Diritto o non diritto alle ferie annuali retribuite a seguito di lunghi periodi di assenza del lavoratore? QUESTO È IL DILEMMA

Emilia Scalise, Consulente del Lavoro in Milano

Sì, questo è il dilemma. Capita spesso a noi professionisti di dover affrontare situazioni in cui i nostri clienti ricevono richieste da parte dei propri dipendenti di poter fruire periodi di ferie retribuite dopo lunghe assenze dal lavoro, nonostante il cumulo considerevole dei periodi di assenza e le difficoltà che tali assenze hanno determinato nell’organizzazione del lavoro. Il periodo di ferie annuali retribuite è infatti un diritto irrinunciabile per il lavoratore. Il tema del diritto alle ferie annuali retribuite è costantemente oggetto di analisi giurisprudenziale sia per quanto riguarda la relativa prescrittibilità sia in merito alla possibilità o meno di limitarne il godimento in caso di assenze prolungate da lavoro. Ed è proprio con riferimento a quest’ultima fattispecie che di recente anche la Corte di Giustizia UE è tornata sul tema con la sentenza del 9 novembre 2023 alle cause riunite CI271/22 e CI275/22.

L’ISTITUTO DELLE FERIE ANNUALI

Il periodo di ferie annuali retribuite è un principio sancito della Costituzione italiana, che ne disciplina non solo il diritto ma anche la relativa irrinunciabilità. Infatti, l’articolo 36, comma 3 recita “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”. Il lavoratore, pertanto, preserva un diritto al godimento delle ferie annuali, diritto al quale non può rinunciarvi. Oltre alla Costituzione italiana, l’istituto delle ferie annuali trova fonte normativa anche nel Codice Civile e nel D.lgs. n. 66/2003 in attuazione delle Direttive 93/104/CE e 2000/34/ CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro. Con riferimento alla disciplina codicistica, l’articolo 2109 al comma 2 stabilisce che il lavoratore ha diritto “dopo un anno d’ininterrotto servizio, ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità” L’art. 2109 del Codice civile, in conformità al principio costituzionale, ricalca il diritto del lavoratore al godimento di un periodo di ferie annuali, stabilendo tuttavia che le modalità di fruizione delle ferie sono stabilite dall’imprenditore, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro e che l’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie. Pertanto, si tratta di un diritto non pienamente esercitabile tout court da parte del lavoratore: la fruizione deve avvenire tenendo conto anche delle esigenze del datore di lavoro. Passando poi ad analizzare il D.lgs. n. 66/2003, l’art. 10 prevede che “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2109 del codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo […] va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.” Anche in questo caso l’art. 10 racchiude diversi principi tra cui:

• le modalità di concessione e di fruizione delle ferie continuano ad essere regolamentate dall’art. 2109 c.c.; • la mancata fruizione delle ferie annuali, nel limite del periodo minimo legale, pari a quattro settimane, non può essere sostituita dalla relativa indennità se non al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Il D.lgs. n. 66/2003 è entrato in vigore in attuazione dei principi contenuti nelle Direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, prima, e nella Direttiva n. 2003/88/CE, poi. Con riferimento a quest’ultima, l’art. 7, paragrafo 1 recita “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali. Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro.” L’articolo 7 della Direttiva 2003/88/CE, quindi, rimanda agli Stati membri il compito di garantire il periodo di ferie annuali retribuite, adottando tutte le misure necessarie affinché il lavoratore possa beneficiare di tale diritto. D’altronde il periodo di ferie annuali retribuite non è solo un diritto di matrice costituzionale, ma la stessa Unione europea ne ha fatto un suo principio fondamentale: l’articolo 31, paragrafo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, infatti, sancisce che “Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite.”

L’ATTUALE ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE ITALIANO

Come accennato in premessa, diverse sono state le pronunce giurisprudenziali in tema di diritto alle ferie annuali retribuite e mancato godimento delle stesse. Citando solo alcune di esse, con riferimento al tema della prescrittibilità, orientamento costante è quello secondo cui solo qualora il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare il diritto al godimento delle ferie nel corso del rapporto di lavoro, tale diritto si considera prescritto e conseguentemente si ritiene altresì estinto il diritto al pagamento della relativa indennità sostitutiva: “Le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale e irrinunciabile e correlativamente un obbligo del datore di lavoro; il diritto all’indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro è intrinsecamente collegato al diritto alle ferie annuali retribuite. […] La perdita del diritto alle ferie e alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di aver invitato il lavoratore a godere delle ferie, se necessario formalmente e di averlo al contempo avvisato […] del fatto che, se egli non fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato” 1 . La prescrizione delle ferie non godute, quindi, decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, salvo che il datore di lavoro non dimostri che il diritto è stato perso dal medesimo lavoratore perché egli non ne ha goduto nonostante l’invito a fruirne. In merito, invece, al diritto di godimento del periodo di ferie annuali retribuite da parte del lavoratore assente dal lavoro per diversi periodi di malattia, la giurisprudenza ha conferma to che il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie. Tale facoltà, tuttavia, non corrisponde a un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa. Il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell’assenza per malattia in ferie, e nell’esercitare il potere, conferitogli dalla legge, di stabilire la collocazione temporale delle ferie, è tenuto ad una considerazione e a una valutazione adeguata alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto. Un tale obbligo del datore di lavoro, tuttavia, non è ragionevolmente configurabile allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto (ad esempio in presenza di aspettativa anche non retribuita)2.

LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE

I fatti in causa Il chiarimento in tema di diritto alle ferie annuali da parte di un lavoratore inabile, assente per diversi periodi di riferimento consecutivi, arriva anche dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza del 9 novembre 2023 alle cause riunite CI271/22 e CI275/22 a seguito delle domande di pronuncia giurisprudenziale sull’interpretazione dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003, nonché dell’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La controversia è stata promossa da parte di alcuni lavoratori francesi a seguito del rifiuto da parte del datore di lavoro di beneficiare dei giorni di ferie annuali retribuite che non avevano potuto godere durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia, durato per oltre un anno, e del pagamento della relativa indennità sostitutiva al termine del rapporto di lavoro. Nello specifico, tali richieste erano state avanzate entro 15 mesi dal periodo di riferimento di un anno, durante il quale era sorto il diritto alle ferie annuali retribuite, ed erano circoscritte ai solo diritti maturati durante due periodi di riferimento consecutivi. La società ha rigettato le richieste sulla base della normativa nazionale francese 3 motivando che le assenze da lavoro sarebbero durate oltre un anno e non sarebbero state causate da una malattia professionale. Davanti al rigetto delle richieste, i lavoratori presentavano ricorso al conseil de prud’hommes d’Agen4 , ritenendo tale rifiuto contrario all’art. 7, paragrafo 1 della Direttiva 2003/88/ CE nonché all’art. 31 della Carta. Il giudice di rinvio, di fronte ai motivi di ricorso presentati, decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia UE tre questioni giurisprudenziali:

– la prima se l’art. 7, paragrafo 1 della Direttiva 2003/88/CE potesse essere invocato da un lavoratore assunto da un’impresa privata, titolare, nel caso di specie, di una concessione di servizio pubblico;

– la seconda quale fosse il periodo ragionevole di riporto della quattro settimane di ferie retribuite maturate di cui all’art. 7, paragrafo 1 della Direttiva 2008/88/CE, considerando un periodo di maturazione dei diritti alle ferie retribuite pari a un anno;

– la terza se l’applicazione di un periodo di riporto illimitato in assenza di una disposizione nazionale regolamentare o contrattuale, che disciplini tale riporto, non fosse contraria all’art. 7 della Direttiva CE. Ai fini della trattazione ci soffermeremo solo sulla terza questione giurisprudenziale.

