Cambio di Appalto. I Giudici di legittimità si pronunciano di nuovo sul tema

di Gabriele Fava, Avvocato in Milano

 

Con la sentenza n. 29922 emessa lo scorso 20 novembre 2018, la sezione Lavoro della Corte di Cassazione è tornata di nuovo sul dibattuto tema della tutela dei lavoratori in caso di cessazione dell’appalto.

La vicenda analizzata dal Supremo Collegio trae origine dal ricorso proposto da una società avverso la decisione della Corte di Appello di Roma con la quale aveva rigettato il reclamo proposto dalla medesima avverso la sentenza di primo grado ed accertativa dell’illegittimità dei licenziamenti intimati dall’impresa ad alcune lavoratrici in occasione del cambio di appalto.

Adendo la Corte di legittimità, la società ricorrente censurava, in particolare, la valutazione dei Giudici di seconde cure sulla conservazione della tutela legale inerente l’illegittimo licenziamento anche nelle ipotesi di cambio di appalto e di assunzione del lavoratore presso l’impresa subentrante. Tale motivo di ricorso è stato tuttavia ritenuto infondato dai Supremi Giudici.

Ed invero, ponendosi nel segno della continuità giurisprudenziale, la Corte di Cassazione ha infatti chiarito che – ove il contratto collettivo preveda, per l’ipotesi di cessazione dell’appalto cui sono adibiti i lavoratori, un sistema di procedure idonee a consentire l’assunzione degli stessi, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell’impresa subentrante (a seguito della cessazione del rapporto instaurato con l’originario datore di lavoro e mediante la costituzione “ex novo” di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto) – detta tutela si aggiunge (senza escluderla) a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento.

Ciò significa che anche nel caso in cui la contrattazione collettiva preveda il passaggio dei lavoratori dall’impresa uscente all’impresa subentrante, l’appaltatore uscente – qualora decidesse di non mantenere in servizio i lavoratori per altri appalti – dovrà procedere con il loro licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel pieno rispetto della disciplina normativamente prevista in materia. Di conseguenza la Corte, con la recente sentenza in commento, ha riaffermato il diritto del lavoratore, coinvolto dal cambio di appalto, di impugnare il licenziamento intimatogli qualora lo ritenga illegittimo.

In aggiunta, afferma la Corte che la scelta effettuata dal lavoratore per la costituzione di un nuovo rapporto non implica, di per sé, rinuncia all’impugnazione dell’atto di recesso, dovendosi escludere che si possa desumere la rinuncia del lavoratore ad impugnare il licenziamento o l’acquiescenza al medesimo dal reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva, non rivelandosi, in tale scelta, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo.

I principi di recente riaffermati dal Supremo Collegio chiariscono la distinzione tra le differenti situazioni di fatto riferite al recesso dell’originario datore di lavoro ed alla costituzione del nuovo rapporto di lavoro con l’impresa subentrante.

Ed invero, ha osservato sul punto la Corte come la garanzia di natura contrattuale collettiva del passaggio dal datore originario all’impresa subentrante miri principalmente ad assicurare la stabilità e continuità dell’occupazione, ma lascia distinti i rapporti lavorativi (non a caso, infatti, il rapporto con l’impresa subentrante si definisce ex novo). Di conseguenza, non solo una regola contrattuale non potrebbe mai escludere la tutela legale che sanziona il recesso illegittimo, ma neppure sarebbe invocabile trattandosi di distinti rapporti contrattuali rispetto ai quali differenti sono le obbligazioni e responsabilità datoriali. Pertanto, anche nelle ipotesi del passaggio da un appalto all’altro, l’originario datore di lavoro sarà tenuto a dimostrare, ove necessario, le ragioni del recesso e l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in altre posizioni lavorative compatibili.

Alla luce di tale recente statuizione che si pone sul solco delle precedenti in materia, può ben rilevarsi come l’ordinamento, pur non disciplinando direttamente il meccanismo del cambio di appalto previsto dalla contrattazione collettiva conceda – comunque – sufficienti tutele al lavoratore, sia nei confronti del datore di lavoro che ne intima il licenziamento per la conclusione dell’appalto, sia nei confronti della società nuova appaltatrice.