APPALTI SUBAPPALTI CANTIERI: MENO MALE CHE C’È LA CASSAZIONE

Nina Catizone, Consulente del Lavoro in Torino

Non è la prima volta. Già in altre occasioni la Corte Suprema ha dovuto impartire lezioni ai magistrati di merito in materia di sicurezza sul lavoro. Ma questa volta è stata costretta a brandire la bacchetta in un settore quanto mai delicato. Oggi come oggi, sono all’ordine del giorno drammatici infortuni e persino disastri nel mondo degli appalti e subappalti. Eppure, da più parti se ne trae spunto per reclamare l’introduzione di norme che contemplino la responsabilità dei committenti, e ciò -si afferma- in quanto non è accettabile che in caso di morte sul lavoro o infortunio grave, risponda solo l’azienda da cui dipende il lavoratore mentre l’azienda appaltante non abbia alcuna responsabilità. A fronte di questa lamentela, rimango sorpresa. Come possono ancora oggi sfuggire all’attenzione le scelte operate in leggi da anni vigenti nel nostro Paese? Certo, nel lontano passato, i D.P.R. degli anni cinquanta non menzionavano il ruolo del committente. A questo riguardo, illuminante è Cass., sez. Pen., 4 febbraio 2025, n. 4409. Dove si mette in luce che, per lungo tempo, la giurisprudenza di legittimità ha escluso che il committente potesse rispondere delle inadempienze prevenzionistiche verificatesi nell’approntamento del cantiere e nell’esecuzione dei lavori, ponendo tali violazioni a carico del datore di lavoro appaltatore. Una responsabilità concorrente del committente veniva ravvisata quando questi travalicava siffatto ruolo, assumendo in concreto una diversa posizione, mediante l’ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto del contratto ovvero nell’intromissione di fatto nell’esecuzione dell’opera, e ciò in ragione del principio di effettività, sempre sotteso alla materia di cui si tratta. Fu con il D.lgs. 14 agosto 1996, n. 494 che il quadro normativo mutò e che la figura del committente venne espressamente definita (art. 2, comma 1, lett. b), e previsti i suoi obblighi (art. 3). Di qui la trasformazione della figura del committente nella normativa e nella giurisprudenza da soggetto privo di autonoma responsabilità a soggetto che riveste responsabilità proprie. In particolare, il legislatore, al fine di contenere il fenomeno degli infortuni sul lavoro nel campo degli appalti, ha optato per la responsabilizzazione del soggetto per conto del quale i lavori vengono eseguiti, mediante la previsione di tutta una serie di obblighi in capo al committente. Oggi sono addirittura due le basilari discipline vigenti in materia: il Titolo IV, Capo I, e l’art. 26, D.lgs. n. 81/2008 (purtroppo solo la prima richiamata dalla L. n. 56/2024 sulla patente a punti). Prendiamo l’art. 90 del D.lgs. n. 81/2008. Attribuisce al committente una posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l’esecuzione di controlli non formali ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione, di sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute del lavoratore, sicché gli impone pure di accertare che i coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dell’opera adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in materia. Ecco perché a leggere Cass., sez. Pen., 29 gennaio 2025, n. 3715, viene da dire: meno male che la Cassazione c’è. Vediamo il caso. L’esecuzione di lavori di rasatura e intonacatura di un prefabbricato viene affidata a un’impresa. Un lavoratore di tale impresa -nemmeno regolarmente assunto- cade dall’impalcatura da una altezza di circa 1,5 metri, riportando lesioni personali gravissime a seguito delle quali decedeva  dopo plurimi interventi chirurgici. Il fatto è che i ganci di blocco erano malfunzionanti e, quindi, le ruote restavano mobili anche durante l’utilizzo da parte del lavoratore. Con una pronuncia del 19 aprile 2024, il Tribunale assolve il committente: “se anche l’imputato” -afferma- “avesse chiesto all’impresa di esibire le certificazioni richieste, questi avrebbe potuto sostituirle con un’autocertificazione, e soprattutto ciò non avrebbe impedito l’utilizzo di una impalcatura sprovvista dei requisiti di sicurezza”. Ma il P.M. propone ricorso e obietta che è obbligo del committente verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori prescelti, senza limitarsi al controllo dell’iscrizione nel registro dell’imprese, ma verificando la struttura organizzativa dell’impresa e l’adeguatezza rispetto alla pericolosità dell’opera commissionata. Nel redigere un fitto elenco di precedenti e conformi sentenze pronunciate dal 2009 in poi, la Sez. IV annulla con rinvio l’assoluzione. Ricorda che il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l’appaltatore), anche al committente. Ne desume che la responsabilità dell’appaltatore non esclude quella del committente, che è corresponsabile qualora l’evento si ricolleghi causalmente ad una sua omissione colposa. Spiega che l’affermazione della responsabilità del committente presuppone la verifica, in concreto, dell’incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell’appaltatore, alla sua ingerenza nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. Esclude che –“contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale”- l’obbligo di verifica di cui all’art. 90, comma 9, lett. a), D.lgs. n. 81/2008 possa risolversi nel solo controllo dell’iscrizione dell’appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo. Con riguardo al caso di specie, rileva che l’imputato, per sua stessa ammissione, non ha operato alcuna verifica, nemmeno documentale, affidandosi a semplici rassicurazioni verbali, e “in tal modo, non ha operato alcun controllo, nemmeno meramente formale, scegliendo una impresa che, fino a poco tempo prima dell’infortunio, non aveva alcun lavoratore dipendente”. Conclusione. Il Tribunale avrebbe dovuto stabilire se il committente, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa prescelta, la sua capacità organizzativa, in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati (dovendosi raggiungere l’altezza di 3 metri circa), assicurandosi dell’effettiva disponibilità, da parte dell’appaltatore, dei necessari dispositivi di sicurezza, anche se naturalmente la colpa nella scelta dell’impresa, e quindi, ancor prima, l’inidoneità dell’impresa, non potrà essere ritenuta per il solo fatto dell’avvenuto infortunio. E inoltre il Tribunale avrebbe dovuto verificare la presenza o meno di situazioni di manifesto pericolo percepibili direttamente dal committente (presente in cantiere, anche al momento del fatto), e quindi tali da non poter essere ignorate, e ciò in ragione delle circostanze di fatto emerse nel corso del processo, posto che le ruote dell’impalcatura rimanevano mobili durante l’utilizzo. Non senza contare che le modalità semplificate di cui al predetto comma 9, lett. a), riguardano i lavori che non comportano i rischi particolari di cui all’allegato XI), tra cui quelli che espongono i lavoratori a rischi di caduta dall’alto da altezza superiore a 2 metri, nel concorso delle ulteriori circostanze ivi indicate. Ed è un fatto che il lavoro affidato prevedeva la necessità quantomeno di raggiungere la quota di 3 metri. Più che mai, in un momento in cui tanto si discute di riforme della giustizia penale, si avverte in settori come la sicurezza sul lavoro l’esigenza di una magistratura di merito specializzata.


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