M. Giaccaglia esamina il funzionamento della blockchain e dello smart contract e la possibile applicazione al rapporto di lavoro
Oggi l’utilizzo di strumenti altamente tecnologici ha aumentato in maniera esponenziale la pervasività del controllo del datore di lavoro, visto anche che oramai quasi tutti i rapporti sono caratterizzati dal ricorso, nell’esecuzione della prestazione, a strumenti tecnologici e connessi alla rete. Tali poteri, però, sono limitati da varie previsioni normative, tra le quali spicca la L. n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) e il suo art. 4 che, con l’introduzione di una più intensa tutela dei valori di libertà e dignità dei lavoratori, ha sicuramente attenuato la portata dei poteri del datore1 . Al normale sviluppo tecnologico, poi, va aggiunta la circostanza che è proprio nei casi in cui si verificano profondi turbamenti dell’intero tessuto sociale ed economico, come quello provocato dalla pandemia COVID-19, che si è soliti compiere più rapidi passi avanti nei settori del digitale e della automazione. Basti pensare al fenomeno, esistente da decenni, ma mai veramente penetrato nella concezione italiana dell’organizzazione del lavoro, del tele-lavoro (c.d. smart working). O, ancora, volgere lo sguardo alla delicata situazione dei ciclo-fattorini (c.d. riders), la cui attività si è intensificata a seguito delle restrizioni alla mobilità e ai servizi di ristorazione imposte nella fase più acuta della pandemia. In tale contesto di digitalizzazione ed evoluzione del rapporto di lavoro si inseriscono, oggi, anche due innovazioni tecnologiche: la blockchain e lo smart contract. L’influenza che tali tecnologie possono avere sul contratto di lavoro non ha costituito oggetto di estese riflessioni da parte della dottrina che si è invece occupata dei riflessi che le stesse hanno avuto e stanno avendo in ambito finanziario, bancario, energetico, della digitalizzazione, conservazione, archiviazione dei dati, ecc. Quello del rapporto di lavoro, però, è settore che meriterebbe maggiore attenzione, data anche l’enorme quantità di dati e di prestazioni che lo caratterizzano, ed è su tali questioni che adesso si stanno maggiormente concentrando i giuslavoristi.
LA TECNOLOGIA BLOCKCHAIN
Si tratta sostanzialmente di un database digitale distribuito che viene aggiornato, gestito, controllato e coordinato non più a livello centrale, ma in modo decentralizzato, da parte di tutti coloro che vi accedono. Ogni dispositivo connesso alla blockchain viene definito nodo e può svolgere qualsiasi funzione. La rete è strutturata in blocchi, i quali formano una catena, e sono ordinati cronologicamente. Ogni blocco contiene una serie di informazioni, inserite congiuntamente o disgiunta mente dai nodi che hanno accesso al chain, e sono validate dalla maggioranza degli apparecchi collegati allo stesso network. In breve, il processo di validazione funziona così: la transazione viene inviata ai miners2 che devono abbinarvi un meccanismo di formazione del consenso valido3 ; il primo tra questi che è in grado di elaborarlo, sfruttando la potenza computazionale del proprio computer, lo invia agli altri, che lo accettano solo se non risulta che le proprie transazioni siano già presenti in un altro blocco validato in precedenza. La prova che, al momento dell’inclusione della transazione nel registro, la maggioranza degli utenti ne condividesse la validità è data dal fatto che la stessa viene datata attraverso un time-stamp, composto dall’oggetto dell’operazione che si aggiunge all’hash4 immediatamente precedente. Ognuno di questi time-stamp viene replicato tra gli utenti che condividono la medesima blockchain. Per questo motivo, non è possibile mutarlo unilateralmente, operazione che richiederebbe la modifica dell’hash di riferimento e di tutti i successivi hash in contemporanea su tutte le copie o, almeno, sulla maggioranza di queste. Tutti questi dati una volta immagazzinati nel relativo blocco, vengono cristallizzati in modo definitivo, per cui la loro modifica è possibile soltanto attraverso una operazione inversa e sempre validata dalla maggioranza degli utenti. Ciò che rende, se non impossibile, altamente improbabile la manipolazione fraudolenta dei dati e la modifica da parte di terzi non autorizzati.
