CALORE E RADIAZIONE SOLARE NEI LUOGHI DI LAVORO
Nina Catizone, Consulente del Lavoro in Torino
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È il tema all’ordine del giorno: lo stress termico nel mondo del lavoro. Tempestivamente, il 27 giugno 2025, l’EUOSHA ha reso noto che “un nuovo strumento interattivo di valutazione dei rischi online (OiRA) aiuterà le imprese a valutare e gestire i crescenti rischi del lavoro a temperature estreme”. Né sorprendono vuoi le “Linee di indirizzo per la protezione dei lavoratori dal calore e dalla radiazione solare” pubblicate il 19 giugno 2025 dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, vuoi il “Protocollo Quadro per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro” del 2 luglio 2025, vuoi il messaggio dell’Inps n. 21301 del 3 luglio 2025, n. 21301 “Richieste di integrazione salariale per la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa a causa del caldo eccessivo. Indicazioni per la presentazione delle istanze e la gestione dell’istruttoria”.
IL RISCHIO TERMICO NEL TUSL
Più che mai allora si avverte un’esigenza purtroppo non compiutamente soddisfatta dai provvedimenti appena richiamati: quella di ricostruire il quadro normativo emergente in materia dal TUSL. Nell’ambito del Titolo VIII dedicato agli agenti fisici, l’art. 180 D.lgs. n. 81/2008 precisa che “per agenti fisici si intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori”. Dove ad assumere rilievo è il riferimento al “microclima” in effetti evocato nell’Allegato IV, punto 1.9., D.lgs. n. 81/2008. Un punto che presta attenzione anche alla “temperatura”, e che tuttavia è intitolato “aerazione dei luoghi di lavoro chiusi”. Non si trascuri, però, il punto 1.8.7.1. che allarga lo sguardo ai “posti di lavoro all’aperto” ed esige, in particolare, che “questi devono essere strutturati, per quanto tecnicamente possibile, in modo tale che i lavoratori sono protetti contro gli agenti atmosferici”. Basilare è poi l’art. 181, comma 2, D.lgs. n. 81/2008 -ivi sanzionato esclusivamente a carico del datore di lavoro dall’art. 219, comma 1, lettera a)- in quanto dispone che “la valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici è programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia”, ed “è aggiornata ogni qual volta si verifichino mutamenti che potrebbero renderla obsoleta, ovvero quando i risultati della sorveglianza sanitaria rendano necessaria la sua revisione”. A sua volta, l’art. 181, comma 3, stabilisce che “il datore di lavoro nella valutazione dei rischi precisa quali misure di prevenzione e protezione devono essere adottate”, e che “la valutazione dei rischi è riportata sul documento di valutazione di cui all’articolo 28, essa può includere una giustificazione del datore di lavoro secondo cui la natura e l’entità dei rischi non rendono necessaria una valutazione dei rischi più dettagliata”. E ancora l’art. 182, comma 1, sanzionato a carico del datore di lavoro e del dirigente, prevede che, “tenuto conto del progresso tecnico e della disponibilità di misure per controllare il rischio alla fonte, i rischi derivanti dall’esposizione agli agenti fisici sono eliminati alla fonte o ridotti al minimo”, e che “la riduzione dei rischi derivanti dall’esposizione agli agenti fisici si basa sui principi generali di prevenzione contenuti nel presente decreto”. Non mancano nell’art. 182, commi 2 e 3, ulteriori precisazioni: che “i dati ottenuti dalla valutazione, misurazione e calcolo dei livelli di esposizione costituiscono parte integrante del documento di valutazione del rischio”, che “il datore di lavoro nella valutazione dei rischi precisa quali misure di prevenzione e protezione devono essere adottate”, e che “la valutazione dei rischi è riportata sul documento di valutazione di cui all’articolo 28, essa può includere una giustificazione del datore di lavoro secondo cui la natura e l’entità dei rischi non rendono necessaria una valutazione dei rischi più dettagliata”. E d’altra parte, in un’analisi dedicata al calore e alla radiazione solare, è più che mai il caso di ricordare che, stando alla pacifica giurisprudenza della Corte Suprema, “nella nozione di “luogo di lavoro”, rilevante ai fini della sussistenza dell’obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell’accesso ad essa da parte di terzi estranei all’attività lavorativa, finalità che possono essere sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro e ogni luogo nel quale il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività”. E dunque, al chiuso come all’aperto, in Italia come all’estero. Inoltre, in base all’art. 184, D.lgs. n. 81/2008, “nell’ambito degli obblighi di cui agli articoli 36 e 37, il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori esposti a rischi derivanti da agenti fisici sul luogo di lavoro e i loro rappresentanti vengano informati e formati in relazione al risultato della valutazione dei rischi con particolare riguardo alle misure adottate, alle modalità per individuare e segnalare gli effetti negativi dell’esposizione per la salute, alle circostanze nelle quali i lavoratori hanno diritto a una sorveglianza sanitaria e agli obiettivi della stessa, alle procedure di lavoro sicure per ridurre al minimo i rischi derivanti dall’esposizione, all’uso corretto di adeguati dispositivi di protezione individuale e alle relative indicazioni e controindicazioni sanitarie all’uso”. E si badi che il medico competente deve ormai essere nominato ai fini della valutazione dei rischi, ivi compreso naturalmente il rischio termico. E d’altra parte il rischio termico rientra nei casi di sorveglianza sanitaria obbligatoria. Invero, con onnicomprensivo riguardo agli “agenti fisici”, incluso, quindi, il microclima, l’art. 185, comma 1, dispone che “la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti agli agenti fisici viene svolta secondo i principi generali di cui all’articolo 41”. Non sfugga, poi, l’art. 96, comma 1, lettera d), D.lgs. n. 81/2008, che con riguardo ai cantieri stabilisce a carico dei datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici l’obbligo di curare la protezione dei lavoratori contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e la loro salute.
