Fidelizzare è un termine che, a ben osservare, può assumere diverse valenze1, soprattutto se riferito ai dipendenti e ai rapporti di lavoro e all’intento di pervenire ad una stabilizzazione dell’organico aziendale.
In ambito lavoristico, storicamente, oltre agli interventi in campo retributivo, per fidelizzare si è ricorso a strumenti dalla natura puramente negoziale, scatenando la fantasia e l’ingegno di professionisti, datori e operatori che sono pervenuti a clausole “vecchia maniera” fortemente rappresentative della poliformità dell’autonomia privata, sempre volte a trattenere il lavoratore.
Tra queste, vi è ad esempio il patto di stabilità, o il patto di prolungamento del periodo di preavviso; senza potersi escludere, in termini di fidelizzazione, il patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 c.c., spesso stipulato con un chiaro intento di scoraggiare l’abbandono del posto di lavoro e, in ogni caso, salvaguardarsi difensivamente dalle insidie della concorrenza.
D’altronde il diritto del lavoro, fondato sul contratto, “è anche […] strumento di gestione dell’impresa e di regolamentazione delle modalità di incontro tra capitale e lavoro”2 e non solo fondamentale tutela del lavoratore, pur dovendosi i suddetti strumenti contrattuali scontrarsi con i “vincoli posti dal Legislatore,
[…] limitazioni al pieno esplicarsi dell’iniziativa economica privata delle parti negoziali”3.
Non è corretto, tuttavia, trattare di fidelizzazione senza richiamare strumenti dalla diversa essenza, che autorevole dottrina già in passato definì di “natura promozionale” od offensiva (il contrario di difensiva)4. A tale bacino, in particolare, possono essere incluse alcune particolari tipologie di leve retributive (generalmente premiali) laddove sfocino nel godimento di welfare aziendale5, oppure quegli strumenti che mirino ad aumentare la partecipazione e il coinvolgimento del lavoratore, provando a renderlo orgoglioso della realtà di cui fa (e auspicabilmente si sente) parte6, se non anche quegli strumenti che permettono un work life balance.
Ad una attenta riflessione, risulta pressoché impossibile individuare esaustivamente tutti i possibili strumenti volti a fidelizzare il dipendente; potendosi immaginare un caleidoscopio di strategie ed escamotage orientati in tal senso, legati tanto alle singole dinamiche manageriali, quanto alle soggettive leve motivazionali. Certo è che, senza voler (e poter) affermare quale scelta sia la migliore, appare possibile invero identificare alcuni strumenti “di nuova concezione”, che potrebbero indirettamente incidere nella partecipazione del dipendente all’organizzazione, disincentivandone la fuga.
A questi, senza dubbio, può essere ascritta la “Certificazione della parità di genere” di cui all’art. 46-bis, comma 1, D.lgs. n. 198/2006, inserito dall’art. 4, L. n. 162/2021.
Per ottenere la certificazione della parità di genere, l’organizzazione “di qualsiasi dimensione e forma giuridica, operante nel settore pubblico o privato”7 deve seguire le regole ed indicazioni contenute nel documento di prassi UNI/ PdR 125:2022, posto che “I parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere alle imprese sono quelli di cui alla Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, pubblicata il 16 marzo 2022, contenente «Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l’adozione di specifici KPI (Key Performance Indicator – indicatori chiave di prestazione) inerenti alle politiche di parità di genere nelle organizzazioni» e successive modifiche o integrazioni”8.
In particolare, in presenza dei requisiti sufficienti, “Al rilascio della certificazione della parità di genere alle imprese […] provvedono gli organismi di valutazione della conformità accreditati in questo ambito ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008”9, tenuto conto che, così come sancito dalle “norme collaterali”, taluni comportamenti e inadempienze “impediscono al datore di lavoro il conseguimento delle stesse certificazioni”10.
Orbene, assodate le agevolazioni e i benefici sanciti dalla normativa11, è indubbio che l’azienda certificata possa ottenere dei giovamenti in termini reputazionali12, in ragione del suo essere equa, inclusiva e sensibile a problematiche sociali. Tali benefici, a ben osservare, possono incidere fortemente al cospetto di clienti e fornitori, ma anche nei confronti di una diversa tipologia di stakeholders: i dipendenti.
Teoricamente, infatti, il lavoratore potrebbe maturare quell’ “orgoglio di appartenere all’azienda” 13 virtuosa, tipico della strumentazione promozionale che vive sulla logica partecipativa.