LO SMART CONTRACT
Si è già fatto riferimento, altrove, al senso di smarrimento che i giuristi hanno avvertito dinanzi al fenomeno tecnologico degli smart contracts.5 Dal punto di vista tecnico, lo smart contract (anche detto contratto intelligente), è un software che, mediante l’utilizzo di un codice scritto in linguaggio informatico, verifica ed esegue, in maniera automatica, le (semplici) operazioni che sono state predisposte da chi ha provveduto a programmarlo6 . Opera seguendo un processo logico-condizionale del tipo if this/then that: in sostanza, una volta soddisfatta la condizione richiesta nel codice, l’operazione programmata si auto esegue senza l’esigenza di alcun intervento da parte di terzi. Dal punto di vista giuridico, invece, con il termine smart contract si fa riferimento all’accordo, raggiunto da due o più parti che, oltre alle più o meno varie pattuizioni in esso contenute, comprenderà anche quella di essere esso stesso implementato mediante l’utilizzo di un codice scritto in linguaggio informatico. Lo smart contract che a noi interessa è quello contenuto in un vero e proprio accordo, produttivo di effetti giuridici, caratterizzato dalla circostanza di essere auto eseguibile perché espresso in linguaggio informatico. Anche gli smart contracts hanno trovato la propria disciplina, come la blockchain, all’interno del già menzionato D.l. n. 135 del 2018, poi convertito in L. n. 12 del 2019, all’art. 8 ter.
OLTRE IL BITCOIN: NUOVE TECNOLOGIE E (NUOVO?) RAPPORTO DI LAVORO
Le innovazioni tecnologiche sopra descritte hanno oggi dunque abbandonato i mercati finanziari e il sistema bancario, per trovare applicazione anche ad altri settori. Tra questi, come detto, quello del lavoro. In particolare, ha assunto particolare interesse la tematica relativa alla gestione amministrativa del rapporto di lavoro. Esso infatti è idoneo a produrre una mole enorme di dati, relativi agli adempimenti di natura retributiva, contributiva e fiscale, ai quali è generalmente chiamato il datore di lavoro. Tutti documenti relativi a incombenze amministrative che, si dice, potrebbero essere tradotti in codice e implementati su blockchain mediante smart contract, riducendo costi e tempi di gestione e garantendo maggiore trasparenza. Così concepito, infatti, il sistema potrebbe consentire al datore di assolvere detti obblighi in maniera del tutto automatica. Lo stesso contenuto del contratto di lavoro, poi, parrebbe dunque prestarsi alla digitalizzazione, giacché tutte le informazioni relative al rapporto di lavoro devono essere fornite al lavoratore per iscritto e, quindi, ben potrebbe essere implementato su blockchain lo stesso documento contrattuale. Addirittura, si potrebbe immaginare, sempre tramite l’utilizzo di smart contract, che il pagamento del salario possa essere automatizzato. Lo smart contract implementato su tecnologia blockchain potrebbe anche essere utilizzato con lo scopo di tutelare il lavoratore ed evitare abusi o illeciti nella gestione del rapporto di lavoro, fin dalla sua costituzione. Tematica strettamente collegata al rapporto di lavoro, poi, è quella degli appalti privati, settore all’interno del quale mediante il ricorso alla automazione garantita dagli smart contract implementati su blockchain si potrebbe ipotizzare l’invio automatico, con conseguente maggiore rapidità e economicità nei controlli, di tutta la documentazione relativa al contratto di appalto, così garantendo anche maggiore trasparenza al fine della verifica dell’adempimento degli obblighi retributivi, contributivi e assicurativi di committenti e appaltatori7 obbligati in solido alla prestazione a favore del lavoratore8 .
