa toccare con mano che al riguardo anche magistrati di merito incorrono in “errori giuridici”, questi destinati a condurre alla condanna dell’impresa. Questo il caso. Un lavoratore addetto al taglio di piante precipita a terra investito da un tronco. Condanna per omicidio colposo dell’amministratore unico della s.r.l. datrice di lavoro. Ma anche condanna della s.r.l. per il connesso illecito amministrativo, in quanto, “pur avendo adottato i documenti previsti per la prevenzione dei rischi ed indicato i soggetti responsabili della loro attuazione, in concreto si era data una struttura gestionale ed organizzativa inadeguata rispetto agli obiettivi previsti da quei documenti”. Per mano dello stesso Presidente del Collegio, la Sezione Quarta della Cassazione annulla la condanna. E con riguardo alla s.r.l., premette che la colpa di organizzazione è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli. A questo punto, la Cassazione fa ben intendere che la mancata adozione e l’inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore valgono a dimostrare la sussistenza della colpa di organizzazione. Chiarisce che il modello organizzativo non coincide con il sistema di gestione della sicurezza del lavoro incentrato sul documento di valutazione dei rischi. E spiega che il DVR individua i rischi implicati dalle attività lavorative e determina le misure atte a eliminarli o ridurli, mentre il MOG è strumento di governo del rischio di commissione di reati da parte di taluna delle persone fisiche garanti della sicurezza. Questa la conclusione a suo modo drammatica: “edificare la responsabilità dell’ente su condotte che sono riferibili, in astratto prima ancora che in concreto, esclusivamente alla persona fisica rappresenta un errore giuridico”.