E MO, ME SO’ SCUCCIATO!

Alberto Borella, Consulente del lavoro in Chiavenna (So)

Non so voi ma io proprio non capisco. Mi sforzo, giuro, ma non capisco. E più non capisco, più il sangue mi ribolle. Non capisco perché si continui a far riferimento ad un concetto astruso come quello della rappresentatività comparata. Non capisco perché si insista a considerare i contratti collettivi al pari di una legge quando con la (teorica) chiarezza e comprensibilità richiesta ad una norma non hanno nulla a che spartire. Sì, lo devo dire: me so’ proprio scucciato. Me so’ scucciato per prima cosa di questo andazzo per il quale i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sono diventati l’ombelico del mondo giuslavoristico. Vuoi fare un’assunzione? Occhio al contratto collettivo. Vuoi applicare una sanzione disciplinare? Occhio al contratto collettivo. Vuoi licenziare? Occhio al contratto collettivo. Vuoi fare un appalto? Occhio al contratto collettivo. Vuoi chiedere una agevolazione? Occhio al contratto collettivo. Vuoi il Durc? Occhio al contratto collettivo. Occhio, occhio, occhio. Me so’ scucciato pure di quell’art. 51 del D.lgs. n. 81/2015 che stabilisce che “per contratti collettivi i si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”. Me so’ scucciato di un legislatore che continua a fare riferimento ai contratti collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative per fare qualsiasi cosa senza che esista una norma di legge che individui con precisione quali siano questi contratti e i loro firmatari. Me so’ scucciato di sentire parlare di associazioni sindacali comparativamente più rappresentative senza che mi venga detto se queste sono le prime due, le prime tre o le prime quattro in “classifica”. Me so’ scucciato di sentire parlare di associazioni sindacali al plurale e non di associazione sindacale, al singolare, comparativamente più rappresentativa. Non sarà perché Cisl e Uil han paura che, se così fosse, un domani la Cgil potrebbe mettersi in proprio e accaparrarsi l’esclusiva? Sapete che vi dico? Chissenefrega delle loro dinamiche o beghe, questa cosa crea solo incertezza a noi operatori del settore. Me so’ scucciato di vedere che l’unica cosa che esiste in materia di rappresentatività è un accordo, il Testo Unico sulla rappresentanza del 2014, dove Cgil, Cisl e Uil si son accordati su come “pesarsi” per essere considerate comparativamente più rappresentative, così come di un legislatore che sembra assecondare questa bestialità senza comprendere quanto ciò sia assurdo. È un po’ come se la Uefa prevedesse che le squadre di calcio “più amate” di ogni nazione possono partecipare ad una certa manifestazione e Inter, Milan e Juve stabilissero i criteri di valutazione. Mi chiedo: ma il rigore giuridico di tutto ciò dove sta? Me so’ scucciato di vedere l’approssimazione con cui vengono scritti i Ccnl che paiono il frutto di discussioni di tarda sera al bar quando ormai il giro di bianchi corretti ha preso una bruttissima piega. Me so’ scucciato di sentire dire nei Tribunali che i Ccnl utilizzano il cosiddetto linguaggio delle relazioni industriali, non coincidente con quello comune e che pertanto la volontà comune delle parti non sempre è agevolmente ricostruibile attraverso il mero riferimento al significato letterale delle parole, così che assume un rilievo preminente il criterio dettato dall’art. 1363 c.c. ossia della interpretazione complessiva delle clausole. Il che equivale a dire che spesso non si capisce una mazza e in qualche modo bisogna metterci una pezza. E nonostante ciò il legislatore continua a fare riferimento alle disposizioni dei contratti collettivi come se fossero delle norme tecniche UNI o elaborati di qualche comitato scientifico di altissimo livello. Me so’ scucciato di vedere aule di giustizia intasate da contenziosi sulla corretta interpretazione dei vari articoli di un Ccnl scritti da personaggi che dovrebbero dedicare più proficuamente il loro tempo a percorsi riabilitativi contro il disturbo a livello semantico-lessicale del linguaggio. Me so’ scucciato di quel famigerato comma 1175 che pretende, al fine di usufruire dei benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale, il rispetto integrale degli accordi e contratti collettivi. La classica norma bancomat studiata per portare a casa sanzioni. Ma ci rendiamo conto che non esiste sulla faccia della terra un Consulente del lavoro che possa giurare sulla Bibbia, o sui propri figli, di rispettare filo e per segno anche solo