CONTRIBUTI INPS: recuperi, ma senza sanzioni civili (*)
Mauro Parisi , Avvocato in Belluno e Milano
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Sanzioni civili e interessi, in caso di omissioni e ritardi di versamenti di contributi, non sono dovuti se l’incertezza che ne è causa dipende dall’Inps. Così per la sentenza n. 474/2025 della Corte d’Appello di Bologna e per il nostro ordinamento**
In caso di omesso, o comunque non regolare, versamento di contributi e premi, è a tutti noto che siano dovute “automaticamente” le previste sanzioni civili e interessi, quale risarcimento del danno patito dagli Istituti creditori. La misura del risarcimento (perché appunto di questo si tratta, con le previste “maggiorazioni”) è a tutti noto che non possa divenire oggetto di confronto con l’amministrazione, venendone stabilita la misura in modo esatto (art. 116, commi 8 e 9, Legge n. 388/2000), a seconda della gravità dell’irregolarità creata dal contribuente e del tempo trascorso dall’inizio di essa. L’importo delle dovute obbligazioni legali, perciò, si configura come segue:
a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti. La sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;
b) in caso di evasione connessa a registrazioni, denunce o dichiarazioni obbligatorie omesse o non conformi al vero, poste in essere con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi mediante l’occultamento di rapporti di lavoro in essere, retribuzioni erogate o redditi prodotti, ovvero di fatti o notizie rilevanti per la determinazione dell’obbligo contributivo, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento, fermo restando che la sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;
c) dopo il raggiungimento del tetto massimo delle sanzioni civili nelle misure previste alle lettere a) e b) senza che si sia provveduto all’integrale pagamento del dovuto, sul debito contributivo maturano interessi nella misura degli interessi di mora
Del resto, la giurisprudenza è del tutto pacifica (cfr., di recente, Cassazione, Ordinanza n. 17714/2025, per cui “l’obbligo di versare le somme aggiuntive, nell’ipotesi di omesso o ritardato pagamento dei contributi assicurativi, costituisce una conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, che rafforza l’obbligazione contributiva, predeterminando, con presunzione iuris et de iure, il danno arrecato all’ente previdenziale”) nel ritenere che a fronte degli omessi versamenti -e a prescindere dal genere di partecipazione personale all’“occultamento” da parte dei “soggetti” che devono provvedere “al pagamento dei contributi o premi dovuti alle previdenziali ed assistenziali”-, oltre ai contributi omessi, debbano essere corrisposti anche gli ulteriori importi, a titolo di cosiddette “sanzioni civili” -fino al “tetto” massimo (40% o 60%)-, nonché gli ulteriori interessi di mora -una volta toccato il detto limite-. Per cui, per la Suprema Corte, non è consentita alcuna indagine in ordine ai motivi, all’imputabilità e alla rilevanza di “colpe” dei contribuenti in riferimento all’omissione obiettivamente postasi in essere. Tuttavia, se poco importa cosa abbia determinato il debitore all’irregolarità (a parte subiecti), al contrario rileva e incide l’eventuale condotta decettiva dell’Istituto creditore (a parte obiecti). Al punto che non sono dovute le sanzioni civili, se a omissioni e ritardi nei versamenti abbiano concorso, in tutto o in parte, anche gli Istituti, secondo i principi inderogabili dell’art. 1227, c.c.. In tale senso si è venuta a esprimere con chiarezza, anche la Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza del 17.10.2025, n. 474.
IL CASO
A seguito di un accertamento ispettivo, il dipendente di una Società -in precedenza già amministratore della medesima e in seguito solo suo consigliere, ma senza specifici poteri-, veniva disconosciuto dai funzionari i quali ritenevano che il rapporto di lavoro subordinato fosse stato solamente simulato, dovendosi considerare come egli avesse mantenuto anche in seguito la posizione di amministratore di fatto della Società. Per cui, a fronte dei compensi conseguiti, l’Inps richiedeva il versamento di contribuzione alla sua gestione commercianti. La Società, pure non condividendo gli assunti dell’Istituto, provvedeva alla regolarizzazione della posizione e dei versamenti contributivi del ritenuto amministratore, come ordinato dall’Istituto. Al contempo si intraprendevano azioni di accertamento di fronte al Giudice del lavoro, affinché fosse confermata l’effettività e genuinità del rapporto di lavoro subordinato. All’esito dei giudizi, veniva riconosciuta l’infondatezza degli assunti ispettivi. Le decisioni, che confermavano la dipendenza alla Società dell’ex amministratore, passavano in giudicato. A questo punto, però, l’Inps riteneva che i conti relativi alla contribuzione dovuta al Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti, non tornassero, tenuto conto dei versamenti già operati e di quelli che si sarebbe dovuto corrispondere. Per cui intimava il versamento di importi a titolo di contributi ritenuti omessi e delle sanzioni civili maturate rispetto ai ritardi di corresponsione. La Società contrapponeva che, negli anni, si era già versata contribuzione presso la diversa gestione indicata (dando ottemperanza all’accertamento dell’Inps, poi ritenuto infondato), spontaneamente provvedendo alla compensazione di quanto ancora dovuto al Fondo dei lavoratori dipendenti. Ma soprattutto affermava come non potessero comunque essere pretese sanzioni civili di sorta, anche nell’ipotesi che fossero riconosciute, come ancora dovute, differenze di contribuzione. La tesi del contribuente, in sostanza, propugnava che, nel caso, le maggiorazioni per eventuali ritardi non fossero ammissibili, in quanto eventuali differenze di contribuzione dipendevano semmai dall’ordine ingiusto dell’Istituto, come già riconosciuto dal Tribunale.
