CERTIFICAZIONE INEFFICACE CONTRO L’AGENZIA DELLE ENTRATE*

Mauro Parisi, Avvocato in Belluno e Milano

Mentre il Decreto legislativo n. 276/2003, quale effetto della certificazione di contratti di lavoro e appalti, sembra garantire protezioni anche in ambito fiscale, la S.C., con sentenza n. 20421/2024, pare contraddire l’assunto, liberando le Commissioni Tributarie -e prima ancora le sedi dell’Agenzia delle Entrate- alle proprie valutazioni di competenza.

L’istituto della certificazione dei contratti in cui è dedotta una prestazione di lavoro, costituisce ancora oggi il maggiore presidio di garanzia per quanti non intendono rinunciare a determinate soluzioni negoziali, ma desiderino mettersi al riparo dagli inopinati e imprevedibili interventi della pubblica amministrazione e dei suoi funzionari. Prevista dall’art. 75 e seguenti del Decreto legislativo n. 276/2003, la certificazione di contratti di lavoro e appalto risulta espressamente rivolta “al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro”. Come noto la procedura costituisce una libera scelta delle parti del contratto e viene eseguita presso una delle sedi di certificazione previste dall’ordinamento (art. 76, D.lgs. n. 276/2003). Con riferimento a modi e scopi dell’azione certificatoria perseguita dai contraenti, risulta centrale e di particolare interesse quanto stabilito dall’articolo 78, cit.. Infatti, tale disposizione chiarisce che

1La procedura di certificazione è volontaria e consegue obbligatoriamente a una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro.

2.Le procedure di certificazione sono determinate all’atto di costituzione delle commissioni di certificazione e si svolgono nel rispetto dei codici di buone pratiche di cui al comma 4, nonché dei seguenti principi: a) l’inizio del procedimento deve essere comunicato alla Direzione provinciale del lavoro che provvede a inoltrare la comunicazione alle autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti. Le autorità pubbliche possono presentare osservazioni alle commissioni di certificazione; b) il procedimento di certificazione deve concludersi entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della istanza; c) l’atto di certificazione deve essere motivato e contenere il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere; d) l’atto di certificazione deve contenere esplicita menzione degli effetti, civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione.

3. I contratti di lavoro certificati, e la relativa pratica di documentazione, devono essere conservati presso le sedi di certificazione, per un periodo di almeno cinque anni a far data dalla loro scadenza. Copia del contratto certificato può essere richiesta dal servizio competente di cui all’articolo 4-bis, comma 5, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, oppure dalle altre autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti

Emerge con evidenza come le parti che intendano pervenire alla validazione dei loro accordi, lo possono fare avendo in mente -taluni di essi o tutti assieme- scopi ed “effetti, civili, amministrativi, previdenziali o fiscali”. In concreto, ciò vale a dire che l’intenzione perseguita è quella di paralizzare tutti gli esiti sfavorevoli dei provvedimenti delle amministrazioni “civili, amministrativ[e], previdenziali o fiscali”, competenti a eseguire valutazioni sui rapporti di lavoro posti in essere. La perfezionata certificazione dei contratti, con la sua azione ricognitiva di previsioni negoziali in conformità alla legge, possiede, in sostanza, un’efficacia preclusiva, impedendo che le amministrazioni predette possano assumere proprie determinazioni prima di avere superato l’effetto certificatorio. Un superamento non immediato e neppure semplice, atteso che occorre conquistarlo di fronte al Giudice del lavoro o al Tribunale Amministrativo Regionale. Sugli effetti protettivi della certificazione si esprime l’art. 79, D.lgs. n. 276/2003, per cui

Gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell’articolo 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari.

Va osservato come, in riferimento alla materia degli appalti (“Le procedure di certificazione di cui al capo primo possono essere utilizzate, sia in sede di stipulazione di appalto di cui all’articolo 1655 del codice civile sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale, anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto”), la circostanza che con il Decreto legge n. 19/2024 -con modifica dell’art. 18, D.lgs. n. 276/2003- si siano previste reazioni di carattere penale agli eventuali illeciti, se attualmente non può far ritenere che la certificazione permetta di costituire una protezione invalicabile presso il Giudice penale, deve essere comunque considerata la pregiudiziale efficacia scriminante e probatoria dell’attività preliminarmente compiuta dalla commissione di certificazione. Quanto all’intervento dei giudici, l’art. 80 cit. espone come le parti interessate (comprese le amministrazioni “nella cui sfera giuridica l’atto stesso è destinato a produrre effetti”) possono agire avanti al Giudice del lavoro (dopo avere esperito un obbligatorio tentativo di conciliazione), in caso di erronea qualificazione dell’accordo o di difforme applicazione di quanto in esso previsto; dinnanzi al TAR, nelle ipotesi in cui risulti che il provvedimento di certificazione sia affetto da violazione del procedimento o eccesso di potere.