Il parere

In risposta alla terza questione giurisprudenziale, la Corte di Giustizia UE, in primo luogo, ribadisce che spetta agli Stati membri definire, attraverso la normativa nazionale, le condizioni di esercizio e di attuazione del diritto alle ferie annuali retribuite, specificando le circostanze in cui i lavoratori possono esercitare tale diritto, così come la determinazione di un periodo di riporto per ferie annuali non godute alla fine di un periodo di riferimento. Infatti, l’art. 7, paragrafo 1 della Direttiva 88/2003/CE non osta a una normativa locale che preveda la perdita del diritto alle ferie annuali retribuite allo scadere di un periodo di riporto. Secondo costante giurisprudenza, la normativa locale può apportare limitazioni al diritto fondamentale alle ferie annuali retribuite previsto dall’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. È, in ogni caso, necessario che il lavoratore che abbia perso tale diritto abbia avuto effettivamente la possibilità di esercitarlo e che le limitazioni a tale esercizio derivino “dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di tale diritto e, nell’osservanza del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione”. La Corte di Giustizia UE, con tale pronuncia, ammette quindi limitazioni al diritto delle ferie annuali retribuite purché si ravvisino le condizioni di cui sopra. Analizzando, poi, la fattispecie in concreto ossia il caso di lavoratori inabili al lavoro per diversi periodi di riferimento consecutivi, i quali durante il periodo di assenza abbiano cumulato un periodo illimitato di ferie annuali retribuite, la Corte ha precisato che un cumulo illimitato di ferie non risponderebbe più alle finalità legate al relativo godimento. In particolare, il periodo di ferie annuale retribuite ha la finalità, da un lato, di permettere al lavoratore un recupero psicofisico completo e, dall’altro, di garantire un periodo di distensione e ricreazione. Per tali lavoratori, secondo la Corte, queste finalità possono sussistere solo ove il riporto non superi un certo limite temporale. Oltre tale limite, infatti, le ferie annuali sarebbero prive del loro effetto positivo per il lavoratore quale momento di riposo, mantenendo solo la loro natura di distensione e di ricreazione. Pertanto, bilanciando i diversi interessi in gioco (la protezione che la Direttiva garantisce al prestatore di lavoro di godimento delle ferie annuali retribuite e la posizione del datore di lavoro, il quale, in caso di lavoratore inabile al lavoro per diversi periodi di riferimento consecutivi, si trovi a dover affrontare il rischio di un cumulo troppo considerevole dei periodi di assenza del lavoratore), la Corte stabilisce che l’articolo 7, paragrafo 1 della Direttiva debba essere interpretato nel senso che “non osta a norme o prassi nazionali che, prevedendo un periodo di riporto allo scadere del quale tale diritto si estingue, limitano il cumulo dei diritti alle ferie annue retribuite” precisando tuttavia che “detto periodo di riporto garantisca al lavoratore, in particolare, di poter disporre, se necessario, di periodi di riporto che possano essere scaglionati, pianificati e disponibili a più lungo termine. Ogni periodo di riporto deve superare in modo significativo la durata del periodo di riferimento per il quale è concesso”. Con riferimento specifico alle cause riunite CI271/22 e CI275/22 la Corte di Giustizia UE ha, pertanto, dichiarato che “l’articolo 7 della Direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale e/o a una prassi nazionale che, in assenza di una disposizione nazionale che preveda un limite temporale espresso al riporto di diritti alle ferie retribuite maturati e non esercitati a causa di un’assenza dal lavoro per malattia di lunga durata, consenta di accogliere domande di ferie annuali retribuite presentate da un lavoratore entro quindici mesi dalla fine del periodo di riferimento che dà diritto a tali ferie e circoscritte a due periodi di riferimento consecutivi”.

CONCLUSIONI

Nonostante un lavoratore inabile al lavoro per diversi periodi di riferimento consecutivi abbia, in via di principio, il diritto di accumulare, senza limiti, periodi di ferie annuali retribuite durante la sua assenza dal lavoro, secondo la Corte, un cumulo illimitato di ferie non risponderebbe più alla finalità legate al godimento delle stesse. È indubbio che il diritto di ferie annuali retribuite abbia una duplice finalità: da una parte, consentire al lavoratore di riposarsi; dall’altra, di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione. Il diritto alle ferie annuali retribuite acquisito da un lavoratore inabile al lavoro per diversi periodi di riferimento consecutivi può beneficiare di entrambe le finalità solo qualora il relativo riporto non superi un certo limite temporale. Oltre tale limite, il periodo di ferie maturato perderebbe lo scopo di garantire il riposo al lavoratore, mantenendo solo la loro natura di distensione e di ricreazione. Pertanto, in considerazione delle circostanze particolari nelle quali si trova un lavoratore inabile al lavoro per diversi periodi di riferimento consecutivi, per la Corte è indiscutibile che l’articolo 7 della Direttiva 2003/88 debba essere interpretato nel senso che non osta a norme o prassi nazionali che, prevedendo un periodo di riporto allo scadere del quale tale diritto si estingue, limitano il cumulo dei diritti alle ferie annue retribuite, purché, detto periodo di riporto garantisca al lavoratore, in particolare, di poter disporre, se necessario, di periodi di riporto che possano essere scaglionati, pianificati e disponibili a più lungo termine.

  1. Cass.civ., sez. lav., ord. 20.06.2023, n. 17643.
  2. Cass. civ., sez. lav., sent. 21.09.2023, n. 26997; Cass. civ., sez. lav., sent. 27.03.2020, n. 7566; Cass. civ., sez. lav., sent. 5.4.2017, 8834; Cass. civ., sez. lav., sent. 22.3.2005, n. 6143; Cass. civ., sez. lav., sent. 10.11.2004, n. 21385; Cass. civ., sez. lav., sent. 9.4.2003, n. 5521; Cass. civ., sez. lav., sent. 8.11.2000, n. 14490).
  3. L’articolo L.3141-5 del codice del lavoro francese prevede che “Sono considerati periodi di lavoro effettivo ai fini della determinazione della durata delle ferie […] i periodi, fino a un periodo ininterrotto di un anno, durante i quali l’esecuzione del contratto di lavoro è sospesa a causa di infortunio su lavoro o di una malattia professionale”.
  4. Tribunale del lavoro d’Agèn.

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