La Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 6 febbraio 2018 n. C-359/16,è recentemente intervenuta su un caso di disconoscimento del certificato previdenziale A1 (Mod. E101 ai tempi dell’insorgere della controversia) che, al ricorrere di determinate condizioni, consente al lavoratore assicurato nel regime previdenziale obbligatorio di uno Stato membro UE, che sia distaccato dal proprio datore di lavoro nel territorio di un altro Stato membro UE, di mantenere per un determinato periodo la legislazione previdenziale dello Stato di origine, in deroga al principio generale della lex loci laboris.
La fattispecie è quella di una Società belga attiva nel settore edilizio che, praticamente priva di proprio personale sul territorio nazionale, affidava tutti i suoi cantieri in subappalto a società bulgare. Queste, benché esse stesse prive di significative attività in Bulgaria, avevano tuttavia ottenuto il rilascio di certificati previdenziali E101, attestanti il mantenimento della legislazione previdenziale bulgara per i propri lavoratori inviati in distacco in Belgio per l’esecuzione degli appalti suddetti.
La situazione veniva rilevata nel 2008 dall’Ispettorato sociale belga che, a seguito dell’inchiesta promossa in Bulgaria nell’ambito di una rogatoria internazionale, nel 2012 presentava alle Autorità bulgare emittenti i certificati E101, domanda di riesame o revoca dei certificati previdenziali stessi, ottenendo invece in risposta la conferma della loro legittimità. Instauratosi nel frattempo in Belgio un procedimento penale nei confronti della Società belga appaltante – con accusa in base alla legislazione belga di impiego di lavoratori stranieri non ammessi a soggiornare sul territorio dello Stato e in violazione delle disposizioni amministrative e previdenziali relative alla instaurazione e gestione del rapporto di lavoro subordinato nello stesso vigenti – la Corte di Cassazione in Belgio sospendeva il giudizio penale rimettendo la questione alla Corte di Giustizia europea, con la seguente questione pregiudiziale:
«Se un certificato E 101, rilasciato in forza dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento [n. 574/72], come applicabile prima della sua abolizione ad opera dell’articolo 96, paragrafo 1, del regolamento [n. 987/2009], possa essere annullato o ignorato da un giudice diverso da quello dello Stato membro di provenienza, qualora i fatti sottoposti al suo giudizio consentano di stabilire che il certificato è stato ottenuto o invocato in modo fraudolento».
Evidenziamo infatti che la vicenda si instaura in vigenza dei vecchi Regolamenti comunitari, ovvero Regolamento CEE n. 1408/71 e Regolamento di attuazione n. 574/72, i quali sono stati abrogati e sostituiti dal primo maggio 2010 dai Regolamenti CE n. 883/2004 e n. 987/2009, che hanno nella sostanza ribadito in medesimi principi.
Occorre a questo punto ricordare che i suddetti Regolamenti comunitari di sicurezza sociale sanciscono il principio di territorialità della legislazione previdenziale. In particolare, l’art. 11 par. 3, lett. a) del Regolamento CE n. 883/2004 (che ha sostituito l’art. 13, par. 2 lett. a) Reg. 1408/71) prevede che
“una persona che esercita un’attività subordinata o autonoma in uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato”.
Tale principio generale trova una deroga consentita nell’art. 12, par. 1 del medesimo Regolamento (che ha sostituito l’art. 14, punto 1, lett. a) Reg. 1408/71) che prevede che
“La persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi un lavoro per suo conto, in un altro Stato membro rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona”.
Come chiarito nel corso degli anni non solo dalla medesima Corte di Giustizia (Sentenza del 10 febbraio 2000, FTS, C-202/97, EU:C:2000:75, punto da 21 a 24, 30, 33 e da 40 a 45) ma anche dalla prassi amministrativa (cfr. “Vademecum sul distacco dei lavoratori nella UE ad uso degli Ispettori del lavoro” pubblicato dal Ministero del Lavoro con il supporto della Commissione Europea-DG Occupazione, Affari Sociali e Pari Opportunità, che richiama le Decisioni n. 181/2000 e A2 del 2009; messaggio Inps n. 16085 del 14 luglio 2008; circolare Inps n. 83 del primo luglio 2010), la possibilità di deroga, anche se solo temporanea, al principio di territorialità nella fattispecie del distacco è subordinata al verificarsi di due condizioni essenziali.
La prima riguarda il rapporto tra il datore di lavoro distaccante e il lavoratore distaccato e consiste nel mantenimento, durante il periodo di distacco, del legame organico tra il lavoratore distaccato e il datore di lavoro distaccante, il quale ultimo conserva il potere gerarchico e disciplinare, nonché il potere di determinare il contenuto della prestazione. La seconda riguarda la configurazione della Società distaccante, che all’inizio e durante tutto il periodo in cui si attua il distacco deve esercitare “attività significative” nel territorio dello Stato membro di stabilimento, al fine di comprovare che non si tratta di società fittizia.
