CONTRIBUZIONE SU FERIE NON GODUTE: un adempimento da rivedere

P. di Nunzio - Veronica Pagano, Consulenti del lavoro in Milano

E non è necessario perdersi “ in astruse strategie, tu lo sai, può ancora vincere chi ha il coraggio delle idee. (R. Zero, “Il coraggio delle idee”)

Da quasi un quarto di secolo l’Inps ha imposto il pagamento della contribuzione previdenziale sulla retribuzione relativa alle ferie maturate nell’anno e non godute nei 18 mesi successivi. Un obbligo derivante non dal diritto positivo che crea enormi difficoltà operative, note di rettifiche con relativi riflessi negativi sul tempestivo rilascio del DURC, possibile accredito di maggiore contribuzione sulle posizioni individuali (vedi in prosieguo), difficoltà di recupero della contribuzione pregressa nei casi di cambio di professionista nella gestione degli adempimenti amministrativi. Prima di entrare nel merito della questione con delle nostre proposte di semplificazione è utile fare delle premesse su quelli che sono i caratteri essenziali dell’istituto delle ferie.

QUADRO NORMATIVO

Art. 36 Costituzione

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

Pertanto la fruizione delle ferie è un diritto irrinunciabile: qualsiasi patto contrario, sia esso contenuto in un contratto collettivo o in un contratto individuale, è nullo; da ciò consegue l’automatica sostituzione (art. 36, c. 3, Cost.; art. 1419, c. 2, c.c.) della clausola nulla con la disposizione attributiva del diritto stesso.

ARTT. 2109 E 2243 CODICE CIVILE

 Il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità. L’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie. Non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso.

LEGGE N. 157/81 (ratifica convenzione OIL n. 132/70)

Il frazionamento del congedo annuale pagato potrà essere autorizzato dall’autorità competente o dall’organismo appropriato in ciascun Paese. 2. A meno che non sia diversamente stabilito da accordo tra il datore di lavoro e la persona impiegata interessata, e a condizione che la durata del servizio di questa persona le dia diritto a un tale periodo di congedo, una delle frazioni di congedo dovrà corrispondere almeno a due settimane ininterrotte di lavoro.

La Convenzione OIL prevede la possibilità di frazionare il periodo feriale, purché una delle frazioni di congedo corrisponda almeno a 2 settimane ininterrotte (vedi sopra), salvo diverso accordo tra datore e prestatore di lavoro. Il codice civile (art. 2109), invece, stabilisce solo che le ferie siano fruite possibilmente in modo continuativo.

DECRETO LEGISLATIVO N. 66/2003, ART. 10 (recepimento della Direttiva CE 2000/34)

Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2109 del codice civile, il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. 2. Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro. 3. Nel caso di orario espresso come media ai sensi dell’articolo 3, comma 21, i contratti collettivi stabiliscono criteri e modalità di regolazione. In merito alla frazionabilità del periodo feriale, il Ministero del Lavoro ha distinto tre periodi di ferie: – un primo periodo di almeno 2 settimane, da fruire nel corso dell’anno di maturazione, in modo ininterrotto se vi è richiesta del lavoratore. La richiesta deve essere formulata tempestivamente per consentire all’imprenditore di contemperare correttamente le esigenze dell’impresa con gli interessi del prestatore di lavoro; – un secondo periodo di 2 settimane, da fruire anche in modo frazionato entro 18 mesi dal termine dell’anno di maturazione (salvi i più ampi periodi di differimento stabiliti dalla contrattazione collettiva); – un terzo periodo superiore al minimo di 4 settimane stabilito dalla legge, che può essere fruito anche in modo frazionato. Nonostante la pluralità di fonti legislative che regolamentano l’istituto delle ferie, la materia è quasi interamente disciplinata dalla contrattazione collettiva e dalla prassi aziendale. Il lavoratore dipendente che non lavora per l’intero periodo di maturazione ha diritto ad un numero di giorni di ferie proporzionato al servizio effettivamente prestato. Le modalità di conteggio dei mesi e delle frazioni di mese lavorate vengono stabilite dai contratti collettivi, ma in genere ogni mese di servizio da diritto ad un dodicesimo del periodo annuale di ferie spettanti, tenendo conto che le frazioni di mese di almeno quindici giorni valgono come mese intero.