E, non a caso, in dottrina si è chiarito come “le emozioni rappresentano una sorta di tessuto connettivo che lega gli scopi organizzativi alle persone e ai gruppi influenzandone le direzioni di scambio e le prestazioni finali” 14, creando in tutta evidenza fidelizzazione e stabilità.
D’altra parte, anche nell’ipotesi in cui la certificazione della parità di genere non fosse ritenuta, di per sé stessa, una leva fidelizzante, risulta facile notare come, ai fini del suo conseguimento, siano da rispettare e garantire alcuni particolari parametri e misure, già ascritti a suo tempo all’alveo degli strumenti di fidelizzazione da autorevole dottrina15.
Nel dettaglio, il documento UNI/PdR 125:2022 richiede che, per mano del c.d. Comitato Guida16, sia redatto un Piano Strategico (condiviso dalla direzione e mantenuto aggiornato nel tempo), il quale viene definito dal suddetto documento di prassi come quel “Documento formale nel quale l’organizzazione definisce gli obiettivi da perseguire, stabilisce risorse, responsabilità, metodi e frequenze di monitoraggio”, e in cui vengono descritti, in particolare, i KPI adottati (Indicatori chiave di prestazione), utilizzati per il monitoraggio degli obiettivi stabiliti dalla politica organizzativa per la parità di genere.
Il Piano Strategico, più approfonditamente, così come descritto dalla UNI/PdR 125:2022, deve prevedere i seguenti temi principali:
– Selezione ed assunzione (recruitment);
– Gestione della carriera;
– Equità salariale;
– Genitorialità, cura;
– Conciliazione dei tempi vita-lavoro (worklife balance);
– Attività di prevenzione di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) sui luoghi di lavoro.
Ogni tema prevede al suo interno dei punti essenziali, inquadrabili come obiettivi operativo-gestionali e strumenti attuativi, tra cui quelli indicati in seguito:
– rivolgere le opportunità di carriera ed i programmi per lo sviluppo professionale a tutto lo staff 17;
– creare un ambiente lavorativo che favorisca la diversity e tuteli il benessere psico-fisico dei/delle dipendenti18;
– informare periodicamente i/le dipendenti delle politiche retributive adottate in azienda anche con riferimento a benefit, bonus, programmi di welfare19;
– ove esistente, il programma di welfare deve considerare le esigenze delle persone di ogni genere ed età20;
– includere nell’ambito del programma di welfare aziendale, ove esistente, iniziative specifiche per supportare i/le dipendenti nelle loro attività genitoriali e di caregiver 21;
– offrire servizi specifici quali asili nido aziendale, dopo scuola per i bambini o durante le vacanze scolastiche, voucher per attività sportive dei figli, ecc.22;
– dotarsi di misure per garantire l’equilibrio vita-lavoro (work-life balance) rivolte a tutti/e i/le dipendenti23;
– stabilire/promuovere accordi specifici per consentire il lavoro part-time a chi ne faccia richiesta24;
– offrire flessibilità di orario, stabilendo e comunicando regole e procedure semplici ed accessibili per usufruirne25;
– offrire la possibilità di smart working/telelavoro o di altre forme di lavoro flessibile, e orario elastico26;
– garantire che le riunioni di lavoro siano tenute in orari compatibili con la conciliazione dei tempi di vita familiare e personale27;
– prevedere una specifica formazione a tutti i livelli, con frequenza definita, sulla “tolleranza zero” rispetto ad ogni forma di violenza nei confronti dei/delle dipendenti, incluse le molestie sessuali (sexual harassment) in ogni forma28.
In altre parole, in termini di fidelizzazione, si può mirare alla certificazione della parità di genere come obiettivo ultimo oppure al fine di conseguire i singoli vari tasselli che la compongono e la rendono possibile; questi ultimi, infatti, possono essere considerati come quei tipici “fattori che pongono attenzione alla persona, considerata non solamente con riferimento al proprio ruolo organizzativo, ma in quanto tale con esigenze e caratteristiche che non si fermano all’interno dell’azienda, ma abbracciano globalmente l’individuo” 29 e pertanto elementi fortemente fidelizzanti 30.
E se non si sarà riusciti a fidelizzare, si avrà senz’altro contribuito ad altri (e alti) livelli, posto che “la parità di genere può innescare circoli virtuosi che portano benefici per l’azienda, per la società e per l’economia” 31.
1. Cfr. C. Murena che a tal proposito scrive di “concetti […] non agevolmente inquadrabili”, in Welfare aziendale e fidelizzazione dei lavoratori, Lavoro Diritti Europa, n. 3/2020, p. 4.