uno degli accordi sottoscritti dalle cosiddette parti sociali? Me so’ scucciato di leggere che l’Ispettorato del lavoro potrebbe procedere ad una analisi comparativa tra contratti collettivi più rappresentativi e non rappresentativi per stabilire se comunque la cosa può andare bene. Basta che non ci si discosti da un numero minimo di parametri. Ma cos’è questa buffonata? Me so’ scucciato dell’Ispettorato del lavoro che, di fronte a questa situazione di assoluta incertezza giuridico-operativa sulla individuazione dei contratti comparativamente più rappresentativi, non manda a quel paese il legislatore dicendo che non ha alcuna intenzione di elevare contestazioni in merito sino a quando a questa situazione non verrà data certezza. Me so’ scucciato di sentimi dire dall’Inps che non importa quale contratto applichi perché, comunque sia, la retribuzione su cui pagare i contributi non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti (e fin qui andrebbe pure bene) e da contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione d’importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo. Fate una prova. Chiedete all’Inps di dirvi quale è il contratto, in quanto comparativamente più rappresentativo, che dovete applicare in sede di versamento dei contributi per rispettare il minimale? Provate ad aprire un cassetto, precisate che avete deciso di non applicare alcun contratto collettivo e chiedete di indicarvi quale è il minimale che dovete rispettare sulla base della virtuale applicazione del contratto leader. Esigete questi chiarimenti dalla vostra Sede e vediamo cosa vi rispondono. Me so’ scucciato di contratti collettivi dove viene sistematicamente calpestata l’equità, dove la discriminazione è la routine senza che nessuno se ne accorga. Perché un lavoratore part-time deve avere lo stesso periodo di prova di un tempo pieno? Si pensa di fargli un favore? Per me lo si discrimina ponendo un ostacolo all’accesso al lavoro. Lo prevederebbe pure una Direttiva europea, ma si sa le Direttive europee fan comodo quando portano sanzioni. Idem per i contratti a termine dove evidentemente qualcuno crede sia meglio riconoscere un periodo di prova più breve. Peccato che limiti la possibilità per il lavoratore di dimostrare le proprie capacità professionali ai fini di una conferma o anche solo di una proroga del rapporto. Me so’ scucciato di vedere contratti collettivi, firmati dalle medesime organizzazioni sindacali con due controparti datoriali diverse. Guadatevi i contratti nel settore Commercio firmati da Conf-Commercio e Conf-Esercenti con Fil-cams-Cgil, Fisascat-Cisl, UiltucsUil. Fino all’altro ieri, per lunghi periodi, si registravano trattamenti retributivi differenti (a volte sì la stessa paga ma con decorrenze diverse). Ma vi sembra una cosa logica? Perché si scende a certi compromessi? Solo per vantarsi che quel settore “lo copro io con i miei accordi”? Ma dove siamo, al mercato delle vacche dove le vacche le si compra per business o per farne carne da macello? Me so’ scucciato di vedere contratti collettivi, firmati dalle medesime organizzazioni sindacali, che si sovrappongono nelle medesime aree. Che provano a “rubare” le aziende teoricamente ricadenti nei Ccnl firmati da altre Federazioni. Penso al contratto Alimentaristi artigiani che ha una Sezione apposta da applicare alle “Imprese non artigiane che occupano fino a 15 dipendenti”. Ma penso pure al contratto del Commercio a firma Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil che si ritiene doversi applicare alle autoscuole quando esiste un contratto specifico delle Autoscuole, sempre a firma della Triplice, ma dove cambiano solo le Federazioni di riferimento (Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti). Pensate che abbiano le stesse paghe? Ma figurarsi, è pure diverso l’orario normale di lavoro: uno dice 40 e l’altro 39. Lasciamo stare, per favore. Me so’ scucciato di vedere contratti collettivi che prevedono una retribuzione diversa e trattamenti economici differenti per lavoratori a parità di reali mansioni e operanti in un identico contesto lavorativo. Contratti per l’industria da applicare a un lavoratore dell’artigianato solo perché un datore di lavoro presta, e l’altro no, la sua attività in modo continuativo e prevalente, pur trattandosi di realtà uguali per dimensione. Come se la Costituzione nel prevedere per il lavoratore una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, richiedesse che si tenga conto anche della classificazione