LA PRASSI AMMINISTRATIVA INPS

L’Inps, seppur manchi, di fatto, una previsione normativa puntuale sul tema, con una serie di circolari, basate su alcune decisioni giurisprudenziali2 e su orientamento del Ministero del Lavoro, ha stabilito che al 30 giugno di ogni anno il datore di lavoro ha l’obbligo di versare la quota di contribuzione calcolata sul monte ferie “scadute” (corrispondente alla data limite per il calcolo dei 18 mesi di cui all’art. 10 del D.lgs. n. 66 del 2003). Infatti, il Ministero, con lettera del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale n. 6/ PS/60985 del 14 maggio 1998, circolare Inps n. 134 del 23 giugno 1998, circolare Inps n. 186 del 7 ottobre 1999, ha previsto che entro il diciottesimo mese dall’anno di maturazione l’ente previdenziale debba richiedere una anticipazione della contribuzione sulle ferie non godute. Si tenga presente, aggiungiamo noi, che le ferie non possono mai essere monetizzate se non alla cassazione del rapporto di lavoro. Nella circolare n. 134 del 1998 l’Inps ha introdotto, per la prima volta, la tematica in esame disponendo che, in assenza di una diversa regolamentazione collettiva, “la scadenza dell’obbligazione contributiva per le ferie non godute in ciascun anno solare cui si riferiscono deve essere fissata al diciottesimo mese successivo al termine di tale anno”. La successiva circolare n. 186 del 1999 chiarisce e mitiga il precedente orientamento affermando che: “Con particolare riguardo al momento di fruizione delle ferie che, in base al dettato dell’art. 2109, è stabilito dal datore di lavoro “tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”, appare chiara la rilevanza che assumono non soltanto i C.C.N.L, ma anche i contratti, i regolamenti aziendali e le pattuizioni individuali che, ove finalizzati all’effettiva fruizione delle ferie, sono da considerare di miglior favore rispetto alle norme della contrattazione collettiva”. In concreto, l’Inps, dal 1999, ammette la legittimità dei regolamenti e degli accordi stipulati tra le parti, anche individuali, purché finalizzati ad un effettivo godimento delle ferie e non ad una posticipazione ad oltranza di un diritto che, si ribadisce, essere “irrinunciabile” per il lavoratore. “

MOMENTO IMPOSITIVO” DEL COMPENSO PER FERIE NON GODUTE (CIRC. INPS N. 15/2002)

Come precisato nella circolare n. 186/1999 richiamata, in presenza di una previsione legale o contrattuale (collettiva o aziendale) che regolamenti la fruizione delle ferie, la scadenza dell’obbligazione contributiva dovuta per il compenso per ferie non godute e la relativa collocazione temporale dei contributi coinciderà con il termine indicato nella normativa di riferimento. Tale termine può essere differito in virtù di accordi e/o regolamenti aziendali o anche pattuizioni individuali tendenti ad agevolare il più possibile l’effettivo godimento delle ferie da parte del lavoratore entro i limiti fissati dall’art. 9, comma 1 e 23 della convezione OIL; ovviamente il momento impositivo e la collocazione temporale dei contributi dovuti sul compenso ferie non godute coincidono con il mese in cui cade tale termine differito. Infine, in assenza di disposizioni contrattuali ovvero di regolamenti aziendali o di pattuizioni individuali, così come precisato nella circolare n. 134/1998, la scadenza dell’obbligazione contributiva e la relativa collocazione temporale dei contributi sono fissate al diciottesimo mese successivo al termine dell’anno solare di maturazione delle ferie (es. gli adempimenti contributivi per le ferie relative all’anno 2000 trovano scadenza al 30 giugno 2002; quelli per le ferie 2001, al 30 giugno 2003 e così via). Individuato il momento impositivo con i criteri su esposti, i datori di lavoro sommeranno alla retribuzione imponibile del mese successivo a quello di scadenza delle ferie anche l’importo corrispondente al compenso per ferie non godute ancorché non corrisposto. Come già precisato con la circolare n. 186/1999, la individuazione del momento in cui sorge l’obbligo contributivo sul compenso ferie non costituisce limite temporale al diritto del lavoratore di fruire effettivamente delle ferie. Pertanto, può verificarsi il caso in cui le ferie vengano godute in un periodo successivo al momento impositivo; in tale ipotesi il contributo versato sulla parte di retribuzione corrispondente al “compenso ferie” non è più dovuto.