2. Così M. Biagi, A. Russo, Problemi e prospettive nelle politiche di “fidelizzazione” del personale, Collana ADAPT Modena – n. 1/2001.
3. Ibidem.
4. Cfr M. Biagi, A. Russo, op. cit., i quali preziosamente individuano tre macrocategorie di strumenti di fidelizzazione del dipendente: strumenti economico-normativi volti a una regolamentazione prettamente contrattuale o retributiva tra le parti, strumenti difensivi volti alla tutela della concorrenza e strumenti promozionali, i quali garantendo trattamenti di welfare, work-life balance e tematiche connesse, indirettamente incidono nella partecipazione del dipendente all’organizzazione.
5. Cfr. Welfare for people, Quinto rapporto su Il welfare occupazionale e aziendale in Italia, a cura di M. Tiraboschi, Adapt University Press, in cui è chiarito, più volte, come il welfare aziendale possa essere considerato quale strumento di fidelizzazione.
6. Tra questi, ulteriormente, le cd. stockoption, la formazione professionale e alcune modalità di team-working.
7. UNI/PdR 125:2022.
8. D.P.C.M. 29 aprile 2022, art. 1.
9. Ibidem art. 2.
10. Cfr. a titolo esemplificativo l’art. 2, D.lgs. n 105/2022 in tema di congedi, l’art. 46, D.lgs. n. 198/2006 relativo alla presentazione del rapporto sulla situazione del personale delle imprese con più di 50 dipendenti e l’art. 18, comma 3-ter, L. n. 81/2017 in materia di smart working.
11. Cfr. art. 5, D.lgs. n. 162/2021. In particolare, alle aziende private che siano in possesso della certificazione della parità di genere è concesso:
a) un esonero dal versamento di una percentuale dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, b) l’ottenimento di un punteggio premiale per la valutazione di proposte progettuali, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti, c) una diminuzione del 30% della garanzia fideiussoria prevista per la partecipazione alle procedure di gara d’appalto pubbliche, d) la possibilità di ottenere un punteggio premiale nelle medesime gare.
12. Cfr. ex multis P. Cerulli, La certificazione della parità di genere: volano per i diritti e per il business.
Come ottenerla e conservarla, in Lavoro Diritti Europa, n. 1/2023.
13. Così M. Biagi, A. Russo, op. cit.
14. Così D. Pavoncello, Gestire il cambiamento in una situazione di crisi, «Osservatorio Isfol», II (2012), n. 3, p. 57.
15. Si fa nuovamente riferimento a M. Biagi, A. Russo, op. cit. e A. Russo, Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Collana ADAPT – FONDAZIONE “Marco Biagi” n. 3, Giuffrè Editore.
16. Il Comitato Guida è, così come definito dal documento di prassi richiamato, un “Comitato istituito dall’Alta Direzione per l’efficace adozione e la continua ed efficace applicazione della Politica per la Parità di Genere”, la quale è definita come un “Documento formale nel quale l’organizzazione definisce il quadro generale all’interno del quale devono essere individuate le strategie e gli obiettivi riguardanti l’uguaglianza di genere”.
17. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.2 lett. c).
18. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.2 lett. e).
19. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.3 lett. c).
20. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.3 lett. d).
21. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.4 lett. e).
22. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.4 lett. f).
23. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.5 lett. a).
24. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.5 lett. b).
25. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.5 lett. c).
26. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.5 lett. e).
27. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.5 lett. f).
28. UNI/PdR 125:2022 punto 6.3.2.6 lett.
c). Si specifica che la formazione da sempre è considerata una leva fidelizzante, cfr. C.Murena, op. cit., p. 13.
29. Così M. Biagi, A. Russo, op. cit..
30. Peraltro, ad una attenta riflessione, gli strumenti di fidelizzazione “vecchia maniera” potrebbero risultare in antitesi rispetto alla fidelizzazione tramite la Certificazione della parità di genere. A titolo esemplificativo, uno degli elementi del Piano Strategico è “dotarsi di mansionario della singola impresa che completi e dettagli quello generico dei CCNL, per la segnalazione da parte dei/delle dipendenti di eventuali disparità retributive”; a ben vedere, gli accordi negoziali che comportano un incremento della retribuzione, potrebbero generare le predette disparità retributive.
31. Così UNI/PdR 125:2022, p. 9. Per alcune riflessioni sulla questione, mi si permetta di rimandare a M. Tuscano, Alcuni “semplici” motivi per stimolare la certificazione della Parità di genere, in Sintesi n. 03/2023.