Cass., sez. Lavoro, 2 marzo 2023, n. 27353
Come noto, in seguito alla sanzione espulsiva del licenziamento disciplinare, il comma 4 dell’art. 18, Legge n. 300 del 1970 prevede la reintegra nel posto di lavoro qualora il fatto contestato non risulti sussistente ovvero qualora il fatto sia riconducibile tra le condotte punibili con una sanzione conservativa. Al successivo comma 5 si aggiunge che, nelle altre ipotesi in cui venga accertato che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento, il giudice dichiara in ogni caso risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria. Le valutazioni sulla riconducibilità del caso concreto all’una o all’altra ipotesi sono demandate ai giudici di merito, che nella ricostruzione dei fatti di causa possono raccogliere tutte le informazioni utili alla soluzione della vicenda, procedere all’audizione di eventuali testimoni, o ancora basarsi su precedenti recidive commesse dal lavoratore. L’analisi non è di poco conto e può portare a conseguenze molto differenti tra un caso ed un altro. Nel caso oggetto di analisi, pur confermando la sanzione espulsiva del licenziamento disciplinare per furto di beni aziendali, i giudici di primo grado avevano tuttavia ordinato il pagamento di un’indennità risarcitoria di quindici mensilità a cura del datore di lavoro. Entrambe le parti ricorrevano prima in Appello e poi in Cassazione, l’una per vedersi applicata la tutela reale ritenendo il fatto riconducibile ad una sanzione conservativa data l’esiguità del bene sottratto all’azienda e l’altra ritenendo del tutto sproporzionato l’ammontare dell’indennità risarcitoria stabilita dai giudici di prime cure. La Cassazione respinge entrambi i motivi di ricorso ricordando che la valutazione di proporzionalità tra la sanzione applicata ed il fatto contestato può intervenire solo nelle ipotesi in cui la condotta oggetto di contestazione sia sussumibile in una delle fattispecie per cui i contratti collettivi o i codici disciplinari prevedano l’irrogazione di una sanzione conservativa, in tutte le altre ipotesi in caso di sproporzione tra sanzione e condotta si rientra necessariamente nel comma 5 dell’articolo 18 della citata legge per cui è prevista una tutela indennitaria c.d. forte. Nel caso specifico, sia in primo che in secondo grado, veniva confermata la sanzione del licenziamento, ma nella ricostruzione dei fatti i giudici avevano constatato, senza per questo disconoscere la sussistenza di un fatto illecito, che l’appropriazione illecita riguardava merce di esiguo valore. A nulla era valso, come era corretto che fosse, il fatto che la società denunciasse che non si trattava del primo episodio di furto ad opera dello stesso lavoratore, in quanto non era riuscita a provare, con ragionevole certezza e dovizia di particolari, la condotta recidiva. Neppure il ricorso all’audizione di alcuni testimoni aveva offerto ai giudici prove più circostanziate circa presunti comportamenti illeciti tenuti nel passato dal medesimo lavoratore. Tutto ciò premesso in Cassazione venivano respinti entrambi i ricorsi con versamento a carico di entrambe le parti del contributo unificato.