PROCEDURA PREVISTA DAL MESSAGGIO N. 101 DEL 13 GIUGNO 2001 (RECUPERO CONTRIBUTI NEL QUADRO “D” DEL MOD. DM10)

I datori di lavoro

– assoggetteranno a contribuzione l’intera retribuzione del mese nel quale le ferie arretrate vengono fruite (in tutto o in parte), attribuendo detta retribuzione allo stesso periodo di paga; – porteranno a conguaglio nel quadro “D” del mod. DM10/2 l’importo dei contributi versati relativi al compenso sostituivo divenuti indebiti, utilizzando il codice L480 preceduto dalla dicitura “REC. CONTR. FERIE”;

– indicheranno, ai soli fini della quadratura dei monti retributivi, nei quadri B-C del mod. DM10/2, l’importo della retribuzione riferita al compenso ferie sulla quale sono stati a suo tempo versati i contributi oggetto di recupero con il codice L480, contrassegnandolo con i seguenti codici di nuova istituzione: “H400” preceduto dalla dicitura “RID. IMPONIBILE ANNO CORRENTE”, se la retribuzione cui si riferisce il recupero dei contributi per compenso ferie è di competenza dell’anno solare in corso; “H500” preceduto dalla dicitura “RID. IMPONIBILE ANNO PRECEDENTE”, se la retribuzione cui si riferisce il recupero dei contributi per compenso ferie è di competenza dell’anno solare precedente.

PROCEDURA DI “DECONTRIBUZIONE” DIRETTA SULLA RETRIBUZIONE DEL MESE IN CUI VENGONO FRUITE LE FERIE

I datori di lavoro – assoggetteranno a contribuzione la retribuzione del mese nel quale le ferie arretrate vengono fruite (in tutto o in parte), portando in diminuzione l’importo riferito al compenso ferie già assoggettato a contribuzione; – attribuiranno, comunque, l’intera retribuzione corrisposta al periodo di paga nel quale le ferie vengono fruite.

Tale procedura può essere utilizzata in tutte le denunce dell’anno, entro i 12 mesi dal periodo cui l’elemento si riferisce. Oltre i 12 mesi occorre attivare la procedura di regolarizzazione (Circ. Inps 106 del 2018).

