Per la Corte di Cassazione i lavoratori hanno diritto ai ticket mensa anche durante i periodi di assenza dal lavoro per la fruizione delle ferie. Ha spiazzato le imprese e gli operatori di diritto la recente ordinanza resa dalla sezione Lavoro della magistratura di legittimità1 che – richiamando l’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia europea del concetto normativo di “ ferie annuali retribuite” – ha ritenuto che anche i buoni mensa debbano essere annoverati tra le voci economiche da assicurare ai lavoratori durante i periodi di riposo, andando di fatto contro alla vera natura (non retributiva) dei buoni pasto ed abbracciando un concetto di omnicomprensività di retribuzione da sempre negata nel nostro ordinamento. Il ragionamento seguito dalla Corte prende le mosse dalla necessità, per l’ordinamento nazionale, di aderire all’interpretazione resa dai giudici europei del concetto di “ ferie annuali retribuite” contenuto nell’art. 7, co. 1 della direttiva n. 88 del 2003 (provvedimento recepito in Italia con il D.lgs. n. 66/2003 che tutt’oggi disciplina taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro). Secondo la magistratura comunitaria, la retribuzione da garantire durante le ferie è quella ordinaria, ossia quella che il lavoratore percepisce quando presta la sua attività lavorativa, al fine di rimuovere ogni ostacolo che possa fungere da deterrente al godimento dei periodi di riposo. Riprendendo le parole dei giudici europei, nell’ordinanza in commento si legge che “qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza”.
Tuttavia, la Corte ha omesso di spiegare quale sarebbe il collegamento tra il ticket mensa e le mansioni espletate dal lavoratore, così come nessun chiarimento è stato offerto in ordine alla correlazione tra il buono mensa e “lo status personale e professionale del lavoratore”, elementi che invece la Corte europea ritiene necessari affinché un compenso sia annoverabile nella retribuzione ordinaria da garantire anche durante i giorni di ferie. Se infatti è comprensibile la scelta effettuata nel caso dell’indennità di volo integrativa, in quanto si trattava di un compenso effettivamente legato alle mansioni svolte dal personale di volo e che caratterizza il profilo professionale del lavoratore, l’indennità mensa nulla c’entra con le mansioni, trattandosi di un compenso di natura non retributiva, ossia slegata al sinallagma prestazione lavorativa – retribuzione. Sono gli stessi giudici di legittimità a sostenere che “Il buono pasto non ha natura retributiva ma costituisce un’erogazione di carattere assistenziale, volta a conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore” 3 e che “il diritto al buono pasto è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono. Esso non ha natura retributiva, ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale, collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore”.4 Il ticket mensa dunque rappresenta non già un corrispettivo volto a compensare la prestazione lavorativa resa dal dipendente, ma costituisce un emolumento che indennizza il lavoratore per il disagio arrecatogli nel dover consumare il pasto nei pressi della sede lavorativa o in altro luogo ove egli sia stato comandato da parte datoriale a lavorare. Il buono pasto è legato alla durata della giornata lavorativa: avendo il lavoratore diritto a fruire della pausa giornaliera dopo sei ore di lavoro, il datore di lavoro può (non v’è obbligo alcuno nel nostro ordinamento giuridico e neanche nella stragrande maggioranza dei contratti collettivi) offrire il pasto – più o meno gratuito – o sostituirlo con il ticket mensa. D’altra parte basterebbe riflettere sulle modalità di utilizzo della mensa aziendale (come detto il ticket è solo un modo diverso di offrire il pasto). Non si è mai visto un lavoratore ammalato o in ferie o in permesso tornare in azienda per fruire del pasto in mensa. E le modalità di utilizzo del ticket sono identiche alle modalità di fruizione della mensa aziendale. Per questo gli stessi magistrati di legittimità parlano di erogazione collegata al rapporto di lavoro in modo meramente occasionale, perché è collegata alla presenza prolungata del lavoratore presso la sede di lavoro aziendale o in altra dettata da parte datoriale per prestare la sua attività lavorativa. Del resto, i giudici di legittimità non hanno mai avuto dubbi nel disconoscere il diritto al ticket restaurant nei giorni di fruizione delle ore di allattamento, ove l’assenza riduca l’orario di lavoro giornaliero al di sotto delle sei ore5 . Al pari, non ci sono stati fino ad oggi dubbi sul fatto che il ticket mensa non debba essere riconosciuto durante i giorni di fruizione giornaliera del congedo parentale o dei permessi per assistere un disabile o nei casi di telelavoro o di smart working (a meno di pattuizioni individuali maggiormente favorevoli). Non sono forse anche questi diritti il cui esercizio potrebbe essere ostacolato dal mancato riconoscimento dei ticket restaurant? La pronuncia in esame traccia un netto Pertanto, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, la retribuzione dovuta nel periodo di ferie comprende qualsiasi importo che sia collegato all’esecuzione delle mansioni e allo “status” personale e professionale del lavoratore. Nell’ordinanza in commento i giudici ricordano come già in una recente pronuncia abbiano accolto tale accezione europea di retribuzione: in quel caso si trattava di personale navigante alle dipendenze di una compagnia aerea, al quale la Corte ha riconosciuto il diritto a percepire, anche durante le ferie, l’indennità di volo integrativa2 .