1. Nei confronti dell’atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l’atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso, presso l’autorità giudiziaria di cui all’articolo 413 del codice di procedura civile, per erronea qualificazione del contratto oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Sempre presso la medesima autorità giudiziaria, le parti del contratto certificato potranno impugnare l’atto di certificazione anche per vizi del consenso.

2. L’accertamento giurisdizionale dell’erroneità della qualificazione ha effetto fin dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale. L’accertamento giurisdizionale della difformità tra il programma negoziale e quello effettivamente realizzato ha effetto a partire dal momento in cui la sentenza accerta che ha avuto inizio la difformità stessa.

3. Il comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia davanti alla commissione di certificazione potrà essere valutato dal giudice del lavoro, ai sensi degli articoli 9, 92 e 96 del codice di procedura civile.

4. Chiunque presenti ricorso giurisdizionale contro la certificazione ai sensi dei precedenti commi 1 e 3, deve previamente rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione che ha adottato l’atto di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell’articolo 410 del codice di procedura civile.

5. Dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, può essere presentato ricorso contro l’atto certificatorio per violazione del procedimento o per eccesso di potere.

Alla luce delle positive previsioni in materia, per cui si è sempre ritenuta stabilita l’efficacia della certificazione anche nei riguardi delle Agenzie delle Entrate, assume particolare rilievo e interesse l’intervento operato dalla Cassazione, con la sentenza n. 20421 del 23.7.2024. Per la pronuncia sarebbe sostanziale l’inefficacia della validazione dei contratti di lavoro in ambito fiscale. A parere della S.C., in effetti, le Commissioni Tributarie (rectius, ora, Corti di Giustizia Tributaria di primo e di secondo grado) possono pronunciarsi in ordine all’obbligazione tributaria, pure conoscendo e decidendo su questioni preliminari di lavoro già oggetto di certificazione, senza che quest’ultima dispieghi alcuna efficacia preclusiva.

“L’esercizio del potere-dovere del giudice tributario di qualificare l’operazione economica sottostante il contratto, anche sulla base dell’esecuzione dello stesso, e di pronunciarsi sull’obbligazione tributaria instauratasi al verificatesi di un atto o fatto rilevatore di capacità contributiva ex art.53 Cost., non è precluso dalla certificazione del contratto di cui agli artt.75 e ss. del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e dalla mancata impugnazione di tale certificazione davanti al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro”.

In sostanza, malgrado l’espressa previsione dell’art. 78, D.lgs. n. 276/2003, per cui la certificazione può dispiegare i propri effetti anche in ambito fiscale (“l’atto di certificazione deve contenere esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione”), la Cassazione ritiene che il legislatore non abbia inteso introdurre una deroga ai poteri del giudice tributario di qualificazione del rapporto controverso inerente l’obbligazione tributaria. A parere della sentenza n. 20421/2024, tanto si desumerebbe, sia dall’ interpretazione letterale della legge, sia da una lettura sistemica delle singole previsioni incentrate sulla qualificazione del contratto di lavoro ai fini civili e sul ruolo del giudice ordinario. Non vi sarebbe traccia, in definitiva, di riferimenti al rapporto tributario e al giudice tributario nella Legge delega 14 febbraio 2003, n. 30, dettata specificamente in materia di occupazione e mercato del lavoro. Per cui, operando la certificazione civilistica su un altro piano rispetto all’obbligazione tributaria, di diritto pubblico (per la Cassazione, la prima “riguarda la qualificazione del contratto civilistico e la sua efficacia verso terzi, comprese le autorità pubbliche, ma non l’operazione economica sottostante”), il Giudice tributario sarebbe pienamente investito della questione preliminare della natura del contratto di lavoro, dovendo tener conto della certificazione solo in quanto fatto dedotto del processo ed elemento che compone il quadro probatorio complessivo, ma senza essere vincolato in punto di qualificazione del rapporto dagli artt. 75 e ss. D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. A parere della S.C., detta ricostruzione della materia troverebbe pure conforto in chiave eurounitaria, nell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia UE che ha costantemente affermato, per esempio (cfr. decisione 11 dicembre 2014 nella causa C-590/13), che il diritto alla detrazione deve poggiare su requisiti di carattere sostanziale, da verificarsi nel caso concreto tramite il sindacato del giudice. Si tratta senza dubbio di una visione innovativa rispetto all’istituto della certificazione e di una soluzione giurisprudenziale apparentemente contrastante con l’effetto preclusivo espressamente stabilito dalla legge. Un indirizzo che lascia senza garanzie quanti ritenevano di ricevere protezione dalle Commissioni anche agli “effetti fiscali” e su cui è prevedibile che si svilupperanno nel prossimo futuro ulteriori interventi e chiarimenti, anche in sede di legittimità.

(*)L’articolo è anche sul sito www.verifichelavoro.it della rivista Verifiche e Lavoro.


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