Al ricorrere di tali condizioni, in virtù di un altro principio fondamentale sancito dalla Regolamentazione europea, ovvero il principio dell’unicità (in ciascuna singola situazione di distacco) della legislazione previdenziale applicabile, il paese di invio (ovvero quello ospitante) non potrà pretendere l’adempimento di alcuna obbligazione contributiva.
Come noto, nell’ambito dell’Unione Europea, l’istituto del distacco previdenziale – così come il suo riconoscimento e regolamentazione a livello giuslavoristico attuato dalle Direttive n. 96/71/CE e n. 67/2014/UE – ha la finalità di contemperare l’esigenza di favorire la libera circolazione dei servizi e dei lavoratori, nonché l’integrazione economica in ambito comunitario, con quella di tutela dei lavoratori coinvolti che, mantenendo durante il distacco la legislazione previdenziale del Paese di origine, eviteranno la frammentazione della loro posizione previdenziale e pensionistica su differenti regimi nazionali.
Un tale impianto, ricorda la Corte, presuppone i principi di fiducia reciproca e di leale collaborazione tra Stati membri.
Il medesimo Regolamento di attuazione n. 987/2009 all’art. 5 determina il valore giuridico dei documenti e delle certificazioni rilasciati in un altro Stato membro e prevede una specifica procedura per avviarne l’eventuale disconoscimento, che è stata anche oggetto della Decisione A1 del 12 giugno 2009 della Commissione Amministrativa europea, che ha previsto una specifica procedura di dialogo e consultazione.
Infatti, i documenti rilasciati dall’istituzione di uno Stato membro che attestano la situazione di una persona ai fini dell’applicazione del regolamento di base e del regolamento di applicazione, nonché le certificazioni su cui si è basato il rilascio dei documenti, sono accettati dalle istituzioni degli altri Stati membri fintantoché essi non siano ritirati o dichiarati non validi dallo Stato membro in cui sono stati rilasciati.
Di conseguenza, come ricorda la Corte di Giustizia UE nella sentenza in esame, il certificato E101, creando una presunzione di regolarità dell’iscrizione del lavoratore interessato al regime previdenziale dello Stato membro in cui ha sede l’impresa presso cui questi lavora, è vincolante, in linea di principio, per l’istituzione competente dello Stato membro in cui tale lavoratore svolge l’attività lavorativa (si veda, in tal senso, la sentenza del 27 aprile 2017, A-Rosa Flussschiff, C620/15, EU:C:2017:309, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
Tuttavia, in caso di dubbio sulla validità del documento o sull’esattezza dei fatti su cui si basano le indicazioni che vi figurano, l’istituzione dello Stato membro che riceve il documento chiede all’istituzione emittente i chiarimenti necessari e, se del caso, il ritiro del documento. L’istituzione emittente riesamina i motivi che hanno determinato l’emissione del documento e, se necessario, procede al suo ritiro.
In mancanza di accordo tra le istituzioni interessate, la questione può essere sottoposta alla Commissione amministrativa, la quale cerca una conciliazione dei punti di vista entro i sei mesi successivi alla data in cui la questione le è stata sottoposta (la medesima procedura era contemplata nei Regolamenti n. 1408/71 e n. 574/72).
La vicenda oggetto della sentenza in esame si inserisce proprio in questo contesto normativo. Di fronte all’inerzia dell’autorità emittente i certificati previdenziali E101, ove sia stato ragionevolmente provato che gli stessi sono stati ottenuti in modo fraudolento, il Giudice del paese ospitante può disapplicarli.
La Corte di Giustizia UE, con la sentenza n. C-359/16 del 6 febbraio 2018 ha pertanto ritenuto che
“l’articolo 14, punto 1, lettera a), del regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, nella versione modificata e aggiornata, devono essere interpretati nel senso che, qualora l’istituzione dello Stato membro nel quale i lavoratori sono stati distaccati abbia investito l’istituzione che ha emesso certificati E 101 di una domanda di riesame e di revoca degli stessi, sulla scorta di elementi raccolti nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria dalla quale è emerso che tali certificati sono stati ottenuti o invocati in modo fraudolento, e l’istituzione emittente non abbia tenuto conto di tali elementi ai fini del riesame della correttezza del rilascio dei suddetti certificati, il giudice nazionale può, nell’ambito di un procedimento promosso contro persone sospettate di aver fatto ricorso a lavoratori distaccati servendosi di tali certificati, ignorare questi ultimi se constati l’esistenza di una tale frode”.