Sulla base di queste premesse, ricordando la sovra-ordinazione del diritto comunitario rispetto a quello interno e dunque l’obbligo per la magistratura nazionale di uniformarsi alle interpretazioni che della normativa europea dà la Corte di Giustizia europea, i giudici di legittimità hanno ritenuto corretto quanto già affermato dai giudici di merito di prime cure, ossia che il ticket mensa debba essere considerato, ove non corrisposto durante il periodo di ferie, un ostacolo alla scelta del lavoratore di godere dei periodi di riposo assicurati per legge, ostacolo quindi che deve essere rimosso.
Tuttavia, la Corte ha omesso di spiegare quale sarebbe il collegamento tra il ticket mensa e le mansioni espletate dal lavoratore, così come nessun chiarimento è stato offerto in ordine alla correlazione tra il buono mensa e “lo status personale e professionale del lavoratore”, elementi che invece la Corte europea ritiene necessari affinché un compenso sia annoverabile nella retribuzione ordinaria da garantire anche durante i giorni di ferie. Se infatti è comprensibile la scelta effettuata nel caso dell’indennità di volo integrativa, in quanto si trattava di un compenso effettivamente legato alle mansioni svolte dal personale di volo e che caratterizza il profilo professionale del lavoratore, l’indennità mensa nulla c’entra con le mansioni, trattandosi di un compenso di natura non retributiva, ossia slegata al sinallagma prestazione lavorativa – retribuzione. Sono gli stessi giudici di legittimità a sostenere che “Il buono pasto non ha natura retributiva ma costituisce un’erogazione di carattere assistenziale, volta a conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore” 3 e che “il diritto al buono pasto è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono. Esso non ha natura retributiva, ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale, collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore”.4 Il ticket mensa dunque rappresenta non già un corrispettivo volto a compensare la prestazione lavorativa resa dal dipendente, ma costituisce un emolumento che indennizza il lavoratore per il disagio arrecatogli nel dover consumare il pasto nei pressi della sede lavorativa o in altro luogo ove egli sia stato comandato da parte datoriale a lavorare. Il buono pasto è legato alla durata della giornata lavorativa: avendo il lavoratore diritto a fruire della pausa giornaliera dopo sei ore di lavoro, il datore di lavoro può (non v’è obbligo alcuno nel nostro ordinamento giuridico e neanche nella stragrande maggioranza dei contratti collettivi) offrire il pasto – più o meno gratuito – o sostituirlo con il ticket mensa.
D’altra parte basterebbe riflettere sulle modalità di utilizzo della mensa aziendale (come detto il ticket è solo un modo diverso di offrire il pasto). Non si è mai visto un lavoratore ammalato o in ferie o in permesso tornare in azienda per fruire del pasto in mensa. E le modalità di utilizzo del ticket sono identiche alle modalità di fruizione della mensa aziendale. Per questo gli stessi magistrati di legittimità parlano di erogazione collegata al rapporto di lavoro in modo meramente occasionale, perché è collegata alla presenza prolungata del lavoratore presso la sede di lavoro aziendale o in altra dettata da parte datoriale per prestare la sua attività lavorativa. Del resto, i giudici di legittimità non hanno mai avuto dubbi nel disconoscere il diritto al ticket restaurant nei giorni di fruizione delle ore di allattamento, ove l’assenza riduca l’orario di lavoro giornaliero al di sotto delle sei ore5 . Al pari, non ci sono stati fino ad oggi dubbi sul fatto che il ticket mensa non debba essere riconosciuto durante i giorni di fruizione giornaliera del congedo parentale o dei permessi per assistere un disabile o nei casi di telelavoro o di smart working (a meno di pattuizioni individuali maggiormente favorevoli). Non sono forse anche questi diritti il cui esercizio potrebbe essere ostacolato dal mancato riconoscimento dei ticket restaurant? La pronuncia in esame traccia un netto cambio di rotta rispetto all’orientamento giurisprudenziale consolidato in materia, abbracciando un concetto di omnicomprensività retributiva da sempre negato nel nostro ordinamento e che è certamente più ampio rispetto alla nozione europea di retribuzione sopra delineata.
