Il Ministero del Lavoro, rispondendo ad una istanza di interpello presentata dalla Confcommercio, ha affrontato una interessante problematica fornendo alcune riflessioni – il perché non le si voglia definirle “risposte” lo capirete in seguito – in merito alla possibile rilevanza del diritto di precedenza, manifestabile da un lavoratore a tempo determinato che abbia prestato attività per un periodo superiore ai sei mesi, ove la sua azienda intenda procedere all’assunzione di un lavoratore con un contratto di apprendistato.
Il quesito ha una reale fondatezza in quanto il rapporto di apprendistato deve considerarsi a tutti gli effetti un contratto a tempo indeterminato e il diritto di precedenza – ove esercitato nei termini e nei modi previsti dall’art. 24, co. 4, del D.lgs. n. 81 del 15 giugno 2015 – matura proprio in relazione a nuove assunzioni a tempo indeterminato.
Meno interessante, per non dire scontata, la risposta ministeriale alla prima parte del quesito, ove si chiede se il diritto di precedenza deve essere considerato anche in occasione della prosecuzione del rapporto al termine del periodo formativo.
Ma procediamo, come sempre, con ordine.
La questione di cui viene interessata la Direzione Generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali riguarda la corretta interpretazione dell’articolo 24, comma 1, del D.lgs. n. 81/2015. L’istante chiede se costituisca o meno violazione del sopra citato diritto di precedenza, che la norma riconosce al lavoratore a tempo determinato,
– sia l’ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo formativo del contratto di apprendistato stipulato con un lavoratore già in forza presso la stessa azienda;
– sia la nuova assunzione, con contratto di apprendistato, di un altro lavoratore.
La risposta del Ministero del Lavoro parte dal presupposto che ai sensi dell’art. 41 del D.lgs. n. 81 del 15 giugno 2015 l’apprendistato è espressamente qualificato come contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, concludendo che
appare corretto ritenere che anche le assunzioni con tale tipologia contrattuale possano rientrare nell’ambito di quelle contemplate nell’articolo 24.
Fatta questa premessa l’interpello fornisce una prima risposta – come detto talmente prevedibile da dubitarsi della necessità di farne oggetto di interpello – circa l’ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo formativo del contratto di apprendistato, ritenendo che nel caso
va esclusa la violazione dell’articolo 24 del decreto legislativo n. 81/2015 atteso che ai fini dell’esercizio del diritto di precedenza rileva il momento dell’assunzione dell’apprendista, che si realizza con l’attivazione del contratto di apprendistato e non con la successiva fase di naturale prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di formazione.
La conclusione è assolutamente condivisibile in quanto il mantenimento in servizio al termine del contratto di apprendistato non rappresenta una novazione del rapporto, anche in considerazione del disposto del co. 4 dell’art. 42 che, disciplinando e permettendo il recesso, con l’obbligo del prescritto preavviso, dal contratto al termine del periodo di apprendistato, stabilisce che se il diritto al recesso non viene esercitato il rapporto “prosegue come ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.
Decisamente più interessante il riscontro al secondo quesito in quanto, secondo il Ministero,
una nuova assunzione con contratto di apprendistato andrà comunque considerata in relazione al diritto di precedenza vantato dal lavoratore a tempo determinato.
Il ragionamento si fonda sulla necessità che qualsiasi assunzione a tempo indeterminato, anche con rapporto di apprendistato, deve tenere conto di tutti i soggetti che vantano un diritto di precedenza, sempre che, secondo il Ministero, questi risultino privi della qualificazione per la mansione oggetto del contratto formativo, giungendo pertanto a ritenere che non ricorre:
la violazione del diritto di precedenza qualora il lavoratore risulti già qualificato per la mansione oggetto del contratto di apprendistato in virtù dei pregressi rapporti di lavoro a tempo determinato.
Fin qui, nulla da dire. Non vi è dubbio che un lavoratore che non può accedere ad una determinata tipologia contrattuale non può nemmeno, quale necessario corollario, vantare alcun diritto di precedenza rispetto ad altri candidati. Se quindi, come nel caso in questione, un soggetto non ha i requisiti per sottoscrivere un contratto di tipo formativo, in quanto risultante in possesso di una qualificazione maggiore rispetto a quella che il contratto gli consentirebbe di raggiungere, è palese che questo tipo di rapporto verrebbe disconosciuto e con esso le conseguenti agevolazioni normative e contributive.
