Ne è passato di tempo dalle faticose lotte italiane per il ruolo della donna1, dalle battaglie per il suffragio2, da quando l’affacciarsi della donna alla vita sociale era visto con “più di un sospetto malevolo per questa sovra- esposizione femminile in territorio maschile e per una altrimenti inaudita promiscuità”3, tanto che pensare di avere ancora oggi l’esigenza e il dovere di parlare di parità di genere sembra una follia.
Eppure, è così. Non sempre con il tempo si sistema tutto e non sempre il tempo cura le ferite. Riconoscere, ancora oggi, la persistente necessità di mettere in atto quelle azioni positive volte ad assicurare l’eguaglianza sostanziale (in questo caso tra donna e uomo), così come sancito dall’art. 3, comma 2 della Costituzione, è un qualcosa che arreca tristezza. Soprattutto se si pensa che già 50 anni fa si ravvisava l’insopportabile squilibrio di genere, caratterizzato ad esempio dalla “supremazia marita- le”4, che portava alla Riforma del diritto di famiglia di cui alla L. n. 151/1975.
Ma è così, ce lo dicono e confermano studi5, indici6 e analisi7 che ci schiaffeggiano con la dura realtà. Una realtà che denota in Italia un gender gap presente in linea generale, oltreché riferibile più specificatamente al mondo del lavoro, nonostante già nel 1975, con la surrichiamata Riforma, si riconosceva come “Il la- voro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo”8.
D’altra parte, “Che il mercato del lavoro, lascia- to alle sue spontanee dinamiche e fluttuazioni, possa incoraggiare differenze di trattamento e disuguaglianze, è in sé e per sé inconfutabile ed appare un dato per così dire normale”9, non esistendo peraltro un reale principio generale di parità di trattamento10; tuttavia tale dato manifesta l’esigenza improrogabile di un non facile cambio di cultura, così da abbattere “gran parte degli stereotipi e degli orientamenti che nei luoghi di lavoro spesso bloccano le donne in posizioni subalterne e di servizio”11.
Invero, in questo momento storico, obiettivi impegni e fondi sembrano convergere tutti fortemente al “sostegno del principio della parità di genere in tutte le sue forme e attività”12 (oltreché verso ulteriori temi certamente sensibili, quali l’ambiente e la sostenibilità). In particolare, tra i tanti:
– Agenda 2030, all’obiettivo n. 5, mira a “Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze”.
– Il Pnrr considera la parità di genere tra le tre priorità principali e trasversali in termini di inclusione sociale.
Ebbene, tenuto conto di tutto quanto detto, oggi come Consulenti del Lavoro abbiamo una possibilità, da tramutare in missione: stimolare la parità di genere consigliando la relativa certificazione di cui all’art. 46-bis, comma 1, D.lgs. n. 198/2006, posto che “La misura ha lo scopo di assicurare una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e ridurre il gender pay gap attraverso la creazione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere, che dovrà migliorare le condizioni di lavoro
delle donne anche in termini qualitativi, di remunerazione e di ruolo e promuovere la trasparenza sui processi lavorativi nelle imprese”13.
Suggerire la certificazione, quindi, come riconoscimento di un comportamento meritevole. Come la giusta medaglia consegnata “al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere”14. Un attestato che non è, come evidente, solo di facciata, ma che è frutto di un apposito Tavolo di lavoro sulla certificazione di genere, coordinato dal Dipartimento per le Pari Opportunità in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministero dello Sviluppo Economico15, e pertanto fortemente valevole.
E non si tratta di incentivare la certificazione solo perché foriera di tante agevolazioni e trattamenti di favore per il datore di lavoro ottemperante16. Come, d’altra parte, non si intende stimolare il comportamento per le correlate nuove opportunità professionali per il Consulente del Lavoro, certamente presenti e indubbiamente stimolanti17.
Ma è, soprattutto, per motivi dai tratti ben più nobili ed etici: il rispetto della Costituzione, il rispetto della Storia e il rispetto di chi ha lottato e ha sofferto per piccoli e grandi traguardi, talvolta dati per scontati.
1. Tra i tanti aspetti, si veda quanto scritto da F. Taricone: “Il risveglio e l’educazione politica di sei milioni di lavoratrici rappresenteranno la forza nuova per la vittoria su tutte le ingiustizie”, in La Difesa delle Lavoratrici: socialiste a confronto, Laboratoire italien, OpenEdition Journals.
2. Cfr. sito istituzionale Struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale e per la promozione degli eventi sportivi di rilevanza nazionale e internazionale, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Le donne e il voto del 1946: “Il diritto del voto alle donne è una grande conquista seppur recente […] All’inizio del secolo scorso la donna era ritenuta una sorta di accessorio dell’uomo”.
3. Così M. Isnenghi, G. Rochat, La Grande Guerra,
1914-1918, Sansoni, p. 334.
4. Così L. Menghini, Nuovi valori costituzionali e volontariato, Giuffrè Editore, Milano, 1989, pp. 30 e 31.
5. Cfr. A. Zilli, Un altro 8 marzo: i conti delle serve, in Equal Il diritto antidiscriminatorio, 8 marzo 2023.
6. Cfr. Global Gender Gap Report 2022, del World Economic Forum. In particolare, il “The Global Gender Gap Index 2022 rankings”, ivi contenuto, pone l’Italia al 63° posto della classifica mondiale sul Gender Gap, mentre il “The Global Gender Gap Index rankings by region, 2022” la pone al 25° in Europa.
7. Cfr. V. Di Santo, Le proposte dei partiti per ridurre il gender gap. Un’analisi, in Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
8. Art. 230-bis, comma 2, cod. civ.
9. Così G. Fontana, Il problema dell’uguaglianza e il diritto del lavoro flessibile, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 398/2019, p. 168.
10. Cfr. A. Vallebona, A. D’Andrea, Discriminazioni e parità di trattamento nel rapporto di lavoro, in Il
diritto Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, diretto da A. Patti, Vol. 5, p. 473; in giurisprudenza cfr. Cass. SS.UU. n. 6030/1993.
11. Così I. Armaroli, S. Negri, La certificazione della parità di genere: siamo solo agli inizi, in Bollettino
ADAPT 19 settembre 2022, n. 31.
12. Cfr. Camera dei Deputati, Documentazione parlamentare, Aree Tematiche, Studi – Istituzioni Costituzione, diritti e libertà, Parità di genere.
13. Cfr. Sito istituzionale Italia Domani, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Investimenti, Sistema di certificazione della parità di genere.
14. Art. 46-bis, D.lgs. n. 198/2006.
15. Cfr. Pnrr, missione 5, componente 1, investimento 1.3.
16. Trattasi dei cosiddetti “Meccanismi di incentivazione” legati al possesso della Certificazione della parità di genere, tra cui: l’esonero dal versamento di una percentuale dei complessivi contributi previdenziali; il riconoscimento di un punteggio premiale per la valutazione di proposte progettuali, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, ai fini della concessione di aiuti di Stato
a cofinanziamento degli investimenti sostenuti; la diminuzione della garanzia prevista per la partecipazione alle procedure di gara di appalto da parte di aziende certificate e la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di istituire sistemi premiali nei bandi gara.
17. La certificazione della parità di genere si consegue secondo le indicazioni contenute nella Prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, la quale individua una serie di indicatori prestazionali, generalmente ottenibili e misurabili tramite l’apporto e le competenze del Consulente del Lavoro.