DIMISSIONI PER GIUSTA CAUSA A SEGUITO DEL TRASFERIMENTO: NESSUN ONERE PROBATORIO PER IL LAVORATORE AI FINI DELLA NASPI

Emilia Scalise, Consulente del lavoro in Milano

Le dimissioni per giusta causa presentate a seguito del trasferimento presso altra sede sita oltre 50km dalla residenza (ovvero raggiungibile in più di 80 minuti con i mezzi pubblici) danno diritto alla Naspi e non obbligano il lavoratore trasferito a provare che il trasferimento sia privo di ragioni giustificate. Queste sono le conclusioni del Tribunale di Torino che, con la sentenza n. 429 del 27 aprile 2023, delegittima il messaggio Inps n. 369 del 26 gennaio 2018 relativo al riconoscimento della Naspi in caso di dimissioni a causa del trasferimento oltre 50 km dalla residenza del lavoratore.

Nello specifico, il messaggio in oggetto propone una distinzione degli oneri in capo al lavoratore a seconda che la risoluzione dal rapporto di lavoro in caso di trasferimento in altra sede sita oltre 50 km dalla residenza del lavoratore (o raggiungibile in più di 80 minuti mediante mezzi pubblici) sia avvenuta o con risoluzione consensuale o mediante dimissioni per giusta causa, prevedendo solo in quest’ultimo caso l’onere in capo al lavoratore trasferito di provare che il trasferimento sia avvenuto in assenza di ragioni tecniche, organizzative o produttive. I fatti in causa: la ricorrente, assunta presso la sede di Torino, in data 13 aprile 2022 riceveva il trasferimento presso altra sede sita in Trieste. A seguito del trasferimento, la ricorrente presentava dimissioni per giusta causa per “rifiuto trasferimento in altra sede sita oltre 80km dalla residenza”.

Le parti, quindi, decidevano di sottoscrivere verbale di conciliazione al fine di prevenire il sorgere di future liti legate al trasferimento, prevedendo da un lato la rinuncia della ricorrente a pretese legate al rapporto di lavoro, dall’altro l’impegno della società a corrispondere una somma a titolo transattivo.

In data 11 maggio 2022 la ricorrente presentava apposita domanda di Naspi ottenendo tuttavia rigetto da parte dell’Istituto in quanto “la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni non dà diritto alla concessione del trattamento in oggetto”.

Il Tribunale di Torino, accogliendo il ricorso presentato dalla ricorrente, annullava la prassi dell’Istituto, radicando le sue motivazioni direttamente nella previsione di legge disciplinante la Naspi ossia il D.lgs. n. 22/2015. In particolare, secondo i giudici di merito, l’articolo 3 prevede quali requisiti essenziali ai fini dell’erogazione del trattamento di disoccupazione la perdita involontaria dell’occupazione, almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti la perdita dell’occupazione stessa e 30 giorni di effettivo lavoro nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione (quest’ultimo requisito non più richiesto da Legislatore con riferimento agli eventi di disoccupazione decorrenti dal 1° gennaio 2022). L’indennità è altresì riconosciuta anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’art. 7, L. n. 604/1966.

Premesso quanto sopra, secondo i fatti in causa, nessun dubbio circa il requisito lavorativo e contributivo della lavoratrice, ritenendosi altresì pacifico che la nuova sede assegnata alla ricorrente disti oltre 50 km dalla propria residenza e che la stessa non sia raggiungibile in meno di 80 minuti avvalendosi di mezzi pubblici. L’oggetto del contendere verte, invece, sul modo con cui la ricorrente ha espresso la decisione di recedere dal rapporto, ossia le dimissioni per giusta causa, modalità che secondo l’Inps genera il diritto alla Naspi solo qualora il lavoratore stesso sia in grado di dimostrare l’assenza delle ragioni richieste dall’art. 2103 c.c. affinché il trasferimento sia considerato genuino. In primo luogo, secondo i giudici di merito, è opportuno verificare se le dimissioni siano state presentate su base di una volontà spontanea ovvero da una decisione indotta dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro. A tal proposito, per il Tribunale è inequivocabile la natura non volontaria delle dimissioni poiché il trasferimento in altra sede sita oltre i 50km dalla residenza del lavoratore (ovvero raggiungibile in non meno di 80 minuti) configura una notevole variazione delle condizioni di lavoro precedentemente pattuiti e quindi giusta causa di recesso dal rapporto di lavoro. Lo stesso Istituto ha ricondotto a giusta causa le dimissioni conseguenti al trasferimento in altra sede.

Pertanto, le dimissioni per giusta causa presentate dalla lavoratrice a seguito del trasferimento presso altra sede sita oltre 50km dalla residenza determinano il diritto della ricorrente a ricevere l’indennità Naspi, senza alcun obbligo ulteriore in capo alla stessa, considerando che anche lo stesso articolo 3 del D.lgs. n. 22/2015 non prevede tra i requisiti che determinano il diritto alla Naspi alcun onere probatorio in capo al lavoratore trasferito circa la genuinità del trasferimento e in quanto “la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è sostanzialmente equiparabile alle dimissioni, non essendoci alcuna differenza concettuale tra la dichiarazione di volontà con cui il lavoratore pone unilateralmente termine al rapporto di lavoro e la dichiarazione di volontà che confluisce, unitamente ad analoga dichiarazione del datore di lavoro, nell’accordo oggetto di risoluzione”.

Del resto, nel caso di specie, lo stesso Istituto aveva espressamente dichiarato che “l’indennità spetta anche laddove il lavoratore e il datore di lavoro in sede di conciliazione pattuiscano la corresponsione a favore del lavoratore di somme a vario titolo e di qualunque importo esse siano”.


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