In relazione a un tema tuttora ostico e nebuloso quale l’operabilità o meno del blocco dei licenziamenti anche ai lavoratori apicali, la giurisprudenza è di nuovo intervenuta con l’ordinanza del Tribunale di Roma del 16 ottobre 2021, n. 96447.
Quest’ultima si inserisce in un quadro alquanto complesso e contraddittorio: la questione in esame era già stata portata all’attenzione del giudice capitolino il quale, a distanza di un paio di mesi, era addivenuto a due conclusioni
di segno opposto.
L’ordinanza in esame riguarda il licenziamento intimato a un dirigente per motivi oggettivi consistenti nella soppressione della sua posizione lavorativa a seguito di un processo di riorganizzazione che avrebbe determinato
non solo la chiusura della sede presso la quale svolgeva le sue funzioni, ma anche la distribuzione di queste ultime tra gli altri dipendenti.
Impugnando il licenziamento, il dirigente ne contesta l’illegittimità sotto diversi profili, tra i quali emerge la violazione del divieto dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ex art. 3, L. n. 604/1966, introdotto con l’art. 46, D.l. n. 18/2020 e vigente, alla data del licenziamento, ai sensi dell’art. 14, D.l. n. 104/2020.
Nonostante siano intervenute successive pronunce di segno opposto, il giudice si ricollega all’orientamento introdotto dal Tribunale di Roma1 e ritiene il licenziamento nullo per contrasto con il divieto, disponendo la reintegrazione del dirigente ex art. 18, comma 1, L. n. 300/1970.
Il caso risulta interessante poiché il dubbio interpretativo sussiste tuttora: il legislatore, nei tanti decreti-legge adottati, non l’ha mai sciolto.
Dall’inizio dell’emergenza sanitaria sono stati adottati molti provvedimenti straordinari, il più innovativo dei quali è stato il divieto di licenziamento introdotto dall’art. 46, D.l. n. 18/20202.
La norma, di volta in volta procrastinata in ragione del perdurare dello stato di crisi disponeva che il divieto riguardava i licenziamenti collettivi ai sensi degli artt. 4, 5 e 24, L. n. 223/1991 e quelli individuali per giustificato
motivo oggettivo ex art. 3, L. n. 604/1966. Il dubbio relativo all’applicabilità del divieto di licenziamento anche al dirigente è sorto già dalla formulazione letterale dell’art. 46 secondo cui il dirigente è escluso dall’ambito soggettivo
di applicazione della L. n. 604/1966.
Il licenziamento del dirigente è infatti incardinato su un criterio di “giustificatezza”, introdotto dalla contrattazione collettiva che, secondo la giurisprudenza consolidata e pacifica3, non collima (concettualmente, oltre che lessicalmente con il giustificato motivo oggettivo. In particolare, la giustificatezza non coincide con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile
o onerosa tale prosecuzione4 ma presuppone solo l’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in attuazione di un riassetto aziendale, purché non emerga, in base a elementi oggettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione5.
Come anticipato, nell’ordinanza in esame il giudice si ricollega all’impostazione introdotta dal Tribunale di Roma con la pronuncia del 26 febbraio 2021, riesponendo le medesime argomentazioni.
Il Giudice del Lavoro fornisce una soluzione positiva in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata e a una lettura di tipo teleologico del dato normativo a sua disposizione, individuando la ratio del divieto “nell’evitare che le conseguenze economiche della pandemia si traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro” 6 e ritenendo tale esigenza comune anche ai dirigenti che addirittura “sono più esposti a tale rischio data la
maggiore elasticità del loro regime contrattualcollettivo di preservazione dai licenziamenti arbitrari rispetto a quello posto dall’art. 3” 7. Pertanto, la loro esclusione dall’ambito applicativo del divieto rappresenta una soluzione in
aperto contrasto con l’art. 3 Cost.8, distonica e poco razionale rispetto all’intento solidaristico di difesa sociale del legislatore emergenziale. La seconda direttrice argomentativa è incentrata su un criterio logico di ragionevolezza,
imposto dalla considerazione per cui i dirigenti risultano pacificamente inclusi nel divieto dei licenziamenti collettivi ex art. 24, Legge n. 223/19919.
