Enrico Barraco e Stefano Iacobucci analizzano il fenomeno della Gamification[1]
Leggendo l’articolo di Barraco e Iacobucci, non ho potuto fare a meno di pensare alle implicazioni della teoria dei giochi, di cui John Nash è stato l”esponente più conosciuto. Questa branca della matematica analizza le decisioni individuali di un soggetto in situazioni di conflitto o interazione stra-tegica con altri soggetti rivali (due o più) finalizzate al massimo guadagno di ciascun soggetto.
Gli Autori presentano un’analisi che mostra come anche la selezione del personale e le attività di motivazione delle risorse, da una decina d’anni, stiano facendo ricorso all’uso della “Gamification” (derivazione da “to game” = giocare). Si tratta di un sistema di valutazione delle attitudini di una persona basato sui risultati di giochi effettuati al di fuori del contesto dell’attività ludica. L’assunto su cui si basa la gamification è che il gioco, in quanto momento fondamentale dell’esistenza dell’individuo, favorisce il distacco dalla routine e dal quotidiano e agevola comportamenti che normalmente non emergono in un contesto sociale codificato; si porta il protagonista del gioco ad esprimere caratteristiche naturali, istintive e normalmente represse.
L’applicazione del gioco in ambito lavorativo favorisce l’emersione di caratteri personali del lavoratore: infatti, presentando un obiettivo (competitivo o cooperativo) che consiste nel raggiungere un determinato risultato (vincere), si svolge nel rispetto di una serie di parametri e limiti prestabiliti e noti ai giocatori (regole del gioco). Applicando lo schema del gioco (soprattutto quello competitivo) nell’ambito della valutazione del lavoratore, è possibile comprendere quale sarà il tipo di mansione che si adatterà meglio allo stesso e se è idoneo a ricoprire un certo tipo di ruolo. L’uso della strategia di gamification interessa gli esperti di recruiting in quanto fornisce ottimi strumenti per la selezione del personale ed in particolare aiuta a far emergere il miglior lavoratore per capacità di problem solving, adattamento, attitudini, ecc…
Ponendo i candidati in competizione, la gamification permette di individuare il leader, lo stratega, il subalterno, chi non sa gestire lo stress, chi non è portato per la competizione, ecc…
Si intravedono notevoli vantaggi nell’ambito della gestione del personale e dell’organizzazione del lavoro, perciò la gamification può diventare uno strumento per migliorare le condizioni ambientali-organizzative sul posto di lavoro.
È innegabile però che la gamification implica la valutazione di aspetti molto “sensibili” dell’individuo, e quindi impone una riflessione sulla questione dell’indagine sul lavoratore e di valutare eventuali profili di violazione della sua privacy.
Relativamente al trattamento dei dati personali vanno considerate la Raccomandazione del Consiglio d’Europa R (89) 2 e la giurisprudenza nazionale.
La valutazione del personale per il mezzo dei test attitudinali dev’essere esplicitata nelle modalità operative al lavoratore, il quale dev’essere in grado di comprendere in che modo i suoi dati verranno trattati; il gioco dovrà essere strutturato in modo da non far emergere delle caratteristiche non rilevanti nella valutazione della personalità del lavoratore.
L’esecuzione di un test prevede che il lavoratore sia informato delle ragioni e della finalità per cui lo stesso viene richiesto e, pertanto, al test deve essere allegata un’informativa (art. 13 ss., GDPR) rispetto alle modalità di acquisizione dei dati, al trattamento degli stessi e al fine per cui sono trattati.
Un secondo aspetto degno di attenzione è costituito dai sistemi di gamification digitali, in cui la stessa è attuata attraverso un gioco digitale.
Ad esempio, una nota società di recruiting utilizza un metodo di selezione con doppio filtro digitale: prima usa un algoritmo che filtra i curricula dei candidati in base alla conformità ai parametri di selezione del personale e, successivamente, i candidati risultati compatibili con le esigenze aziendali vengono sottoposti a gamification.
Gli algoritmi e i games costituiscono uno strumento per la selezione del personale realizzata mediante sistemi automatizzati di trattamento dei dati?
Senza dubbio, sia gli algoritmi di preselezione, sia i games, costituiscono un sistema mediante il quale le informazioni fornite dal candidato (o dal lavoratore) sono trattate automaticamente dal sistema informatico, che ne elabora i risultati in base a parametri impostati dall’amministratore di sistema o dal programmatore, fornendo come output unagraduatoria oselezione. In tale contesto, ci si deve rifare all’art. 22, GDPR “Processo decisionale automatizzato relativo alle persone fisiche, compresa la profilazione”: la norma di cui sopra prevede chiaramente che il candidato e il lavoratore che prendano parte al game, abbiano diritto a non essere sottoposti a decisioni basate unicamente sul trattamento automatizzato, rendendo sempre necessario il parere di una persona fisica.
Esiste un caso in cui il trattamento automatizzato è autorizzato dall’art. 22, GDPR, ed è quello in cui il trattamento stesso è necessario per la “conclusione o l’esecuzione di un contratto” oppure quando “si basa sul consenso esplicito dell’ interessato”. Quindi la soluzione da adottare dipende dal tipo di selezione.
Parlando del candidato, è evidente che se il metodo di selezione del personale si basa sulla preselezione mediante algoritmo e sulla gamification e il dipendente intende essere assunto, allora il trattamento automatizzato dei dati si considera necessario per la conclusione del contratto di assunzione.
Soffermandosi invece sul caso del lavoratore in forza che accetta di partecipare a un programma interno di organizzazione del personale, misurato su attitudini, capacità e competenze, il trattamento automatizzato dovrebbe essere tale da non vincolare il lavoratore, poiché l’organizzazione del personale non è un caso di esecuzione del contratto ma rappresenta un interesse dell’impresa rispetto all’organizzazione stessa. In conclusione, queste valutazioni vanno sottoposte ai principi esposti nell’art. 5 ss., GDPR, e in particolare ai principi di necessità e proporzionalità.
La prudenza suggerisce di richiedere al candidato di esprimere il consenso al trattamento automatizzato dei dati, anche se questo non necessariamente elimina il problema della proporzionalità.
Gli Autori chiudono l’analisi con il seguente monito: “qualunque sia la modalità di trattamento (per conclusione/esecuzione ovvero per consenso) l’ impresa selezionatrice dovrà attuare misure appropriate per tutelare i diritti, le libertà e i legittimi interessi dell’ interessato, almeno il diritto di ottenere l’ intervento umano da parte del titolare del trattamento, di esprimere la propria opinione e di contestare la decisione”.
[1] Sintesi dell’articolo pubblicato in D&PL, 36 2018, pag. 2101. dal titolo Gamification: il gioco che seleziona.