dell’azienda, industriale o artigiana ai fini legali, che nulla ha a che vedere con la qualità e quantità della prestazione. Il fatto che in Cciaa una impresa sia considerata industriale o no cambia qualcosa per la retribuzione minima costituzionale? Ma per favore, smettiamola di fare gli ipocriti o i finti tonti! Me so’ scucciato di contratti collettivi a cui la legge affida funzioni integrative o sostitutive ma che se ne infischiano, spesso per posizioni ideologiche. Parlo della possibilità di stipulare contratti a termine di durata superiore a 12 mesi, di nuove esigenze di utilizzo del lavoro intermittente (per le quali ancora si fa riferimento a un Regio Decreto di oltre 100 anni fa) o dei contratti di prossimità, il più delle volte utilizzati come arma di “ricatto”. Me so’ scucciato di veder portati in palmo di mano dei contratti collettivi che prevedono retribuzioni ben al di sotto della soglia di povertà stimata dall’Istat e per questo dichiarate di recente da un giudice irrispettose del dettato costituzionale dell’art. 36, quello che dice che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Eh sì, parlo del Tribunale di Milano che un anno fa ha stabilito che la paga di euro 3,96 è irrispettosa delle indicazioni dell’art. 36. Con quali conseguenze? Che i lavoratori del settore apriranno un contenzioso con le aziende per chiedere un adeguamento. E chi pagherà per questa nefandezza? Ma ovvio, le aziende che, oltre a costi imprevisti, pagheranno pure le sanzioni per i contributi omessi. Me so’ scucciato dell’articolo 2070 del codice civile che stabilisce quello che appare come un sacrosanto diritto L’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore. Se l’imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività. Quando il datore di lavoro esercita non professionalmente un’attività organizzata, si applica il contratto collettivo che regola i rapporti di lavoro relativi alle imprese che esercitano la stessa attività ma poi ci dicono che questa norma, secondo cui l’appartenenza alla categoria professionale ai fini dell’applicazione del contratto collettivo di settore si determina secondo l’effettiva attività svolta, riguarda i contratti corporativi e non trova applicazione per quelli collettivi di diritto comune, che invece hanno efficacia vincolante solo per gli iscritti alle associazioni stipulanti. Me so’ scucciato di un legislatore che sa esistere un problema di inapplicabilità dell’articolo 2070 ma continua a fare finta di nulla e non interviene per modificarlo. Quanti anni sono che non esistono più i contratti corporativi? Nessun Governo ha pensato di metter mano al codice civile? Me so’ scucciato di vedere il dettato costituzionale dell’art. 39 – quello che prevede che “I sindacati … possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce” – preso a badilate in faccia. E sì, perché la Carta costituzionale pone un paletto che oggi si fa finta di non vedere. Leggete bene cosa si dice: i Sindacati che vogliono sottoscrivere un Ccnl con efficacia erga omnes non solo devono rispettare la procedura di registrazione ma, soprattutto, dovranno necessariamente intervenire “unitariamente” alla stipula di un unico contratto collettivo per la categoria di riferimento. Il principio stabilito è limpidissimo: un solo contratto per ogni categoria professionale. Non possono esistere più contratti collettivi firmati da diverse sigle sindacali per lo stesso settore. Ora, se una norma dà rilevanza giuridica a Ccnl che non rispettano il dettato costituzionale qualche profilo di illegittimità esiste oppure no? Me so’ scucciato di vedere sentenze dove nulla si contesta circa il criterio di rappresentatività comparata anche in ottica di legittimità costituzionale. Possibile che nessuno abbia la voglia di sollevare questa questione nelle sedi competenti? Me so’ scucciato di tutti coloro che non hanno capito che l’attuale sistema della rappresentatività comparata, in una comparazione costi/benefici, è un totale fallimento che va superato e non complicato. Ci mancava infatti solo il criterio, per ora limitato agli appalti di opere o servizi e nei subappalti, del contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto. Eh sì, ne vedremo delle belle. Insomma, me so’ proprio scucciato. Quanto scucciato? Molto, tantissimo. Il più scucciato di tutti? Forse no, ma sono certo di esser in ottima compagnia. Diciamo che sono tra i più scucciati sul piano nazionale… comparativamente.


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