CARTE DI DEBITO E WELFARE AZIENDALE: l’interpello “fantasma” delle cose (apparentemente) già dette, ovvero se il Fisco scoperchia il vaso di Pandora
Claudio Della Monica e Andrea Asnaghi Consulente del Lavoro in Paderno Dugnano (Mi) ·, Consulente del Lavoro in Milano e Consulente del Lavoro in Paderno Dugnano (Mi) ·
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UN PO’ DI STORIA (OVVERO COME SIAMO ARRIVATI A QUESTO PUNTO)
Come è noto agli addetti ai lavori, al comma 2 e all’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 51 del TUIR sono individuate le opere, i servizi, le prestazioni e i rimborsi spesa che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, in deroga al comma 1. In particolare, l’ultimo periodo del comma 3 prevede che “Non concorre a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a euro 258,23; se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito.” Per i periodi d’imposta 2025, 2026 e 2027, il limite di 258,23 euro è aumentato a 1.000,00 (2.000,00 per i lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti e i figli adottivi, affiliati o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del TUIR). Il successivo comma 3 bis stabilisce che “Ai fini dell’applicazione dei commi 2 e 3, l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale”. L’art. 6 del D.M. 25 marzo 2016 specifica che i documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico (c.d. “voucher”): – non possono essere utilizzati da persona diversa dal titolare; – non possono essere monetizzati o ceduti a terzi; – (per i beni e servizi di cui al comma 2 dell’art. 51) devono dare diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale (c.d. “voucher monouso”), senza integrazioni a carico del titolare. Invece, i beni e servizi di cui al comma 3, ultimo periodo, del TUIR possono essere cumulativamente indicati in un unico documento di legittimazione (c.d. “voucher cumulativo”) purché il valore complessivo degli stessi non ecceda il limite di importo (oggi) di euro 1.000,00 o 2.000,00. Nella circolare n. 28/E del 2016 è stato chiarito che il voucher cumulativo può rappresentare una pluralità di beni, determinabili anche attraverso il rinvio – ad esempio ad una elencazione contenuta su una piattaforma elettronica, che il dipendente può combinare a sua scelta nel proprio “carrello della spesa”. Nella risposta n. 273 del 18 luglio 2019 il Fisco ha anche ammesso la possibilità di utilizzare un budget figurativo di spesa per la fruizione dei beni e servizi attraverso un circuito elettronico.
LA RISPOSTA AD INTERPELLO N. 5 DEL 15 GENNAIO 2025 (OVVERO COME PROVARE A TIRARE LA CORDA SENZA FARLA SPEZZARE)
Con specifica istanza di interpello, la società istante ha sostanzialmente chiesto al Fisco se carte di debito nominative, da attribuire ai propri dipendenti, possano essere assimilate ai documenti di legittimazione di cui al comma 3 bis dell’art. 51 TUIR e dell’art. 6 del D.M. 25 marzo 2016, così da poter essere utilizzate per l’acquisto di beni e servizi riconducibili all’ultimo periodo del comma 3. Le carte di debito nominative rispettano infatti i criteri stabiliti dai citati D.M. 25 marzo 2016 e circolare n. 28/E del 2016 e cioè: – sono nominative, cioè utilizzabili unicamente dai titolari, tramite un PIN personale; – non sono cedibili a terzi, né commercializzabili; – non possono essere utilizzate per fini diversi da quelli menzionati; – non possono essere utilizzate promiscuamente (cioè sia come budget di spesa figurativo previsto da piano welfare sia come denaro e/o moneta elettronica estranei alle politiche di welfare); – non sono monetizzabili e/o convertibili (anche solo parzialmente) in denaro, sarebbe cioè preclusa qualsiasi operazione in moneta, come il prelievo o il versamento del contante, il trasferimento di denaro a terzi, operazioni di rimborso e simili. Per quanto riguarda il circuito elettronico di riferimento, l’Istante evidenzia che le carte sono utilizzabili esclusivamente