ALCUNE CONSIDERAZIONI

i.la Corte di Cassazione ribadisce che spetta al datore di lavoro l’esatta determinazione del periodo feriale in quanto il lavoratore ha solo la facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruirne (Cass., 16 ottobre 2014, n. 21918; Cass., 12 giugno 2001, n. 7951). Se, nonostante la programmazione, il lavoratore non gode del periodo minimo previsto entro l’anno di maturazione, il datore di lavoro può obbligarlo a consumarle, anche per evitare di incorrere in conseguenze sanzionatorie e/o risarcitorie. In tal senso basti citare Cassazione n. 21918/2014 nella quale si afferma come “l’esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente all’imprenditore, quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa; al lavoratore compete soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale. Da ciò discende che non può, comunque, ritenersi consentito al lavoratore autoassegnarsi le ferie in assenza di una preventiva autorizzazione da parte del datore o qualora abbia ricevuto un espresso diniego dallo stesso.” Le conseguenze nel caso di mutamento unilaterale di un periodo di ferie concordato sono riassumibili dalla Cassazione con la sentenza n. 1557 del 2000, la quale afferma che, salvo diversa disposizione della contrattazione collettiva, “Il potere attribuito all’imprenditore di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti implica anche quello di modificarlo pur in difetto di fatti sopravvenuti, in base soltanto a una riconsiderazione delle esigenze aziendali, senza che in senso contrario rilevi la prescrizione relativa alla comunicazione preventiva ai lavoratori del periodo stabilito”. In relazione alle 2 settimane di ferie che per legge devono essere godute durante il periodo di maturazione, perché il datore di lavoro sia considerato sanzionabile è sufficiente che il lavoratore, allo scadere di tale termine, non abbia fruito anche solo di una parte del periodo. Ciò anche nelle ipotesi in cui il godimento del congedo annuale sia in corso, in quanto il periodo deve essere fruito durante l’anno di maturazione. Quando non è possibile rispettare il periodo minimo di 2 settimane di ferie (o il diverso periodo previsto dalla contrattazione collettiva) nell’anno di maturazione per cause imputabili esclusivamente al lavoratore (ad esempio assenze prolungate per maternità, malattia, infortunio o servizio civile), il datore di lavoro non può essere ritenuto responsabile. Inoltre, secondo la Corte di Cassazione (Cass., sez. lav. 14 giugno 2018, n. 15652), l’indennità sostitutiva delle ferie non godute non sussiste se il datore di lavoro dimostra di avere offerto al lavoratore un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui lo stesso non abbia usufruito, venendo così ad incorrere nella c.d. “mora del creditore”. Dalle massime della Cassazione si potrebbe dedurre che non sia necessario alcun accordo tra lavoratore e datore di lavoro per l’ampliamento della finestra temporale di godimento delle ferie. Tra l’altro per le figure professionali apicali la gestione delle ferie è nelle loro mani non essendo obbligati al rispetto di alcun orario di lavoro né di presenza in azienda disponendo del tempo di lavoro a loro insindacabile giudizio senza doverne rendere conto.

ii. L’innalzamento nel mese di giugno dell’imponibile contributivo del valore delle ferie residue rischia di generare una doppia penalizzazione in capo al dipendente perché pagherebbe la contribuzione su una retribuzione virtuale che intacca la retribuzione netta con forte probabilità perdita di beneficio dell’esonero contributivo del 6% o 7% (c.d. taglio del cuneo) nel caso rientrasse, con la sola retribuzione mensile, nei limiti previsti per l’ottenimento.

iii.Operativamente è una gestione molto complessa perché riguarda periodi di paga spesso molto distanti tra loro. In pratica l’Inps prevede che nel momento del godimento delle ferie (sulle quali si è già corrisposta la contribuzione) bisogna versare la normale contribuzione e recuperare quella pagata in precedenza attivando, per intervalli di tempo superiori a 12 mesi, la procedura “VIG” che, oltre a essere lenta, in molti casi comporta la non riconciliazione da parte dell’istituto della contribuzione dovuta con quella versata, soprattutto in tutte quelle occasioni in cui nello stesso periodo si è proceduto ad altre regolarizzazioni, vedi per esempio le ipotesi legate ai c.d. “massimalisti” e cioè coloro i quali abbiamo superato in corso d’anno il massimale contributivo. Questa non efficace gestione fa apparire inadempiente il datore di lavoro con negativi risvolti sul rilascio del DURC.

iv. Ma cosa succede se la contribuzione versata sulle ferie non godute venisse recuperata oltre il termine prescrizionale? Certamente verrebbe opposto un rifiuto al recupero. Tra l’altro in questa materia c’è contrasto interpretativo: 5 anni per l’Inps e una parte della magistratura e 10 anni per altra parte della magistratura. Sarebbe davvero una beffa essere ottemperanti ad un adempimento, ripetiamo non di fonte legale, e vedersi non riconosciuto il diritto al recupero.

v. Come anticipato in apertura di questo intervento, capiterà sicuramente che sulle ferie oggetto di anticipazione contributiva ci sarà una doppia contribuzione perché non vi è una procedura Inps che evidenzi il credito aziendale e nei casi di cambio di gestione da un consulente ad un altro e qualora l’azienda o lo stesso intermediario non comunichino correttamente tale dato al subentrante, il rischio di versare due volte la contribuzione sullo stesso periodo è alto. Con la conseguenza di creare un indebito contributivo generando un conseguente indebito accrescimento dei montanti pensionistici.

vi. Non vi è più neanche il timore (o tuttalpiù risulta decisamente affievolito) di “gonfiare” la media delle retribuzioni dell’ultimo quinquennio o decennio per il calcolo delle pensioni c.d. “miste” essendo ormai trascorsi 28 anni dall’introduzione del sistema contributivo. In definitiva è una gestione farraginosa e di difficile controllo.