Infine, viene valutata la distanza concettuale tra giustificato motivo oggettivo e giustificatezza oggettiva in maniera non dogmatica: il concetto di giustificato motivo oggettivo, enunciato in quest’ultima norma, condivide la medesima essenza con la giustificatezza oggettiva del licenziamento del dirigente, posto che anch’essa “attiene comunque a ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di esso”.
Questa pronuncia sembra trasformare il licenziamento ad nutum del dirigente in un licenziamento “titolato”, riconducendolo nell’alveo dell’art. 3, L. n. 604/1966 10.
Tuttavia, non sono presi in considerazione due ostacoli che inevitabilmente si frappongono a tale estensione.
Il primo, letterale, dell’applicazione di una norma (l’art. 3, L. n. 604/1966) fondata su un concetto non applicabile al dirigente 11; il secondo, oggettivo, rappresentato dal risultato pratico di scardinare il binomio “divieto di licenziamento-trattamento di integrazione salariale”, posto che il costo del lavoro del dirigente in esubero non trova adeguato bilanciamento in alcuna misura di sostegno ed è, pertanto, imposto a carico del datore, costringendolo
ad adoperarsi con soluzioni innovative per il recupero dell’equilibrio gestionale 12.
In totale contrapposizione si è espresso il Tribunale di Roma a due mesi di distanza con la sentenza n. 3605 del 19 aprile 202113. Le motivazioni di tale decisione, all’interno di un ben strutturato iter argomentativo, si basano fondamentalmente su due pilastri.
In primo luogo, viene in rilievo il dato letterale dell’art. 46 del Decreto legge n. 18/2020 a norma del quale il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato
motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della Legge n. 604/1966. Sul punto, il Tribunale ricorda come quest’ultima
disposizione “non si applica ai dirigenti sia per espressa previsione normativa sia per consolidato principio giurisprudenziale”.
In secondo luogo, il Giudice pone in evidenza un ulteriore elemento fondamentale, che tuttavia non era stato considerato nell’ordinanza del 26 febbraio.
Infatti, per il Tribunale di Roma “il dato letterale, e cioè l’esclusione della figura del dirigente convenzionale dal blocco dei licenziamenti, risulta coerente con lo spirito che sorregge l’eccezionale ed emergenziale previsione del blocco dei licenziamenti” e che ha portato a un pressoché generalizzato ricorso agli ammortizzatori sociali.
Il sistema di tutele adottato in fase emergenziale si fonda infatti sulla simmetria tra il blocco dei licenziamenti e l’utilizzo di ammortizzatori sociali attraverso i quali il costo del lavoro è posto a carico della collettività.
Ebbene, il Giudice chiarisce che “con riguardo ai dirigenti detto binomio non può stare in piedi, poiché a questi ultimi non è consentito, almeno in pendenza del rapporto di lavoro, di accedere agli ammortizzatori sociali”. Di conseguenza, laddove il blocco dei licenziamenti fosse esteso anche ai dirigenti, il datore di lavoro non sarebbe in grado di adottare una soluzione alternativa idonea a garantire, come agli altri dipendenti, il reddito e la tutela occupazionale senza costi aggiuntivi.
Si determinerebbe così una “incoerenza costituzionale” tra l’estensione del blocco dei licenziamenti ai dirigenti e il principio di libertà dell’iniziativa economica sancito dall’art. 41 della Costituzione.
La sentenza smentisce infine le argomentazioni di chi, ritenendo il blocco dei licenziamenti applicabile anche ai dirigenti, considera irragionevole la scelta di proteggerli nell’ambito dei licenziamenti collettivi e non nell’ambito
dei licenziamenti individuali. Il Tribunale di Roma giustifica tale diversità di trattamento in ragione della diversità delle due fattispecie ovverosia, da un lato, il dirigente coinvolto in una procedura collettiva unitamente ad altri dipendenti protetti e dall’altro il dirigente destinatario del licenziamento economico individuale.