IL PROBLEMA DELL’INTERVENTO NORMATIVO COME LIMITE ALL’UTILIZZO DI BLOCKCHAIN E SMART CONTRACT NEL RAPPORTO DI LAVORO
Due le problematiche che si pongono. La prima si ricava dall’analisi del dato positivo9 . La prima censura che potrebbe essere mossa alla soluzione legislativa è quella di aver incautamente accostato lo smart contract alle tecnologie basate su registri distribuiti poiché il primo può operare anche al di fuori di esse, mediante l’utilizzo di qualsiasi strumento che possa eseguire un protocollo informatico. Venendo alla problematica del riconoscimento allo smart contract della forma scritta, una volta che le parti siano state identificate, la previsione, oltre che non necessaria10, va criticata in quanto rischia: i) di impedire il riconoscimento del valore di forma scritta agli smart contracts che operano su tecnologie basate su registri distribuiti ma che non rispettano i requisiti di cui all’art. 20, co. 1 bis, D.lgs. n. 82/2005, con la conseguenza che la loro valutazione in termini di mezzo di prova sarà rimessa al giudice e, ii) di creare una duplice modalità di riconoscimento di valore di forma scritta: una così come derivante dal processo di attribuzione della paternità individuato dall’AgID e che varrà per gli smart contracts che operano su tecnologie basate su registri distribuiti; e una per qualsiasi altro smart contract, per il quale invece si dovrà aver riguardo a quanto prevede l’art. 20, co.1 bis, D.lgs. n. 82/2005. Con la previsione del terzo comma ancora viene consentito allo smart contract, una volta rispettati i requisiti previsti per la validazione temporale elettronica11, di produrre effetti giuridici ed essere ammesso come prova nell’àmbito di un procedimento giudiziale. Esso potrà, in concreto, assumere il medesimo valore giuridico e l’identica valenza probatoria di un contratto in forma scritta e quindi fare piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritto (art. 2702 c.c.). La soluzione del problema, che comunque dovrebbe passare attraverso l’esercizio di una attività interpretativa che forza il dettato letterale della norma, è resa ancora più complessa da quanto dispone il successivo co. 4 dell’art. 8 ter. Con tale norma, infatti, era stato previsto che in “novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (e dunque entro maggio 2019), l’AgID avrebbe individuato “gli standard tecnici che le tecnologie basate su registri distribuiti devono possedere al fine della produzione degli effetti di cui al comma 3”. Così portando all’estrema conseguenza che: i) uno smart contract validato attraverso un procedimento temporale elettronico non qualificato, e cioè senza rispettare le linee guida AgID, non avrebbe alcuna rilevanza giuridica né efficacia probatoria; mentre, ii) uno smart contract, ha rilevanza giuridica e l’efficacia probatoria di cui all’art. 2702 c.c. (o quella di mezzo di prova liberamente valutabile dal giudice giacché, come si è visto, non è dato comprenderlo dal riferimento che il comma precedente, dinanzi esaminato, fa alla validazione temporale elettronica), solamente quando abbia rispettato il procedimento di validazione temporale elettronica elaborato nelle linee guida AgID. Con buona pace del principio di neutralità tecnologica12.
LA BLOCKCHAIN PRIVATA E IL RISCHIO DI REINVENTARE LA RUOTA
Quello descritto è il funzionamento della blockchain di tipo pubblico e c.d. permissionless. Ciò significa che essa è accessibile da qualunque dispositivo e che ogni nodo al suo interno può effettuare transazioni, registrarle o validarle senza restrizioni di sorta13. L’assenza di un ente centrale, in definitiva, se da un lato presenta interessanti profili di innovatività, dall’altro comporta anche il totale trasferimento di responsabilità sugli utenti stessi, e dovrebbero essere chiari a tutti i rischi e le problematiche che pone l’idea che ogni utente sia l’unico responsabile della conservazione dei propri dati, quantomeno per quanto riguarda determinate categorie degli stessi. La decentralizzazione e l’utilizzo della crittografia, caratteristiche fondamentali delle blockchain di tipo pubblico poi, pongono ulteriori delicate questioni che riguardano l’individuazione di eventuali responsabili nei casi di mala gestio. Sarà dunque necessario verificare come applicare il nuovo Reg. (UE) 2016/679 (c.d. GDPR) anche alla blockchain, soprattutto a quelle di tipo pubblico, che sono accessibili a chiunque e nelle quali ogni nodo dispone di una copia di tutte le transazioni.
