È MEN MALE L’AGITARSI NEL DUBBIO, CHE IL RIPOSAR NELL’ERRORE

Andrea Merati, Consulente sistemi di gestione aziendale

Il Kaizen prevede che la vera ricerca dell’eccellenza sia caratterizzata dalla cattura dell’errore: ogni sbaglio o danno commesso o riscontrato non deve essere nascosto o tralasciato, anche se appare di scarsa rilevanza deve essere evidenziato, reso pubblico e analizzato. Lo scopo è che tutta l’organizzazione possa imparare da quell’errore per evitarlo nei tempi successivi.

Forti della teoria assorbita nella prima puntata, possiamo inoltrarci in un paio di casi pratici, uno eclatante, l’altro meno celebre.

L’incidente ferroviario di Eschede del 1998, uno dei più gravi nella storia della Germania (101 morti), fu causato dal difetto in una ruota. Questa era costituita da un cerchione fuso in un unico pezzo, dotata di un anello elastico aggiunto per migliorare il comfort acustico e ridurre le vibrazioni nei treni ad alta velocità ICE 1. Si era formata una microfrattura nel cerchione, a causa delle sollecitazioni cicliche da rotolamento; la fessura si propagò lentamente nel tempo finché non causò il distacco di un pezzo del cerchio della ruota, che penetrò nel pavimento del treno. Questa colpì un organo di azionamento di scambio ferroviario, il quale si attivò mentre il treno ci passava sopra. Il carrello posteriore di una carrozza fu deviato su un binario secondario, provocando il deragliamento totale e l’urto del treno contro un pilone di cemento. Quel tipo di ruota aveva già dato segni di usura anomala su altri convogli.

Progettisti e tecnici non ritennero che il problema dovesse essere risolto tecnicamente ma ne demandarono l’onere di gestione al sistema di manutenzione. I controlli di manutenzione, però, non potevano rilevare la crepa, in quanto il metodo d’ispezione previsto non era adatto a rilevare certi tipi di microfessure interne.

Una serie di sfortunati eventi? Per nulla: due errori di valutazione di infimo livello. Rilevato il difetto della ruota, gli ingegneri avrebbero dovuto accollarsi l’errore di progettazione modificando la ruota o adeguando le istruzioni operative della manutenzione.

Il secondo caso è meno tragico e coinvolge sempre un ingegnere (mi aspetto l’estesa gratitudine di tutti gli altri professionisti alla lettura che non vengono coinvolti).

Il giovane ingegnere, a capo di un progetto di costruzione di una linea di produzione per pneumatici, si trovava nella fase di sviluppo del software di controllo delle macchine. Una parte dei programmatori era dislocato a Bangalore (che nella realtà si chiama Bengaluru), ridente e fiorente capitale dello stato indiano di Karnataka, importante polo d’industria tecnologica, nonché rinomato luogo di vita notturna. Le cinque ore di differenza oraria che comportavano turni notturni alternati, qualche incomprensione linguistica (non vorrei generare fraintendimenti, erano gli italiani ad avere l’inglese peggiore) e la pimpante gioventù che caratterizzava gli esperti di programmazione, avevano più volte creato difetti nel software. Codeste non conformità vennero risolte brillantemente in itinere con l’aiuto di svariate ore di straordinario e di caffeina liquefatta (evito di pensare ad altro tipo di sostegno psicotropo): la fase di test e collaudo diede risultati encomiabili, la partenza in produzione della linea fu un disastro. Il professionista aveva sottovalutato il valore degli errori precedentemente corretti, sopravvalutato la qualità delle revisioni effettuate e assecondato le esortazioni alla fretta del suo cliente, assegnando il collaudo del software agli stessi programmatori che lo avevano realizzato. Si era creata, in questo modo, la perfetta situazione di sottovalutazione, in cui involontariamente o per scaltrezza (a seconda della tipologia d’animo che alberga negli umani tutti) si evitava di fare prove su qualcosa che si sapeva di aver già risolto.

Il giovane ingegnere impiegò diciotto ore della propria esistenza, un gruppo di lavoro di otto nuovi programmatori turnanti su sei ore e qualche migliaio di euro del margine economico previsto, per riportare l’allegria a tutti gli interessati.

Tutto questo raccontar storie ci porta al punto di massima attenzione a cui ci reca Kaizen: analisi e risoluzione continua degli errori, di qualsiasi genere, tipo o entità; creazione di un sistema di gestione delle conseguenze e valutazione dell’impatto tecnico, economico e reputazionale degli errori.

Uscendo dall’ambito ferroviario e abbandonando la casistica industriale, come professionisti della consulenza dobbiamo imparare ad affrontare gli errori, per generare quel processo produttivo che permette di consolidare una posizione e avviare il miglioramento, quantitativo, qualitativo ed economico.

Sono due i tipi di errore che possono far deragliare la nostra attività o innescare la tempesta di lavoro notturno e non remunerato (a lato, per non dimenticare, metto quella che per noi è la fastidiosa insistenza inclemente e insensata dei clienti, ma per loro è la nostra insipienza funzionale).

I primi sono quelli per cui nutriamo coccolosa benevolenza, gli altri quelli che riteniamo possano essere risolti in un altro momento, in quel tempo che non arriverà mai e dei quali ci dimenticheremo fino al loro riemergere. Approfondiremo entrambi, in un prossimo futuro.


Scarica l'articolo