AZIONI AI DIPENDENTI E REGIME AGEVOLATO: LA POSIZIONE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE NELLA RISPOSTA N. 147/2025

Andrea Di Nino , Consulente del Lavoro in Milano (*)

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I piani che prevedono l’assegnazione di azioni ai dipendenti sono ad oggi uno strumento utilizzato frequentemente dalle aziende, in particolare dalle società quotate e dai grandi gruppi multinazionali. La loro crescente diffusione è senz’altro dovuta ai significativi benefici che essi generano, nonostante le oggettive complessità sul piano applicativo: questi piani, difatti, sono in grado di incentivare e di fidelizzare la popolazione aziendale attraverso una forma di coinvolgimento diretto all’andamento dell’impresa, in modo a volte più efficace rispetto ad altri strumenti tradizionali. Ulteriore elemento che ha indubbiamente contribuito alla diffusione di tali piani è il regime agevolativo di cui possono beneficiare dal punto di vista fiscale, ed è proprio su questo aspetto che l’Agenzia delle Entrate si è recentemente espressa con la Risposta ad interpello n. 147/2025. In questo caso, l’Amministrazione finanziaria è intervenuta a seguito di un quesito posto da una società a capo di un gruppo multinazionale, in relazione ad un piano riguardante l’assegnazione di azioni ai dipendenti – nello specifico, un piano c.d. di azionariato “diffuso” o “popolare” – per chiarire quali siano le condizioni necessarie per l’applicazione del regime impositivo agevolato previsto dall’articolo 51, comma 2, lett. g) del TUIR. Detta norma dispone che il valore delle azioni assegnate non concorra alla formazione del reddito di lavoro dipendente, a condizione che le azioni (i) siano offerte alla generalità dei dipendenti, (ii) abbiano un valore non superiore euro 2.065,83 nel periodo d’imposta, per ciascun dipendente e (iii) non siano cedute prima del decorso di tre anni dall’assegnazione, né riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro. Resta inteso che il valore “limite” di euro 2.065,83 entro cui opera l’esenzione si calcoli al netto dell’eventuale trattenuta subita dal dipendente a fronte del ricevimento delle azioni (c.d. “strike price”) e che, in caso di suo superamento, l’assoggettamento fiscale e contributivo operi esclusivamente sulla quota eccedente il limite. Venendo più nel dettaglio a quanto oggetto dell’interpello, l’Agenzia delle Entrate è stata chiamata a valutare se, in presenza di esclusioni parziali operate da un datore di lavoro riguardanti i lavoratori a tempo determinato, i direttori generali e i dirigenti con responsabilità strategiche, il piano potesse comunque beneficiare del regime impositivo agevolato sopra descritto. La questione sottoposta all’esame dell’Amministrazione finanziaria attiene, dunque, alla corretta interpretazione del requisito concernente l’attribuzione delle azioni alla generalità dei dipendenti. A tal riguardo l’Agenzia delle Entrate, richiamando le Risoluzioni n. 129/2004 e n. 378/2007, ribadisce che la ratio sottesa al requisito della “generalità dei dipendenti” è quella di evitare elusioni e trattamenti discriminatori: lo scopo del legislatore è infatti quello di garantire la più ampia partecipazione dei lavoratori al piano, impedendo che l’agevolazione venga utilizzata per corrispondere compensi ad personam in esenzione totale o parziale d’imposta. L’Agenzia, inoltre, conferma un orientamento consolidato secondo cui, ai fini della applicazione del regime descritto, è necessario che l’offerta sia rivolta alla “generalità” ovvero a “categorie” di dipendenti, ricomprendendo in tale concetto non solo le categorie civilistiche (dirigenti, quadri, operai, etc.) ma anche i dipendenti di un certo tipo, inquadrati ad un determinato livello, oppure che svolgono le medesime mansioni. In tale contesto, l’Agenzia conferma che l’esclusione dei lavoratori a tempo determinato operata dal datore di lavoro istante non compromette il requisito della generalità, citando a supporto di tale tesi la circolare Inps n. 11/2001 e la sua Risoluzione 3/E del 2002, che in merito