Per omnicomprensività della retribuzione si intende quel principio in base al quale dovrebbe intendersi retribuzione l’insieme di tutti i compensi corrisposti al lavoratore in via continuativa ed obbligatoria. Tale principio però è stato sempre escluso dai giudici, secondo i quali “In tema di retribuzione dovuta al prestatore di lavoro ai fini dei cc.dd. istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia ed infortunio), non esiste nel nostro ordinamento “un principio generale ed inderogabile di omnicomprensività”, individuabile soltanto nella previsione di specifiche norme di legge o di contratto collettivo” 6 . La magistratura ha sempre ripetuto che spetta alla legge o la contrattazione collettiva il compito di stabilire quali compensi siano da prendere in considerazione per il calcolo di un istituto e nel nostro ordinamento nessuna disposizione legale o contrattuale collettiva annovera i ticket mensa tra i compensi da prendere in considerazione per il calcolo della retribuzione dovuta durante il periodo di ferie (né per gli altri istituti indiretti)7 . E comunque riteniamo che sia meglio evitare di negoziare, durante la trattativa di rinnovo dei Ccnl o dei CIA (contratti integrativi aziendali), la fruizione della mensa o del ticket sostitutivo facendolo diventare un diritto derivante da obbligo negoziale. E se proprio non se ne potesse fare a meno, sarebbe il caso di specificare bene che si tratta di una previsione assistenziale che non costituisce un minus retributivo e non viene erogato durante nessuna assenza dal lavoro. Se questa ordinanza inaugurerà un nuovo orientamento giurisprudenziale certamente questo avrà impatti non solo sulla retribuzione durante il periodo di ferie, ma inciderà in tutti i casi in cui la mancata erogazione dei ticket possa ostacolare l’esercizio di un diritto tutelato dal nostro ordinamento. Viene da pensare che la giurisprudenza non si sarebbe spinta così tanto oltre la nozione stessa di retribuzione ordinaria offerta dalla Corte di Giustizia europea se in Italia il salario fosse effettivamente proporzionato “alla quantità e qualità del (..) lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, come garantito dalla nostra Carta costituzionale8 . Questo forse dovrebbe far riflettere sulla necessità di adeguare i salari al fine di non dover considerare i buoni mensa una parte indefettibile del trattamento economico dei lavoratori italiani.
* Pubblicato in Corriere delle Paghe, 11/2024.
1. Cass. civ., Sez. Lav., Ordinanza, 27 settembre 2024, n. 25840.
2. Cass. civ.,Sez. Lav. 23/06/2022, n. 20216.
3. Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 31/07/2024, n. 21440; si veda anche Cass. civ. Sez. Lav. “Deve escludersi che il servizio mensa o l’indennità sostitutiva della stessa abbiano natura ontologicamente retributiva, essendo rimessa alla fonte legale o contrattuale l’individuazione delle voci da includere nella retribuzione base per il calcolo degli istituti di retribuzione indiretta o differita”.
4. Cass. civ., Sez. lavoro, 01/03/2021, n. 5547.
5. Cass. civ., Sez. lavoro, 28/11/2019, n. 31137.
6. Cass. civ., Sez. lavoro, 20/11/2020, n. 26510.
7. Si legga a titolo esemplificativo Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 23/10/2020, n. 23366: “In tema di retribuzione nel lavoro subordinato, ai fini della determinazione della base di calcolo degli istituti indiretti (tredicesima mensilità, ferie, festività, ex festività soppresse e permessi retribuiti) non vige nell’ordinamento un principio di omnicomprensività, sicché il compenso per lavoro straordinario va computato, a tali fini, solo ove previsto da norme specifiche o dalla disciplina collettiva; pertanto, la retribuzione corrisposta per prestazioni continuative e sistematiche di lavoro straordinario, non facendo parte della retribuzione normale anche se corrisposta in maniera fissa e stabile, non rileva ai fini del trattamento retributivo per le festività infrasettimanali, poiché la L. n. 260 del 1949, art. 5, fa riferimento alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio”. Così anche Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 12/11/2018, n. 28937; Cass. civ., Sez. lavoro, Sentenza, 15/01/2013, n. 813.
8. Art. 36 Costituzione.