I GIUDICI
Le prospettazioni della Società contribuente in riferimento alle sanzioni civili, trovavano accoglimento in primo grado, di fronte al Giudice del Lavoro del Tribunale di Reggio Emilia, con la sentenza n. 287/2023 del 26.07.2023 (“Considerato, peraltro, che il mancato pagamento nei termini della contribuzione relativa al lavoro dipendente è derivato dal verbale ispettivo che ha disconosciuto detto rapporto di lavoro subordinato con conseguenti protratte incertezze determinate dallo stesso Inps, le sanzioni di cui agli inviti a regolarizzare non sono dovuti”). L’Inps, non condividendo gli assunti per cui nessuna maggiorazione sarebbe stata dovuta, malgrado la contribuzione ancora pretesa, proponeva impugnazione della sentenza di fronte alla Corte d’Appello di Bologna, forte del noto e generalmente condiviso principio della sussistenza di “automatismo” delle maggiorazioni -sanzioni civili e interessi ex lege n. 388/2000-, quale predefinito risarcimento del danno, volto a rafforzare l’obbligazione contributiva a risarcire. Sebbene l’orientamento giurisprudenziale sia consolidato e coeso in riferimento al predetto principio, nel caso di specie l’Istituto non tiene conto di come la fattispecie obiettivamente disciplinata dal comma 8 dell’art. 116, L. n. 388/2000, concerna le situazioni di carenza, la cui causa di omissione promani interamente dalla sola parte del debitore contribuente (per dolo, colpa o addirittura con motivi giustificabili, non importa: la sanzione civile discende “obiettivamente”). Al contrario, invece, non trova deroga neppure per “le gestioni previdenziali ed assistenziali”, il principio generale (ancor “più generale” di quello della disposizione della Legge n. 388/2000, si potrebbe dire) in materia di obbligazioni, come stabilito dall’art. 1227, c.c., per cui
Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate.
Vale a dire che, ove l’Inps, quale creditore (con ragionamento che ovviamente varrebbe pure per l’Inail, come per ogni ulteriore istituto previdenziale), partecipi anche solo in parte -e non in toto, come nella fattispecie qui considerata- a determinare il fatto dannoso e lo stato di incertezza giuridica da cui consegue il ritardo nei versamenti contributivi, per detto “concorso del fatto colposo del creditore”, il risarcimento del danno (sanzioni civili e interessi, nella fattispecie) andrà ridotto o addirittura ritenuto insussistente. Tale conclusione costituisce l’esito necessario del predetto pacifico principio del nostro ordinamento (cfr. Cassazione, sentenza, n. 7965 del 20.03.2023) che impone al Giudice una verifica d’ufficio dell’eventuale ed effettivo concorso del creditore. Il danno e il suo risarcimento, in definitiva, non possono che trovare regolazione alla stregua della chiara disposizione dell’art. 1227 c.c., che vieta di pretermettere la valutazione dell’eventuale concorso di colpa del creditore nella causazione danno stesso. Un’ipotesi che si verifica in uno spettro di situazioni ben più ampio di quanto si immagini. In definitiva, come sottolinea la sentenza n. 474/2025 della Corte d’Appello di Bologna, è corretto che nella vicenda giudicata -come in ogni altra su cui incida la condotta degli Istituti previdenziali-, non vengano corrisposte maggiorazioni e interesse. In questo e in consimili casi, l’Inps imputet sibi il ritardo ingeneratosi nei versamenti contributivi.
Quanto alle sanzioni civili, deve prendersi in esame la specificità del caso in trattazione, in cui il ritardato versamento della contribuzione nella gestione corretta è dipeso esclusivamente dalla condotta dello stesso ente previdenziale, che ha impropriamente disconosciuto la natura subordinata del rapporto e costretto la società a diversamente iscriverlo. Solo se la causalità dell’omesso gettito contributivo sia riferibile -per quanto non dolosamente- al contribuente, si legittima l’accessorio del gettito contributivo. Non vi è certo necessità di rafforzare l’obbligazione contributiva laddove essa abbia seguito le indicazioni dello stesso ente creditore. Quanto al danno, poi, lo stesso non potrebbe che essere regolato secondo i principi dell’art. 1227 cod. civ., che impone la valutazione d’ufficio del concorso di colpa del creditore nella sua causazione (cfr. Cassazione civile sez. II, 20.03.2023, n. 7965).
*Articolo anche su www.vetl.it.
** L’Avv. Parisi è componente dell’Ufficio Legale ANCL.