presso gli esercizi commerciali aderenti al circuito del provider che svolgono attività d’impresa nei soli settori preventivamente individuati dall’Istante come potenziali erogatori di fringe benefit per i propri dipendenti. La lista degli esercenti che rispondono alle condizioni previste è individuabile da parte dei beneficiari all’interno della piattaforma digitale nell’area riservata dedicata ad ogni utente. L’Agenzia delle Entrate, forse un po’ “superficialmente” vista a posteriori, considerata la tematica potenzialmente dirompente in ambito welfare, risponde positivamente: “Nel caso di specie tenuto conto…. delle modalità di utilizzo della carta presso un numero determinato di esercenti nei settori preventivamente individuati dall’Istante come potenziali erogatori di fringe benefit per i propri dipendenti, è possibile riconoscere alla carta di debito assegnata ai dipendenti dell’Istante la funzione di documento di legittimazione ai sensi del comma 3 bis dell’articolo 51 del TUIR. Pertanto, l’Istante, in qualità di sostituto d’imposta, sull’importo utilizzato dai propri dipendenti per l’acquisto dei beni e servizi previsti dal piano di welfare non è tenuto ad applicare la ritenuta a titolo d’acconto ai sensi dell’articolo 23 del Decreto Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.” Parafrasando: 1) le carte devono essere utilizzate esclusivamente presso gli esercizi commerciali aderenti al circuito del provider; 2) gli esercenti, in numero limitato e perimetrato, devono essere selezionati a priori come potenziali erogatori di fringe benefit; 3) i beni e servizi devono essere precisamente identificabili; 4) i vincoli di spesa devono essere chiari e tracciabili. Tutto bene quel che finisce bene, quindi….. eh no, peccato che l’Agenzia, presumibilmente perché non si è sentita sollecitata in tal senso, non definisce a quali condizioni una rete di esercenti può effettivamente essere considerata limitata e predeterminata, né tanto meno chiarisce come deve avvenire il convenzionamento preventivo, e soprattutto non sottolinea che un semplice “filtro” merceologico sul circuito di pagamento non soddisfa i requisiti dei citati comma 3 bis dell’art. 51 TUIR e art. 6 del D.M. 15 marzo 2016.
LA RISPOSTA ALL’ INTERPELLO INAMMISSIBILE N. 904-318/2025 DEL 22 MAGGIO 2025 (OVVERO QUANDO IL DIAVOLO SI ANNIDA NEI DETTAGLI)
Con istanza di interpello del 12 marzo 2025, la società istante ha chiesto se, a certe determinate condizioni, le carte di debito (già trattate con la risposta ad interpello n. 5/2025) sono utilizzabili come strumento per l’erogazione di un budget spendibile in fringe benefit esenti entro i limiti stabiliti dall’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 51 del TUIR (oggi euro 1.000,00 o 2.000,00). Anche in questo caso le carte rispettano i criteri stabiliti dai citati D.M. 25 marzo 2016 e circolare n. 28/E del 2016. Tuttavia, nello specifico, l’Istante chiarisce che gli esercizi commerciali fornitori di beni e servizi non sono vincolati da un accordo commerciale diretto con il provider ai quali lo stesso si è rivolto, ma accettano i pagamenti attraverso i propri istituti bancari aderenti al circuito internazionale Mastercard. Ne deriva che il perimetro della rete di accettazione non è direttamente controllato dal provider dal punto di vista contrattuale, ma dipende dalle dinamiche globali dei circuiti di pagamento internazionali. Tanto è vero che la rete proposta dal provider non dispone di un marchio comune distintivo, né presso i punti di vendita “fisici” degli esercizi commerciali, né su piattaforme on line. In altre parole: – manca un accordo commerciale diretto tra il provider e gli esercenti, che invece deve sostanziarsi in una convenzione formalizzata con ciascuno di loro; – le carte di debito sono liberamente utilizzabili in una gamma così ampia e dinamica di esercizi commerciali e settori merceologici (accessori, beauty, benessere, carburante, casa, elettronica, esperienze, GDO, mobilità