I rischi di un impiego istituzionale della blockchain pubblica dovrebbero essere, a questo punto, ben chiari. Infatti, le blockchain a cui si fa generalmente riferimento nei contributi tesi a illustrare le varie ipotesi applicative nell’ambito della P.A. o del rapporto di lavoro, invece, sono blockchain di tipo privato e c.d. permissioned o, al massimo, di tipo misto, o c.d. ibride. All’interno delle prime si accede solamente utilizzando delle credenziali e le attività di validazione e registrazione delle transazioni non sono consentite a tutti i nodi, ma solo ad alcuni di questi, autorizzati in tal senso. L’accesso alle seconde, invece, può anche essere libero ma la validazione e la conservazione delle transazioni eseguite è demandato solo a uno o più nodi selezionati. In tali ipotesi, per vero, la blockchain sembra perdere la propria carica innovativa (e problematica), visto che il pregio più evidente è la mancanza di un’autorità riconosciuta da parte di tutti i soggetti interessati al suo utilizzo. Così come altrettanto chiari dovrebbero ormai essere i motivi per cui ricorrere a una blockchain privata come rimpiazzo per sistemi centralizzati già esistenti possa risolversi in un esercizio sterile.
CONCLUSIONI
Se ancora oggi la blockchain viene ricondotta quasi esclusivamente al fenomeno delle criptovalute, ciò non significa che non sia stato compreso il potenziale di tale tecnologia, ma che l’applicabilità della stessa ad altri diversi settori, come quello dei rapporti di lavoro e del mercato del lavoro in generale, presenta delle difficoltà maggiori e, spesso, insuperabili. Il particolare linguaggio in cui sono scritti gli smart contracts, la distribuzione ottenuta grazie alla blockchain e l’automatica quanto inesorabile loro esecuzione, infatti, paiono essere causa di evidenti frizioni con l’ordinamento giuridico e con i rimedi che questo appresta con particolare riguardo alla tutela della parte debole del rapporto di lavoro. Si pongono seri interrogativi e si evidenziano dunque evidenti problematiche. In primo luogo, l’utilizzo di un linguaggio informatico, volendo escludere, per ovvie ragioni, la possibilità di demandare a un computer la scelta dell’algoritmo, rende comunque necessario l’intervento di una terza parte, un professionista, che sappia traslare in codice le clausole pattuite tra i contraenti, con le ovvie conseguenze in tema di competenze richieste e di responsabilità. Oppure, oltre al professionista delle leggi, per le parti che vogliono stipulare un contratto che si auto-esegue, sarà necessario un professionista dei codici (informatici). Ancora, l’irrevocabilità e l’immutabilità dello smart contract una volta inserito nella blockchain, pur garantendo l’esecuzione automatica di quanto pattuito, frustrano qualsiasi possibilità di intervento da parte dell’ordinamento o dei contraenti, anche laddove questo sia legittimo. D’altronde, poiché non può essere l’ordinamento giuridico ad adattarsi alle esigenze della tecnologia, ma devono farlo coloro che decideranno di ricorrere, nella conclusione e nello svolgimento del rapporto di lavoro, a queste nuove tecnologie, ci si dovrà necessariamente porre il problema di dover rispettare le norme imperative e inderogabili poste dal legislatore a tutela del lavoratore, circostanza davvero complicata se si ricorre a meccanismi estremamente semplici come quelli dello smart contract, che eseguono semplici operazioni matematiche.
* Sintesi dell’articolo pubblicato in LLI, Vol. 10, No. 1, 2024, ISSN 2421-2695 dal titolo Blockchain, smart contract e lavoro.