al concetto di “generalità” hanno chiarito come tale espressione possa riferirsi alla generalità dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato. In aggiunta, l’Amministrazione finanziaria richiama a supporto la propria prassi, tra cui la Risoluzione n. 55/E del 2020 e la risposta a interpello n. 77/2025, ribadendo che il legislatore non riconosce il beneficio di cui all’articolo 51, comma 2 del TUIR ogni qualvolta le somme e i servizi indicati dalla norma costituiscano vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori. Particolarmente rilevante, rispetto al quesito dell’istante, è inoltre la valutazione dell’esclusione dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche dal piano di assegnazione di azioni: l’Agenzia, al riguardo, accoglie la tesi della società istante, secondo cui tale esclusione è giustificata da esigenze di coerenza con le politiche di remunerazione adottate dalla società, e non da intenti discriminatori. Tali figure professionali, infatti, risultano già destinatarie di un piano di incentivazione a lungo termine (“LTI”) presso il datore di lavoro. La loro inclusione nel piano di azionariato diffuso, anche per importi modesti, altererebbe pertanto il pacchetto retributivo e i limiti stabiliti dall’azienda, generando appunto un disallineamento con le politiche di remunerazione da questa già adottate. Un ulteriore aspetto da considerare, sebbene non direttamente oggetto della risposta in esame, riguarda il trattamento contributivo delle azioni assegnate ai dipendenti. In linea generale, per i piani di azionariato diffuso che rispettano i requisiti previsti dall’articolo 51, comma 2, lett. g) del TUIR – ossia il limite di valore, il vincolo triennale di mantenimento e l’assegnazione alla generalità (o a categorie omogenee) dei lavoratori – l’esenzione si estende anche in ambito previdenziale, in virtù del principio dell’armonizzazione delle basi imponibili fiscali e previdenziali (articolo 6, D.lgs. n. 314/1997, circolare Inps n. 11/2001). Diversamente, per i piani azionari non generalizzati – come quelli che prevedono, ad esempio, l’assegnazione di “stock option” a singoli dipendenti – trova applicazione l’articolo 82, comma 24-bis del D.l. n. 112/2008, il quale ha introdotto una deroga al principio di armonizzazione delle basi imponibili, prevedendo l’esenzione contributiva anche in assenza di esenzione fiscale al ricorrere di tre condizioni cumulative: i) il piano azionario non deve essere generalizzato; ii) la sua attuazione deve essere subordinata al verificarsi delle condizioni in esso previste (ad es. determinati obiettivi aziendali, permanenza in servizio del lavoratore per un dato periodo di tempo, previsione di un termine minimo per la cessione delle azioni assegnate, etc.); iii) il piano deve prevedere esclusivamente l’assegnazione di titoli azionari, vietando la corresponsione in denaro del relativo valore al lavoratore. Al riguardo l’Inps, con la circolare n. 123/2009 e il messaggio n. 25062/2010, ha dunque chiarito che tale esenzione contributiva non si applica ai piani rivolti alla generalità dei dipendenti, per i quali continua a valere la regola dell’armonizzazione delle basi imponibili. Ne deriva che, paradossalmente, dal punto di vista fiscale e contributivo i piani generalizzati sono agevolati solo entro i limiti previsti, mentre i piani non generalizzati possono beneficiare di un’esenzione contributiva più ampia, pur restando fiscalmente imponibili. Per concludere, è possibile affermare che la Risposta n. 147 del 2025 dell’Agenzia delle Entrate, inserendosi in un quadro normativo consolidato, offre un chiarimento rilevante sull’interpretazione del requisito della generalità dei dipendenti destinatari del piano di assegnazione azionario. Una corretta qualificazione del piano di assegnazione delle azioni ai dipendenti e l’attenta verifica delle condizioni normative risultano determinanti per l’inquadramento complessivo sia fiscale che previdenziale.

(*) Ha collaborato alla redazione il dott. Alessandro Riccardo Polli.

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