green, ricariche elettriche, streaming, trasporto pubblico) da superare di fatto i confini di una rete limitata e preventivamente determinata di potenziali erogatori di fringe benefit (questa limitazione risponde peraltro ai requisiti della Direttiva UE 2015/2366 – PSD2 – art. 3ki) 1; – il provider non controlla il perimetro della suddetta rete dal punto di vista contrattuale e può intervenire solo tecnicamente, senza garantire una gestione diretta e stabile degli esercenti coinvolti, poiché l’adesione degli stessi dipende dalle dinamiche globali dei circuiti di pagamento internazionali; – la rete proposta dal provider non dispone di un marchio comune distintivo, né presso i punti di vendita “fisici” degli esercizi commerciali, né su piattaforme on line. La posizione dell’Agenzia delle Entrate è all’inizio tanto semplice quanto scontata: istanza inammissibile in quanto i chiarimenti sono stati già forniti con la risposta n. 5/2025! Tuttavia, “in ottica di collaborazione tra Amministrazione Finanziaria e contribuenti” (leggasi: per non correre il rischio di non farsi capire una seconda volta ovvero non perdere l’occasione per “tirare la riga” dove va tirata) risponde, eccome se risponde: “La recente Risposta n. 5 del 15 giugno 2025, tenendo conto…. delle modalità di utilizzo della carta presso un numero determinato di esercenti nei settori preventivamente individuati come potenziali erogatori di fringe benefit per i propri dipendenti, ha riconosciuto alla carta di debito assegnata ai dipendenti la funzione di documento di legittimazione ai sensi del comma 3 bis dell’articolo 51 del TUIR. Nel caso in esame, considerato che la Società ha affermato che il numero di esercenti non è determinato a priori e che le carte di debito sono liberamente utilizzabili in una gamma ampia e dinamica di esercizi commerciali e settori merceologici, si riscontra che i chiarimenti della Risposta n. 5 del 15 giugno 2025 non sembrano applicabili. Pertanto, l’Istante, in qualità di sostituto d’imposta, sarà tenuto ad applicare la ritenuta a titolo d’acconto ai sensi dell’articolo 23 del Decreto Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 sull’importo utilizzato dai propri dipendenti per l’acquisto dei beni e servizi previsti dal Piano di welfare.” In definitiva la rete limitata e predeterminata implica che gli esercenti siano identificati e convenzionati prima dell’utilizzo, non che possano “fluttuare” liberamente in base alla disponibilità del circuito di pagamento prescelto. È proprio questa flessibilità illimitata a rendere il modello inammissibile. Ne deriva che a queste condizioni le carte di debito non sono documenti di legittimazione ma strumenti di pagamento generalizzato che aggirano il divieto di erogare prestazioni in denaro.
CONCLUSIONI: DOVE VA IL WELFARE AZIENDALE (OVVERO QUANDO UNA CARTA DI DEBITO NON FA LA PRIMAVERA)
Sotto sotto, la battaglia sotterranea è fra vecchi e nuovi welfare-vendor: chi si sente usurpato dall’ingresso di queste nuove e flessibili (in qualche caso evidentemente troppo) carte di debito e chi invece ne magnifica le potenzialità, tanto da dare spazio alla fantasia. Come sempre, a farla da padrone è il fattore “C”– che in questo caso rappresenta il commercio – perché il welfare è diventato sempre più un ricco terreno di mercato. Tanto da chiedersi se non sia il caso di variare indirizzo. Certo, hanno cominciato gli ultimi governi, che sotto la voce “misure di welfare aziendale” hanno fatto passare come acqua fresca la dilatazione (1000, 2000, 3000 euro) del valore originario di 258,23 euro: lo strano numero decimale è perché nessuno aveva mai considerato di variare il valore in lire -le vecchie 500.000 lire – né tantomeno la necessità di un adeguamento stabile di questo ed altri valori stabiliti dall’art. 51 TUIR. Ma così facendo non solo si travalica parte della funzione originaria del comma 3 (che era quella di non sottoporre a tassazione i regali o i servizi