La risposta ministeriale, nonostante affermi l’ovvio, appare – quantomeno a chi scrive – un poco criptica ma soprattutto giuridicamente poco articolata e non supportata in motivazione.
In primis appare generico chiarire – come fa il Ministero – che non vi sarebbe alcuna violazione del diritto di precedenza ove venisse escluso un candidato (titolare di un diritto di precedenza) che
risulti già formato per la qualifica finale oggetto del contratto di apprendistato.
Certo, lo capisce anche un bambino. Ma in quali casi il lavoratore a termine risulterebbe in possesso di una formazione tale da collidere con lo scopo formativo del contratto di apprendistato?
L’interpello non ce lo dice esplicitamente. E nemmeno il Ministero è in grado di richiamare un qualche passaggio normativo che dia fondatezza giuridica alla sua risposta, limitandosi a citare un proprio precedente intervento, l’interpello n. 8/2007, che peraltro, per quanto diremo oltre, non può essere oggettivamente ritenuto dirimente la problematica.
Questa quindi la risposta, che il Ministero motiva, con inusuale concisione e sintesi, con ragioni di
coerenza con quanto già chiarito con risposta ad interpello n. 8/2007 e con la circolare ministeriale n. 5/2013.
Per capire meglio il pensiero ministeriale, dobbiamo quindi, necessariamente, rileggere con la dovuta attenzione i documenti di prassi citati.
In quell’occasione la questione avanzata da Confindustria, di cui venne interessata la Direzione generale per l’Attività Ispettiva, riguardava la possibilità di procedere o meno alla assunzione come apprendisti di lavoratori che avevano in precedenza prestato attività lavorativa presso il medesimo datore di lavoro con rapporti di natura temporanea quale, ad esempio, un contratto a tempo determinato.
Partendo dalla considerazione dell’istante – su cui il Ministero concorda – che non esiste in effetti alcuna previsione normativa “che escluda la possibilità di assumere giovani in apprendistato solo per il fatto di essere già stati in precedenza impiegati o comunque utilizzati dalla stessa impresa”, l’interpello ritiene necessario chiarire la portata di questa affermazione, al fine di non eludere le citate finalità dell’istituto ed in particolare quella legata al raggiungimento di precisi obiettivi formativi propri dell’apprendistato.
Richiamando la sentenza della Cassazione 6 giugno 2002, n. 8250 viene precisato innanzitutto come tale problematica non si ponga qualora il soggetto da assumere con contratto di apprendistato professionalizzante abbia svolto in precedenza un periodo lavorativo in forza di una diversa qualifica professionale. In casi analoghi la giurisprudenza di legittimità ha stabilito infatti che il contratto formativo deve ritenersi validamente stipulato
ove le finalità formative traggano origine dal comune interesse delle parti ad un mutamento delle mansioni contrattuali o di quelle precedentemente svolte e, quindi, alla prosecuzione del rapporto di lavoro con mansioni diverse, in quanto in tali situazioni il contratto di formazione può assolvere pienamente alla sua ragione causale, quale mezzo idoneo a promuovere l’acquisizione di nuove professionalità (nell’interesse del lavoratore), oltre che l’esatto adempimento delle diverse mansioni (nell’interesse del datore di lavoro).
Più problematica la fattispecie ove vi sia una coincidenza della qualifica professionale già in possesso del lavoratore con la qualifica cui tende il rapporto di natura formativa.
L’interpello, considerata, come già sottolineato, l’inesistenza di precisi riferimenti normativi e/o di indicazioni di natura contrattuale, ritiene possibile far riferimento alla giurisprudenza in materia di contratto di formazione lavoro che, pur essendo una fattispecie contrattuale diversa, presenta elementi di contiguità con il contratto di apprendistato professionalizzante per quanto attiene ai profili formativi.
Cita pertanto la sentenza della Cassazione 1 novembre 2004, n. 17574 che così aveva statuito:
è ben possibile che un lavoratore già impegnato con un contratto di natura formativa possa essere parte di un ulteriore contratto che abbia come oggetto altro tipo di formazione, anche se astrattamente rientri nella stessa qualifica contrattuale purché l’ulteriore contratto sia idoneo a conferire una professionalità diversa da quella già acquisita.
E dato che il contratto di apprendistato professionalizzante non è volto alla acquisizione di una qualifica professionale ma ad una qualificazione, la risposta al quesito secondo il Ministero impone una valutazione finalizzata a verificare
se, nell’ambito del piano formativo individuale sia ravvisabile un percorso di natura addestrativa di carattere teorico e pratico volto ad un arricchimento complessivo delle competenze di base trasversali e tecnico professionali del lavoratore.
