Considerazioni sulla legittimità della proroga anticipata dei contratti a termine effettuata entro il 31 ottobre 2018

a cura di Alberto Borella, Consulente del lavoro in Chiavenna

La problematica

Una delle questioni che negli scorsi mesi più ha preoccupato aziende e Consulenti del lavoro ha riguardato l’obbligo, in vigore dal 1° novembre 2018, dell’indicazione di una delle causali giustificatrici l’apposizione del termine nel caso di proroga di contratti a tempo determinato al raggiungimento della durata massima di 12 mesi.

E proprio al fine di sottrarsi alle nuove e più stringenti regole in molti hanno sfruttato il periodo transitorio – durante il quale, lo ricordiamo, la precedente disciplina non prevedeva il richiamo alle causali e permetteva la durata complessiva del contratto a termine fino a 36 mesi – concordando con il lavoratore la proroga del rapporto di lavoro con largo anticipo rispetto alla data di scadenza del termine inizialmente pattuito.

Sulla legittimità di tale pattuizione è stato sollevato da alcuni commentatori qualche dubbio ipotizzando che una siffatta operazione potesse essere giudicata illegittima in relazione ad un utilizzo improprio del periodo transitorio. Onde evitare possibili contestazioni veniva consigliato il ricorso alla proroga anticipata solo nel caso in cui il datore di lavoro potesse dimostrare l’esistenza di circostanze che giustificassero l’anticipo dell’accordo con il lavoratore. Qualcuno addirittura, spingendosi oltre, sino a richiedere “il sopraggiungere di circostanze inattese”.

 

La vecchia normativa in materia di proroghe

Vediamo innanzitutto di ricapitolare il quadro giuridico entro cui gli operatori hanno disposto l’anticipo della proroga dei contratti a termine per beneficiare del, più favorevole, vecchio regime.

Va subito chiarito che ante Decreto Dignità la norma concedeva al datore di lavoro la più ampia autonomia in materia di gestione del contratto a termine. Fatto salvo il limite di 5 proroghe e dei 36 mesi egli risultava totalmente libero di stabilire la durata sia del contratto iniziale che delle eventuali proroghe, non avendo alcun obbligo di esplicitare i motivi del ricorso al contratto a termine. E poteva, allo stesso modo, lasciar scadere il rapporto e ripartire, nel rispetto dello stop & go, con un nuovo contratto. Che ci fosse o meno un motivo legittimo non interessava a nessuno: l’individuazione temporale del termine finale era insindacabile.

Se quindi un datore di lavoro aveva un’esigenza sostitutiva per 5 mesi e assumeva un lavoratore per soli 3 mesi o addirittura per 10 mesi, nessuno poteva obiettare alcunché. L’unico paletto era il rispetto della durata complessiva degli allora 36 mesi.

Poteva ovviamente anticipare la trasformazione a tempo indeterminato rispetto alla scadenza originaria ma soprattutto, vigente la precedente disciplina, aveva la facoltà – e qui è quanto più interessa nella presente disamina – di concordare con il lavoratore, e sottolineiamo in qualsiasi momento nel corso del contratto, la proroga della scadenza senza dover giustificare la sussistenza o la fondatezza dei motivi sottostanti. Motivi in ogni caso da considerarsi civilisticamente irrilevanti, costituendo quegli interessi personali e particolari che la parte tende a realizzare con la conclusione di un contratto (che quindi non rientrano nel contenuto di questo) e per i quali non era ovviamente richiesta la coincidenza con il novero delle causali previste dal Decreto Dignità (perché non ancora in vigore), potendo quindi soddisfare qualsiasi esigenza aziendale, sopraggiunta ma anche, si ritiene, preesistente.

 

La nuova normativa in materia di proroghe

L’articolo 21 del D.lgs n. 81/2015, riscritto dal Decreto Dignità, dispone che “Il contratto può essere prorogato liberamente nei primi dodici mesi” (seppur nel limite di quattro proroghe), richiedendo, solo nel caso di superamento di tale durata, il rispetto delle condizioni di cui all’articolo 19 ovvero l’esplicitazione dei motivi di ricorso al contratto a termine.

La nuova normativa quindi, pur introducendo dopo i primi dodici mesi l’obbligo delle causali, lascia inalterata la precedente situazione giuridica per il primo anno. Il potere di modificare, anticipare o posticipare il termine del contratto a tempo determinato inizialmente concordato tra le parti non viene infatti toccato dal Decreto Dignità.

 

La norma transitoria e i primi dubbi

Il D.l. 12 luglio 2018 n. 87 ha opportunamente individuato un periodo transitorio durante il quale

 

Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai rinnovi e alle proroghe contrattuali successivi al 31 ottobre 2018”.

 

In questo quadro la stampa specializzata si è posta la domanda se la posticipazione, concordata prima del 1° novembre 2018, del termine di scadenza del rapporto potesse essere sindacata dal punto di vista della liceità della causa in quanto finalizzata a beneficiare di un trattamento più favorevole rispetto ad una proroga stipulata dopo la scadenza del periodo transitorio. Si è parlato di negozio in frode alla legge ed anche di utilizzo di schema legale lecito per il conseguimento di un interesse illecito.

 

La contestazione e la possibile difesa

In attesa di capire come la giurisprudenza valuterà eventuali contenziosi sul punto, si vuole qui condividere alcune riflessioni che, senza alcuna pretesa di suggerire strategie difensive processuali, si ritiene possano avvallare la tesi che ritiene corretto l’operato di coloro che, più o meno consapevoli dei possibili rischi, hanno proceduto alla stipula di proroghe durante il periodo transitorio.