SOLUZIONE PROPOSTA

 Al fine di semplificare gli adempimenti ed evitare distorsioni al sistema previdenziale e contributivo, se proprio non si vuole eliminare l’assoggettamento delle ferie non godute, si suggerisce una totale revisione del sistema di versamento e recupero della contribuzione. Ad esempio si potrebbe prevedere che le aziende (e per loro i consulenti del lavoro) ricalcolino il residuo delle ferie non godute a 18 mesi della scadenza recuperando per intero il credito residuo. In questo modo ogni anno si azzerano e si aggiornano i contatori evitando così l’utilizzo della procedura VIG. Oppure, prevedere l’istituzione di un codice Uniemens di conguaglio da poter utilizzare sempre anche in presenza di recupero di contribuzione versato oltre 12 mesi dal periodo in cui l’elemento si riferisce.

1. Art. 3, comma 2, D.lgs. n. 66/2003: “…I contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno.”

2. Giurisprudenza Con ordinanza n. 26160 del 17 novembre 2020, la Corte di Cassazione ha affermato che costituisce base contributiva imponibile l’importo corrispondente alle ferie non godute dal lavoratore una volta decorso il termine previsto dall’art. 10 del D.lgs. n. 66/2003 (18 mesi dalla maturazione del diritto alla fruizione) a prescindere dal momento in cui la indennità sostitutiva viene monetizzata (o di specie alla cessazione del rapporto di lavoro). Il giudice di legittimità ha rinviato la decisione alla Corte d’appello dopo aver affermato che il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi all’Istituto, in ragione del vantaggio economico che lo stesso ha ottenuto dall’attività prestata dal dipendente mentre avrebbe dovuto riposare. … L’obbligazione contributiva, infatti, è inderogabile e l’inderogabilità trae origine dal fatto che essa nasce direttamente dalla legge ed è integralmente sottratta all’autonomia privata. In sostanza l’inderogabilità esprime l’indisponibilità dei soggetti coinvolti nel rapporto previdenziale rispetto alla fattispecie legale, così che gli stessi non possono sottrarsi, nemmeno in via convenzionale, se non facendo venir meno i presupposti che determinano il nascere dell’obbligo o del diritto alla contribuzione.

Cassazione civile sez. Lav., 21/04/2020, n.7976 Irrinunziabilità del diritto alle ferie annuali retribuite. Il diritto del prestatore di lavoro al pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute sussiste ogni qualvolta la mancata fruizione delle stesse sia riconducibile alla impossibilità per il datore di lavoro – anche se non dipesa da sua colpa – di adempiere all’obbligazione di consentirne la relativa fruizione. L’indennità sostitutiva delle ferie non godute ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione, a norma degli artt. 1463 c.c. e 2037 c.c., del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica. La sola ipotesi di esclusione del diritto del lavoratore alla fruizione dell’indennità sostitutiva per le ferie non godute si ha quando il datore fornisca in giudizio la prova di aver offerto un adeguato lasso di tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito, incorrendo così nella mora credendi. (Nel caso di specie, essendo il rapporto di lavoro cessato per morte del lavoratore e, dunque, non essendo più possibile beneficiare delle ferie maturate in corso di rapporto, queste non possono essere che monetizzate in favore degli eredi, non potendo rinvenirsi, nel caso concreto, alcuna offerta del datore di godere del periodo di ferie alla quale il lavoratore abbia opposto rifiuto). Cassazione civile sez. Lav., 29/05/2018, n.13473 Indennità sostitutiva di ferie non godute: soggetta a contribuzione previdenziale L’indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma dell’art. 12 della L. n. 153 del 1969, sia perché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 c.c. a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sia perché un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio – oggi pur escluso dal sopravvenuto art. 10 del D.lgs. n. 66 del 2003, come modificato dal D.lgs.n. 213, del 2004, in attuazione della direttiva n. 93/104/CE – non escluderebbe la riconducibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo essa comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione.


Scarica l'articolo