Nell’ambito di questa valutazione appare evidente, a parere del Ministero, che venga ad assumere rilevanza non secondaria anche la durata del rapporto di lavoro precedentemente intercorso con il datore di lavoro, in quanto tale elemento incide inevitabilmente sul bagaglio complessivo delle competenze già acquisite dal lavoratore e per questo fissa il seguente principio:
A mero titolo orientativo, non sembra ammissibile la stipula di un contratto di apprendistato professionalizzante da parte di un lavoratore che abbia già svolto un periodo di lavoro, continuativo o frazionato, in mansioni corrispondenti alla stessa qualifica oggetto del contratto formativo, per una durata superiore alla metà di quella prevista dalla contrattazione collettiva; tale conclusione è dettata dalla necessità che il precedente rapporto di lavoro, sotto il profilo dell’acquisizione delle esperienze e delle competenze professionali, non abbia a prevalere sull’instaurando rapporto di apprendistato.
In sostanza è presto detto: se un lavoratore ha prestato attività per un periodo superiore alla metà della durata di un ipotetico contratto di apprendistato il Ministero ritiene che abbia acquisito quel
bagaglio formativo di nozioni di carattere teorico-pratico quanto più completo possibile, legato non solamente allo svolgimento della mansione assegnata, individuata dalla qualifica contrattuale, ma ad una più complessa ed articolata conoscenza sia del contesto lavorativo che delle attività che in esso sono svolte.
Per converso, se il rapporto ha avuto una durata inferiore, l’acquisizione si presume non avvenuta e il contratto formativo può essere legittimamente stipulato.
Ci limitiamo qui ad evidenziare, senza aggiungere ulteriori commenti, come nei contratti artigiani la metà della normale durata dell’apprendistato possa arrivare anche a due anni e mezzo. Un periodo di tempo decisamente ragguardevole.
Tutto chiaro? No, assolutamente no, perché ad un attenta lettura emerge che nell’interpello il parere è espressamente formulato a mero titolo orientativo, che la dice tutta della inconsistenza giuridica della indicazione ministeriale.
Potremmo addirittura concludere che siamo difronte a un interpello “anomalo”, nel quale si riporta una mera istruzione operativa interna rivolta al proprio personale ispettivo, di fatto invitato a non contestare rapporti di apprendistato instaurati con lavoratori che abbiano avuto precedenti rapporti lavorativi a termine entro i limiti temporali indicati.
Una indicazione di massima che si basa, chiaramente ed essenzialmente, su una sorta di presunzione, in quanto il percorso formativo – che comprende, come abbiamo visto, la complessa ed articolata conoscenza sia del contesto lavorativo che delle attività che in esso sono svolte – può svilupparsi più o meno velocemente sia in funzione delle capacità del lavoratore che della capacità formativa dell’azienda proprio in funzione della complessità delle attività specifiche aziendali e della stessa organizzazione aziendale, più o meno complesse.
A seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012 alla disciplina dell’apprendistato prevista dal D.lgs. n. 167/2011, il Ministero era tornato sulla questione della rilevanza di eventuali pregresse esperienze lavorative, con particolare riferimento a quelle a tempo determinato presso la medesima azienda.
La questione viene descritta come particolarmente delicata perché in caso di accertamento di una qualificazione già posseduta dall’apprendista all’atto dell’instaurazione del rapporto, la circostanza renderebbe nullo il contratto di apprendistato causa l’impossibilità di formare il lavoratore rispetto a competenze di cui è già in possesso.
È pur vero, prosegue la circolare, che un rapporto di lavoro preesistente di durata limitata, anche di apprendistato, non pregiudica la possibilità di instaurare un successivo rapporto formativo. Richiamando i principi già espressi con risposta ad interpello n. 8/2007, anche se riferiti al precedente quadro regolatorio, sottolinea, ancora una volta, che le indicazioni valgono
in mancanza di esplicite previsioni normative o contrattuali.
Le conclusioni che seguono sono le medesime già espresse nell’interpello del 2007, ovvero
occorre valutare se nell’ambito del piano formativo individuale sia ravvisabile un percorso di natura addestrativa di carattere teorico e pratico volto ad un arricchimento complessivo delle competenze di base trasversali e tecnico-professionali del lavoratore. Nell’ambito della valutazione rileva peraltro anche la durata del rapporto di lavoro precedentemente intercorso con il datore di lavoro, in quanto tale elemento incide inevitabilmente sul bagaglio complessivo delle competenze già acquisite dal lavoratore.