  1. La ratio della norma

La prima osservazione che può essere fatta è che un periodo transitorio, in cui non valgono le future regole, è di norma previsto proprio per permettere ai soggetti, teoricamente interessati dalle modifiche normative, di organizzarsi al meglio, operando liberamente fino ad una certa data con le vecchie regole. E nel caso di specie, rammentiamolo, le vecchie regole non impedivano un accordo anticipato di proroga del contratto.

Se la norma avesse voluto vietare un determinato comportamento nel periodo transitorio avrebbe dovuto semplicemente non prevedere un periodo transitorio. Se una condotta è considerata contraria ai principi giuridici non ha alcun senso dire che le regole valgono da una certa data in avanti per poi sanzionare quei comportamenti, posti in essere prima di tale modifica normativa, sulla base di una presunta frode alla legge riferita ad una norma di cui scientemente si è posticipata l’entrata in vigore.

Sarebbe stato più coerente da parte del Legislatore anticipare gli effetti della nuova disciplina o quantomeno imporre delle condizioni specifiche o più restrittive. Ad esempio condizionando la proroga anticipata alla sussistenza di ragioni oggettive, senza necessariamente richiamare le causali di cui al riscritto articolo 19 del D.lgs n. 81/2015.

Se niente di tutto ciò risulta o emerge dal dettato normativo, c’è da chiedersi se vale ancora il brocardo latino Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

 

  1. Il contratto in frode alla legge

Altre considerazioni nascono dall’esame di una delle tante definizioni del contratto in frode alla legge che troviamo nella giurisprudenza di legittimità.

 

È noto che nel contratto in frode alla legge di cui all’art. 1344 c.c., gli stipulanti raggiungono attraverso gli accordi contrattuali il medesimo risultato vietato dalla legge, con la conseguenza che, nonostante il mezzo impiegato sia in thesi lecito, è illecito il risultato che attraverso l’abuso del mezzo e la distorsione della sua funzione ordinaria si vuole in concreto realizzare. Dunque, presupposto indefettibile perché si possa parlare di contratto in frode alla legge è che il negozio posto in essere non realizzi quella che è una causa tipica – o comunque meritevole di tutela ex art. 1322, secondo comma, c.c. -, bensì una causa illecita in quanto appunto finalizzata alla violazione della legge. (Cass. 6 aprile 2018, n. 8499).

 

Da questa e da altre sentenze pare emergere un dato comune: il configurarsi di un negozio in frode alla legge necessita che l’aggiramento operato delle parti del divieto imposto dalla legge – per forza vigente quando questo si realizza – venga ottenuto ricorrendo ad un diverso negozio giuridico (o più negozi combinati tra loro) che consente ugualmente di raggiungere l’effetto giuridico vietato.

 

  1. La legittimità della proroga anticipata

Da quanto sopra possiamo ricavare alcune considerazioni circa il ricorso ad una proroga anticipata del contratto a termine la cui scadenza è prevista anche a distanza di molto tempo dopo:

  1. a) il comportamento adottato è coerente e rispettoso della normativa vigente. Viene infatti disposta una proroga utilizzando la vigente disciplina giuridica della proroga del contratto a tempo determinato. Non vi è alcun ricorso a schemi contrattuali diversi dato che quello utilizzato è esattamente lo schema tipico previsto per ottenere gli effetti desiderati. Si dichiara di voler predisporre una proroga perché si vuole prorogare il contratto a termine. Né più né meno, senza sotterfugi.
  2. b) la norma imperativa di cui si denuncia la violazione fraudolenta non è norma vigente. Non può essere violata una norma che non esiste nell’ordinamento giuridico attuale ma solo in quello futuro. Per contestare la fattispecie del negozio in frode alla legge si dovrebbe infatti fare riferimento a delle limitazioni previste però da una norma giuridica che entrerà successivamente in vigore per esplicita volontà del Legislatore, che ha, per l’appunto, previsto una disciplina transitoria.

 

Considerazioni finali

L’osservazione conclusiva riguarda anche il risultato illegittimo che la fattispecie del contratto in frode alla legge richiede debba essere ottenuto. Un beneficio, spesso economico, che per essere tale dovrebbe avere quantomeno un danneggiato.

Non sembra possa essere lo Stato che sul contratto a termine incassa contributi più alti e per un periodo lavorativo più lungo grazie all’accordo delle parti di posticiparne, da subito, la scadenza.

E non si ravvisa alcun danno anche per il lavoratore che ottiene ante tempus la formalizzazione della sua permanenza al lavoro, seppur a termine (del resto nessuno può garantire che l’alternativa sarebbe stata un contratto a tempo indeterminato e non la disoccupazione), per un periodo che può arrivare sino a 24 mesi. Si pensi infatti al datore di lavoro che, durante il periodo transitorio, abbia proposto la proroga di un contratto a termine prossimo ai 12 mesi, fissandone la nuova scadenza al raggiungimento dei 36 mesi complessivi.

Si consideri peraltro che un contratto a tempo determinato rappresenta un sicuro introito economico per il lavoratore, dato che un eventuale recesso datoriale prima della scadenza comporta, salva la sussistenza della cosiddetta giusta causa, il risarcimento del danno pari all’ammontare delle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito ove il contratto si fosse concluso alla scadenza prefissata.

Non pare quindi ravvisabile alcun sfruttamento del lavoratore, casomai l’accettazione da parte di costui di una proposta datoriale considerando la saggezza popolare del meglio