L’ordinanza in commento se dapprima conferma che “la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi n. 604 del 1966 e St. lav. non è applicabile” ai dirigenti, subito dopo, nel constatare che il primo divieto posto
dall’art. 14, comma 1, D.l. n. 104/2021 concerne le procedure di mobilità e che “pertanto, il blocco dei licenziamenti collettivi riguarda senza alcun dubbio anche il personale con qualifica dirigenziale”, evidenzia come “il riferimento al
giustificato motivo oggettivo, sebbene completato dal riferimento ad una legge non applicabile ai dirigenti, non deve necessariamente essere inteso come richiamo complessivo alla legge 604/66”. Quest’ultima affermazione merita un’analisi alla luce della norma guida dell’interpretazione giuridica: vale a dire l’art. 12, comma 1, prel. c.c.
Tale disposizione prevede, infatti, che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.
L’interprete – come fatto, in parte, dal giudicante – dovrebbe considerare due importanti articoli della L. n. 604/1966 per risolvere l’arcano circa l’applicazione del blocco di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo anche al dirigente: gli artt. 10 ed 11. Il primo esclude esplicitamente l’applicazione della L. n. 604/1966 alla categoria dei dirigenti. Il secondo – questo è il punto dirimente – dispone che “la materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è esclusa dalle disposizioni della presente legge”.
Quod lex excludit, addere non potest 14.
Nell’ordinanza in esame si legge che, alla data del licenziamento del dirigente, era ancora in vigore il divieto di licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 14, comma 1, D.l. n. 104/2020, “sia pure condizionato alla fruizione integrale dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid- 19 ovvero in alternativa all’esonero dal versamento dei contributi previdenziali”.
Secondo l’orientamento che il giudice sembra accogliere, il termine “fruizione” utilizzato dal Legislatore, accompagnato per di più dall’avverbio “integralmente”, richiama la condizione del datore di lavoro non già che è teoricamente legittimato, bensì che si avvale delle integrazioni o dell’esonero e, conseguentemente, viene assoggettato al divieto di licenziamento 15.
Pertanto, il fatto costitutivo del divieto va intercettato nella fruizione delle integrazioni o dell’esonero in forza delle condizioni previste dal legislatore, la cui mancanza sarà sufficiente affinché il datore di lavoro non vi sia assoggettato 16.
Il risultato è un divieto di licenziamento più malleabile rispetto a quello dell’art. 46, perché non opera in modo generalizzato e indistinto, oltreché mobile in quanto la sua durata è variabile e coincide con l’arco temporale
all’interno del quale si esaurisce l’integrale utilizzo delle integrazioni o dell’esonero 17. In conclusione, anche se la rilevanza della discussione è stata ridimensionata dai successivi provvedimenti di proroga (i quali, forse
proprio per evitare incertezze interpretative, non hanno replicato la formula dell’art. 14), qualora nel caso in esame abbracciassimo la tesi del divieto flessibile, a maggior ragione apparirebbe difficile sostenere l’estensione
del divieto al dirigente.
Infatti, dovrebbe considerarsi che l’art. 14 individuava come destinatari del divieto solo i datori di lavoro che decidessero di avvalersi, ricorrendone i presupposti, del trattamento di integrazione salariale o in alternativa dell’esonero contributivo, mentre erano immuni dal divieto i soggetti non aventi diritto a fruire di tali istituti 18 e anche coloro che, pur potendone fruire, scegliessero di non farlo, assumendo da subito “la decisione di modificare la
struttura organizzativa della propria azienda, procedendo alla soppressione in via definitiva di posti di lavoro (e quindi licenziando)” 19.