A mero titolo orientativo, non sembra ritenersi ammissibile la stipula di un contratto di apprendistato da parte di un lavoratore che abbia già svolto un periodo di lavoro, continuativo o frazionato, in mansioni corrispondenti alla stessa qualifica oggetto del contratto formativo, per una durata superiore alla metà di quella prevista dalla contrattazione collettiva; tale conclusione è dettata dalla necessità che il precedente rapporto di lavoro, sotto il profilo dell’acquisizione delle esperienze e delle competenze professionali, non abbia a prevalere sull’instaurando rapporto di apprendistato.
Come ben sappiamo, le circolari, gli interpelli, i pareri ministeriali per quanto autorevoli non rappresentano che una mera opinione, liberamente valutabile dal giudice in sede di contenzioso. E in questa ottica il convincimento espresso dall’interpello n. 2 del 8 agosto 2017 presumibilmente non assurgerà a punto di riferimento per futuri giudicati.
Se infatti, come abbiamo cercato di dimostrare, le indicazioni ministeriali del 2007, che oggi vengono richiamate, appaiono una mera istruzione operativa ad uso ispettivo – basata essenzialmente sul buon senso e sulla deflazione di un possibile contenzioso – si deve ritenere sprovvisto di rilevanza giuridica l’attuale tentativo ministeriale di definire la portata di quel diritto legale di precedenza che l’art. 24 del D.lgs. n. 81 del 15 giugno 2017 riserva a tutti i lavoratori che, nell’esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda, hanno prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi.
In conclusione non ci può convincere questo interpello che, non solo non si fonda su alcuna lettura (magari discutibile) di una disposizione di legge, non solo richiama indicazioni espresse a mero titolo orientativo con destinatari principalmente i propri ispettori, ma soprattutto e addirittura pare non convincere lo stesso Ministero interpellato.
Questo dubbio nasce dalla chiosa finale dell’interpello n. 2/2017 che così conclude:
In definitiva, in linea con le osservazioni innanzi esposte e ferme restando eventuali diverse disposizioni dei contratti collettivi ai sensi del comma 1 del citato articolo 24, si ritiene che non possa integrare la violazione del diritto di precedenza sia la prosecuzione del rapporto di lavoro dell’apprendista al termine del periodo di formazione, non trattandosi di una nuova assunzione, sia la nuova assunzione di un apprendista nella misura in cui il lavoratore a termine risulti già formato per la qualifica finale oggetto del contratto di apprendistato.
Concetto peraltro ancor più chiaramente espresso nel precedente interpello n. 8/2007 che riferendosi al criterio della irrilevanza dei soli precedenti periodi lavorativi inferiori alla metà di quella prevista dalla contrattazione collettiva, così recitava:
Comunque, l’applicazione di tale criterio, in quanto implica una valutazione delle competenze già in possesso del lavoratore anche ai fini della elaborazione del piano formativo individuale, suggerisce un opportuno coinvolgimento delle parti sociali finalizzato ad una più puntuale considerazione di quei contenuti formativi “diversi ed ulteriori” in grado di giustificare sia l’instaurazione del contratto di apprendistato, sia una eventuale diversa rimodulazione della durata dello stesso proprio in considerazione delle preesistenti esperienze del lavoratore
È evidente come si auspichi che sia la contrattazione collettiva a farsi parte attiva e diligente per una disciplina ad hoc, individuando, in presenza di precedenti periodi lavorativi a termine, quei criteri che consentano o escludano l’accesso al contratto formativo, definendone l’eventuale loro rilevanza sia in termini quantitativi (rimodulazione della durata) che qualitativi (minori contenuti formativi).
Come dire: per il Ministero la metà del periodo è “ragionevole” ma i contratti potrebbero fare valutazioni anche diverse.
Su questo si permetta a chi scrive di nutrire forti dubbi sulla reale capacità della contrattazione collettiva di fissare regole astratte che garantiscano la corretta e oggettiva “valutazione delle competenze già in possesso del lavoratore”, dovendo un’eventuale già raggiunta qualificazione essere accertata caso per caso, e non in base a indicazioni generiche (o prettamente matematiche) che risulterebbero inevitabilmente foriere di pericolosi contenziosi.
Per una regolamentazione di questo tipo sarebbe sicuramente preferibile ed auspicabile uno specifico intervento legislativo.
E questo prima che la contrattazione collettiva e poi la giurisprudenza facciano i soliti danni.