1. Il “nuovo” art. 4 Stat. Lav., a fronte di una maggiore pervasività dei poteri di controllo del datore fissa comunque alcune condizioni per l’esercizio di tale potere, quali i) la previa autorizzazione di organizzazioni sindacali o ispettorato; ii) la rispondenza a esigenze organizzative e produttive, di tutela del patrimonio aziendale e di sicurezza del lavoro; iii) la previa informativa sulle modalità di uso e di effettuazione dei controlli; iv) il rispetto dei principi di necessità, correttezza, pertinenza e non eccedenza.
2. Il minatore è il nodo che compie la validazione delle transazioni effettuate all’interno della blockchain. Nell’esperienza Bitcoin ogni nodo che possegga una potenza computazionale sufficiente può svolgere la funzione di miner. Tutti i nodi, invece, miners compresi, posseggono una copia di tutte le transazioni e vi possono accedere.
3. Nel caso della blockchain Bitcoin il meccanismo di formazione del consenso utilizzato è il proof-ofwork, che funziona sulla base della potenza computazionale della quale dispongono i minatori. Ma, oltre a questo, ne esistono molti altri, ognuno dei quali presenta aspetti innovativi interessanti ma non nasconde alcune criticità. Per la loro analisi sia consentito rimandare a F. Sarzana di Sant’Ippolito – M. Nicotra, op. cit., pag. 26 ss.
4. Ogni blocco della blockchain viene identificato con un hash, cioè una stringa alfanumerica. Qualsiasi transazione per essere validata ed entrare nella catena di blocchi deve ricevere dal minatore un nuovo hash e contenere al suo interno quello del blocco precedente, in modo da essere indissolubile.
5. Ben evidenziato da F. Di Ciommo, Gli smart contracts e lo smarrimento del giurista nel mondo che cambia. Il caso dell’high frequency trading finanziario, in F. Fimmanò – G. Falcone (a cura di), Fintech, ESI, 2019, pag.157 ss.
6. Richiamano varie definizioni A.U. Jannsen – F.P. Patti, op. cit., pag.33 ss., i quali concordano nel ritenere piú ricorrente quella secondo la quale «lo smart contract configura uno speciale protocollo volto a offrire, accertare o implementare la negoziazione o l’esecuzione del contratto in maniera tracciabile e irreversibile, senza l’ausilio di terzi».
7. L. Barbieri, Appalti e ritenute: la blockchain può semplificare la gestione dei rischi, IPSOA Quotidiano, 20 febbraio 2020.
8. In tema di responsabilità solidale, anche per ulteriori richiami, sia consentito rimandare a M. Giaccaglia, La responsabilità solidale tra litisconsorzio necessario e bilancio di liquidazione negativo dell’appaltatrice, LG, 2023, 3, pag. 298 ss.
9. Giacché il fenomeno degli smart contracts non è stato ancora compiutamente regolato a livello europeo né tantomeno a livello di singoli paesi, salve alcune eccezioni, tra le quali rientra l’Italia.
10. La superfluità dell’intervento legislativo (o delle sue modalità) è stata sempre (più o meno cortesemente) censurata dalla più attenta dottrina. Sebbene con riguardo ai requisiti di attualità e spontaneità che, secondo l’art. 1050 c.c., avrebbero dovuto caratterizzare la donazione, B. Biondi, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. it. Vassalli, 1961, 91, parlava di «ciarpame, in parte inutile in parte ingombrante».
11. Che, secondo la definizione dell’art. 3, co. 1, n. 33, reg. (UE) n. 910/2014, consente di accostare data e ora a dati in forma elettronica ad opera di altri dati in forma elettronica, al fine di provare l’esistenza dei medesimi in un determinato momento.
2. Principio ai sensi del quale i prodotti, i servizi e i quadri normativi non devono imporre o introdurre discriminazioni a favore dell’impiego di un tipo particolare di tecnologia.
13. Una delle più famose blockchain pubbliche, creata sull’esperienza della precedente piattaforma Bitcoin è Ethereum, che è opensource, permette di scrivere smart contracts e anche di eseguire e salvare dati.