* Sintesi dell’articolo pubblicato ne LG, 4/2022, pag. 403 dal titolo Il problema dell’applicabilità del divieto di licenziamento individuale per g.m.o. al personale dirigente.
1. Trib. di Roma, ord., 26 febbraio 2021, in Cassazione.net, 1° marzo 2021, con nota di D. Ferrara.
2. Sul tema v. G. Proia, Divieto di licenziamento e principi costituzionali, in G. Proia (a cura di), Divieto di licenziamento e libertà d’impresa nell’emergenza Covid. Principi costituzionali, Torino, 2020, 3 ss.; M. Miscione, Il diritto del lavoro ai tempi orribili del coronavirus, cit., 221 ss.; A. Ripa – S. Garzena, Coronavirus e divieti
di licenziamento: più dubbi che indicazioni, in Dir. prat. lav., 2020, 14, 871 ss.
3. Sul tema v.: Cass. Civ. 22 giugno 2006, n. 14461, secondo cui “Il rapporto di lavoro dei dirigenti, anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 108/1990 , non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui agli art. 1 e 3 , legge n. 604/1966 , non avendo la suddetta legge n. 108 inciso sull’art. 10 della legge n. 604,
con la conseguenza che nel suddetto rapporto di lavoro la stabilità può essere assicurata soltanto mediante l’introduzione ad opera dell’autonomia collettiva o individuale di limitazioni alla facoltà di recesso del datore di lavoro.”. In senso analogo anche Cass. Civ. 11 giugno 2008, n. 15496 e Cass. Civ. 15 dicembre 2009, n. 26232.
4. Cass. Civ. 13 gennaio 2020, n. 396; Cass. Civ. 3 dicembre 2019, n. 31526; Cass. Civ. 2 ottobre 2018, n. 23894.
5. Cass. Civ. 5 aprile 2019, n. 9665; Cass. Civ. 3 dicembre 2019, n. 31526; Cass. Civ. 17 gennaio 2005, n. 775; Cass. Civ. 8 marzo 2012, n. 3628; in tutte si precisa che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. Sulla nozione di giustificatezza v. R. Riccardi, Licenziamento del dirigente – La nozione di giustificatezza” in caso di licenziamento del dirigente, in Giur. it., 2015, 1456 ss.; E. Menegatti, La “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, in Arg. dir. lav., 2010, 1, 212 ss.; Il licenziamento dirigenziale tra giustificatezza e
recesso ad nutum, in questa Rivista, 2010, 8, 229 ss.
6. Trib. di Roma, ord., 26 febbraio 2021, cit.
7. Trib. di Roma, Ibidem.
8. Evidenza M. De Luca, Blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19: alla ricerca delle tipologie, cit., che la differenziazione di trattamento dei dirigenti in punto di soggezione al blocco dei licenziamenti, risulta incoerente con una lettura “costituzionalmente orientata” della disciplina in relazione al principio di uguaglianza, anche sotto
il profilo della ragionevolezza; in particolare, l’autore ricorda che nel difetto di “situazioni idonee a giustificare un regime eccezionale (…)” (v. Corte cost. 22 maggio 1987, n. 180, in Foro it., 1987, 1, 939), la particolare condizione del dirigente non è, da sola, sufficiente a giustificarne differenziazioni di trattamento.
9. Con sentenza Corte di Giustizia UE 13 febbraio 2014, la ha accertato la violazione da parte dell’Italia della Dir. del Consiglio europeo 98/59/CE per la mancata previsione dell’obbligo di applicare anche ai dirigenti le tutele per i licenziamenti collettivi; pertanto, l’art. 24, L. n. 223/1991, così come novellato dall’art. 16 , L. n. 161/2014, prevede
oggi al comma 1-quinquies, l’applicazione delle maggior parte delle disposizioni di cui all’art. 4, L. n. 223/1991 anche al caso in cui “l’impresa o il datore di lavoro non imprenditore […] intenda procedere al licenziamento di uno o
più dirigenti”; a riguardo v. M. Miscione, I dirigenti per la Corte europea equiparati ad operai ed impiegati solo per i licenziamenti collettivi – Il commento, in questa Rivista, 2014, 3, 233 ss.