LA VALUTAZIONE DEI RISCHI DA CALORE E RADIAZIONE SOLARE
In questo contesto normativo, ben si comprende il peso determinante attribuito dalle Linee di indirizzo del 19 giugno 2025 agli strumenti e agli indici per la valutazione dei rischi da calore e radiazione solare. In proposito, si afferma che “le metodologie più utilizzate sono l’Indice WBGT (descritto nella UNI EN ISO 7243) ed il metodo PHS (affrontato nella UNI EN ISO 7933)”, e che “le valutazioni del rischio di esposizione al caldo o a radiazione solare possono essere effettuate a partire dai parametri fisici direttamente misurati nel luogo di lavoro o dati storici e che quindi sono utilizzati da specialisti e richiedono una specifica preparazione e la disponibilità di strumenti di misura sofisticati”. Nessun dubbio, dunque, che ai fini della prevenzione contro i rischi da calore e radiazione solare risulti basilare una adeguata valutazione di tali rischi. Ma noi sappiamo che, per costante giurisprudenza della Corte Suprema, la valutazione dei rischi: -è un obbligo indelegabile del datore di lavoro -deve essere effettuata dal datore di lavoro secondo la migliore evoluzione della scienza tecnica. Ed ecco allora che le Linee di indirizzo del 19 giugno 2025 valgono a confermare l’insufficienza del corso di formazione del datore di lavoro contemplato dall’Accordo Stato-Regioni del 17 maggio 2025. Un corso che si propone di fornire al datore di lavoro “competenze organizzative, gestionali e giuridiche”, ma non competenze tecniche. Quelle competenze tecniche che, a titolo di esempio, per esplicita indicazione delle Linee Guida regionali del 19 giugno 2025, sono invece indispensabili per la valutazione di un rischio come quello di esposizione al caldo o alla radiazione solare. E non si dimentichi l’ultimissimo insegnamento di Cass., pen. 23 giugno 2025, n. 23318: “il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del DVR non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata”. Nemmeno il Protocollo del 2 luglio 2025 se ne preoccupa. Visto che genericamente si limita a sottolineare che “la valutazione del rischio di cui all’articolo 28 del Decreto legislativo n. 81 del 2008 deve includere tutti i rischi per la salute e sicurezza, anche in relazione a quanto disposto dall’articolo 180 in materia di microclima”, e a esigere “il suo aggiornamento e il relativo documento, ai sensi dell’art. 29 del medesimo Decreto legislativo”.
IL RISCHIO TERMICO NEGLI APPALTI INTRA-AZIENDALI E NEI CANTIERI
Altro merito delle Linee Guida è quello di fornire alcune indicazioni sul rischio calore e radiazione solare nell’allarmante mondo vuoi degli appalti intra-aziendali, vuoi dei cantieri edili o d’ingegneria civile, rispettivamente disciplinati dall’art. 26 e dal Titolo IV, Capo I, del D.lgs. n. 81/2008. Lacunoso appare, invece, il Protocollo quadro del 2 luglio 2025. Ove si afferma: Nelle attività ricadenti nel campo di applicazione del Titolo IV del Decreto legislativo 81 del 2008 (cantieri temporanei o mobili), il Coordinatore per la progettazione, qualora previsto, all’atto dell’elaborazione del Piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) dovrà prendere in considerazione anche il rischio microclima, e prevedere misure di prevenzione idonee al fine di ridurre il rischio come, ad esempio, la presenza di aree di ristoro adeguate alle pause, la variazione dell’inizio delle lavorazioni, ecc. Anche i datori di lavoro delle ditte in appalto dovranno prevedere, all’interno dei relativi POS, misure specifiche di organizzazione delle lavorazioni in cantiere, quali, ad esempio, l’idoneità dei DPI alla stagione in corso, la possibilità di pause o l’anticipo/posticipo delle lavorazioni, la fornitura di bevande, l’accesso all’ombra, ecc., come previsto dall’articolo 96, co. 1, lett. d), Decreto legislativo n. 81 del 2008. E gli appalti intra-aziendali disciplinati dall’art. 26, D.lgs. n. 81/2008? Proprio quegli appalti che stanno producendo allarmanti infortuni e persino disastri nei lavori affidati da un datore di lavoro committente all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo. Purtroppo, il Protocollo quadro del 2 luglio 2025 ricade nella medesima lacuna che contraddistingue la disciplina della patente a punti dettata dalla Legge n. 56/2024. Dove imprese e lavoratori autonomi sono tenuti ad essere in possesso della patente a punti solo se operano nei cantieri temporanei o mobili, ma non se operano negli appalti intraaziendali. Come mai il Protocollo quadro si preoccupa esplicitamente e quanto mai opportunamente del calore nei cantieri, ma non negli appalti intra-aziendali?