di piccola taglia fatti dal datore di lavoro) ma si annacqua il welfare aziendale in un mare magnum multiscopo (dall’intervento di tentata defiscalizzazione del rincaro dell’energia a quello sul caro-immobili, passando per i buoni-spesa o benzina), perdendone così in parte la vocazione di bene di utilità sociale. Tuttavia, chi di fiscalità colpisce di fiscalità perisce: hai un bel predicare sullo scopo nobile del welfare in un’ottica di benessere e fidelizzazione, quando tutto (a cominciare dalle orribili pubblicità sui buoni-pasto: davvero nessuno interviene?) punta meramente sull’ottimizzazione fiscale, al limite borderline dell’elusione. E quello delle carte di debito non è in fondo che l’ultimo tentativo di far passare in sordina tutto quanto il mercato offre spudoratamente sul punto: nascono come funghi i portali del welfare fai-da-te (“nessun consulente – tutto on line”, “le analisi dei dipendenti? Una perdita di tempo infinita, uno stress”) e le mille soluzioni prêt-àporter, l’importante è risparmiare tasse, il vero benessere è un fattore secondario. In una semplificazione di potente squallore, dipendenti concepiti come macchine senz’anima: se gli metti il carburante giusto (più soldi grazie a meno tasse) funzioneranno meglio 2. Sono riflessioni che invitiamo a fare perché oggi stigmatizziamo (molto opportunamente) carte di debito troppo liberiste, ma il futuro del welfare e la sua incerta regolazione non possono basarsi su miriadi di interpelli che una volta aprono una porta sbadatamente per poi richiuderla in fretta allorquando ci si accorge di un mondo che non aspetta altro che un piccolo spiraglio per entrarvi a man bassa con un autoarticolato. Anche AIWA – benchè da un lato predichi e da un altro razzoli – già dal 2022, con un rafforzamento anche recentissimo del concetto, si è interrogata sul futuro del welfare, proponendo delle modifiche volte a potenziare la componente sociale del welfare aziendale. In maniera molto tecnica, ma non per questo meno significativa, il Centro Studi della Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano, nell’ambito di proposte di riforma del TUIR 3, ha suggerito, fra le altre misure riferite all’art. 51,4 comma 2, di estendere (vedi voci evidenziate in grassetto) i servizi di cui all’art. 100 ai seguenti ambiti: educazione, istruzione, ricreazione, conciliazione vita-lavoro, benessere organizzativo, sostenibilità ambientale e sociale, assistenza sociale e sanitaria o culto. Dobbiamo sostenere le imprese, anche piccole, ad evolversi e ad imboccare con decisione le nuove prospettive di sviluppo, abbandonando un’idea del welfare aziendale come scorciatoia, più o meno lecita, al risparmio fiscale, al contrario apprezzandola e gestendola come una leva di benessere e di modernizzazione del lavoro nel suo complesso.
- Secondo la Direttiva citata, che disciplina i servizi di pagamento nel mercato interno, sono esclusi dall’ambito di applicazione della stessa i servizi basati su specifici strumenti di pagamento utilizzabili solo in modo limitato, in particolare quelli che consentono al detentore di acquistare beni o servizi soltanto nei locali dell’emittente o all’interno di una rete limitata di prestatori di servizi direttamente vincolati da un accordo commerciale ad un’emittente professionale. Questo, dunque è uno dei requisiti fondamentali per distinguere uno strumento di pagamento come il voucher da uno strumento di pagamento generalizzato, assoggettato alla normativa bancaria (e in quanto tale rappresentativo di somme di denaro e non di beni e servizi).
- Vedi SINTESI, maggio 2024, pagg. 33-39: https://consulentidellavoro.mi.it/wp-content/uploads/2024/06/10- PROPOSTE-MODIFICHE-TUIR.pdf.
- Le proposte sono state formulate nell’articolo sulla base della nuova numerazione ipotizzata dal testo di riforma su cui Agenzia delle Entrate ha chiesto di intervenire: per chiarezza espositiva nel presente articolo il riferimento è rimasto alla numerazione attuale.