10. M. Agostini – M. Ercoli, Il licenziamento del dirigente ai tempi del Covid – nota a Tribunale di Roma, sez. Lav. 26.2.2021, cit., 12.
11. Cass. Civ. 2 ottobre 2018, n. 23894.
12. Sul punto vedi G. Piglialarmi, Percorsi di giurisprudenza – Il divieto di licenziamento sotto la lente dei giudici: le prime pronunce, in Giur. it., 2021, 2249 ss. e M. Agostini – M. Ercoli, Il licenziamento del dirigente ai tempi del Covid – nota a Tribunale di Roma, sez. Lav. 26.2.2021, cit., 2 ss.
13. Per una ricostruzione delle motivazioni della sentenza v. P.E. Pedà, Sull’applicabilità del blocco dei licenziamenti
ai dirigenti: prime decisioni di merito, in Mass. Giur. lav., 2021, 3, 769 ss.
14. M. Verzaro, Il blocco dei licenziamenti si applica anche ai dirigenti? Forse, no. In Labor, 17 dicembre 2017.
15. A. Maresca, Il divieto di licenziamento per Covid è diventato flessibile (prime osservazioni sull’art. 14, DL n. 104/2020), in Labor, 29 settembre 2020), 6.
16. A. Maresca, Ibidem. In tal senso anche M. Verzaro, La condizionalità del divieto di licenziamento, 5 ss., che aggiunge: “Il Governo limita, così, l’efficacia dell’art. 14 ai datori di lavoro privati che sono in crisi a causa di eventi riconducibili all’emergenza Covid-19 e che possono, pertanto, beneficiare di una delle due misure previste per gli stessi al fine del mantenimento dell’occupazione. Sono, pertanto, esclusi dalla sospensione e dal divieto di licenziamento tutti quei datori di lavoro che avviano procedure di licenziamento collettivo ovvero licenziamento
per g.m.o. per eventi – si badi – non riconducibili all’emergenza Covid-19. Ciò apre, naturalmente, ampi problemi di prova a carico del datore per sostenere la legittimità del licenziamento poiché dovrà, quindi, dimostrare l’estraneità dell’eziologia della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro ovvero del giustificato motivo oggettivo
all’attuale situazione di crisi intra-pandemica.
E, a tal proposito, non e sarà, a mio avviso, facile nemmeno per il giudice valutare tale estraneità vista l’immane permeabilità del fenomeno Covid- 19 nelle logiche aziendali e di mercato.”
17. A. Maresca, Il divieto di licenziamento per Covid è diventato flessibile, cit., 2.
18. Ipotesi, quest’ultima, che “si fonda su una lettura pregnante del requisito causale della CIG-Covid ex art. 1, ovvero della necessità di una sospensione o riduzione dell’attività lavorativa ’per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica’” (F. Scarpelli, I licenziamenti economici come (temporanea) extrema ratio: le proroghe del blocco dal d.l. 104/2020 alla Legge di Bilancio 2021, cit., 5 ss.).
19. A. Maresca, Il divieto di licenziamento per Covid è diventato flessibile, cit., 9. Secondo l’autore non configura sospensione o riduzione del lavoro, quindi “causale Covid-19”, la decisione del datore di lavoro di dare un diverso assetto alla struttura della propria impresa, con una modifica dell’articolazione organizzativa che comporti la definitiva chiusura di un’unità produttiva a cui sono addetti dei dipendenti oppure la soppressione di alcune posizioni di lavoro (come avviene nell’ordinanza in esame); non trattandosi né di una temporanea sospensione
di attività né di una riduzione di orario di lavoro, ma bensì della definitiva soppressione del posto di lavoro conseguente ad una decisione organizzativa del datore, questi non avrà diritto di fruire delle integrazioni e, pertanto,
non sarà soggetto al divieto di licenziamento.