ACCORDO STATO-REGIONI: PERCORSI FORMATIVI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA*

Antonella Rosati, Ricercatrice del Centro studi Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano

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Analisi di A. Staffieri dell’Accordo Stato-Regioni sulla sicurezza: una rivoluzione nella formazione sulla sicurezza

Dopo un’attesa durata quasi tre anni, il 17 aprile 2025 la Conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome di Trento e Bolzano ha approvato il nuovo Accordo Stato-Regioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 119, serie generale, del 24 maggio 2025. Ci troviamo al cospetto di un Accordo “quadro” che, dopo aver abrogato l’Accordo del 25 luglio 2012 contenente le “Linee applicative” degli Accordi del 21 dicembre 2011, ha unificato i pregressi testi normativi in materia. L’Accordo 17 aprile 2025, n. 59/CSR ha introdotto le seguenti novità: – soggetti formatori: viene richiesta una esperienza documentata di almeno tre anni per i formatori; – formazione dei preposti: viene incrementata la durata minima del corso per preposti da sei a dodici ore da effettuarsi esclusivamente in presenza non essendo consentita la modalità e-learning per tale attività formativa; – formazione dei dirigenti: la durata del corso viene ridotta da sedici a dodici ore; – formazione dei datori di lavoro: viene introdotto un nuovo corso della durata di sedici ore nonché un modulo formativo aggiuntivo di sei ore per i cantieri; – formazione dei lavoratori, datori di lavoro e lavoratori autonomi che operano in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, con aggiornamento da effettuarsi con cadenza quadrimestrale, di durata minima di quattro ore di carattere pratico; – verifica obbligatoria dell’apprendimento: verifica da effettuarsi sia in itinere (cioè durante lo svolgimento della formazione) che al termine del modulo formativo. Inoltre, tra le varie novità si rammenta che: – il corso di formazione per Addetto al Servizio prevenzione e protezione (ASPP) rispetto al passato copre in maniera integrale la formazione del datore di lavoro che svolge direttamente i compiti del servizio di prevenzione e protezione (DL SPP); – il corso di formazione per Datore di lavoro non copre più la formazione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS); – l’aggiornamento per dirigenti e lavoratori non esonera più dallo svolgimento del corso di aggiornamento per preposto.

VERSO UNA SICUREZZA DEL LAVORO “INCLUSIVA”

L’Accordo ha previsto tre grandi novità in materia, vale a dire: – l’introduzione di moduli formativi obbligatori, per tutti gli attori della sicurezza sul lavoro (datori di lavoro, dirigenti, preposti, lavoratori) specifici in materia di prevenzione delle violenze e delle molestie nei luoghi di lavoro; – l’introduzione di una formazione ad hoc in materia di accomodamenti ragionevoli; – l’inclusione di ausili per la comprensione linguistica, destinati ai dipendenti provenienti da altri Paesi. È evidente il cambio di paradigma in materia che, al fine di creare ambienti di lavoro sicuri e armoniosi, segna il passaggio dalla sicurezza dei “luoghi” di lavoro alla sicurezza del “capitale umano”.

MODULI FORMATIVI SULLE MOLESTIE E VIOLENZE NEI LUOGHI DI LAVORO

L’Accordo in esame prevede, infatti, una formazione obbligatoria in materia di prevenzione e contrasto alle molestie nei luoghi di lavoro, con riferimento esplicito alla Convenzione OIL n. 190/2019. Tale Convenzione, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 e ratificata in Italia con la legge 15 gennaio 2021, n. 4, ha accolto, in particolare: – una nozione ampia di molestie, di natura sostanziale che tutela tutte le diverse figure operanti a vario titolo nel contesto organizzativo e riconduce nell’ambito dei comportamenti molesti anche quelle condotte vessatorie o di “costrittività organizzativa”; – la natura oggettiva delle condotte moleste, essendo irrilevante la volontà da parte dell’autore del comportamento di nuocere alla vittima, con conseguente semplificazione dell’onere probatorio a carico di quest’ultima; – la riconduzione delle molestie e delle violenze fra i fattori di rischio lavorativo, da qui la necessità di includere il rischio molestie nell’ambito del Documento di valutazione dei rischi (DVR) e, in particolare, tra i c.d. “rischi psicosociali”1 .

FORMAZIONE SUL TEMA DEGLI ACCOMODAMENTI RAGIONEVOLI

I datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della Legge 3 marzo 2009, n. 81, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. Per accomodamento ragionevole si intende ogni soluzione organizzativa praticabile che miri a salvaguardare il posto di lavoro del disabile in un’attività che sia utile per l’azienda e imponga all’imprenditore, oltre che al personale eventualmente coinvolto, un sacrificio che non ecceda i limiti di tollerabilità e sia considerato accettabile secondo la comune valutazione sociale. Tuttavia, la normativa prevede dei limiti all’obbligo datoriale di adozione degli accomodamenti ragionevoli, nel senso che essa prevede alcune soluzioni esimenti. Ciò accade qualora tali soluzioni comportino per il datore o la datrice di lavoro “un onere sproporzionato ed eccessivo”, siano sproporzionate e alterino l’equilibrio interno. Al di fuori di tali tre limiti, la mancata adozione di un accomodamento ragionevole costituisce un atto discriminatorio e, come tale, affetto da nullità. Qualora non sia possibile l’adozione dell’accomodamento ragionevole richiesto dalla persona in condizione di disabilità, il procedimento amministrativo si concluderà con l’adozione di un provvedimento di diniego che dovrà essere adeguatamente motivato, indicando, tra l’altro, la soluzione di diversa natura ritenuta dalla parte datoriale ragionevole e proporzionata al caso di specie. Avverso tale diniego, è possibile ricorrere all’Autorità giudiziaria promuovendo il rito semplificato di cognizione, disciplinato dall’art. 28 del D.lgs. n. 150/20112, che prevede un alleggerimento dell’onere della prova spettante al ricorrente, limitandosi a fornire gli elementi di fatto idonei a integrare una presunzione di avvenuta discriminazione, mentre grava sul convenuto l’onere di dimostrare l’insussistenza della discriminazione.

INCLUSIONE LINGUISTICA DEL PERSONALE PROVENIENTE DA ALTRI PAESI

Relativamente al lavoro degli stranieri extra UE in Italia, l’art. 9, comma 2-bis, del D.lgs. n. 286/1998 (TU sull’immigrazione) e il successivo “Accordo di integrazione” (D.P.R. 14 settembre 2011, n. 1179) subordinano la conoscenza della lingua italiana alla permanenza e alla possibilità stessa di continuare a soggiornare e a lavorare in Italia. A tal fine, sono molteplici gli accorgimenti che possono essere adottati dalle organizzazioni per garantire un’effettiva inclusione linguistica nei luoghi di lavoro, come ad esempio: – la somministrazione di un test aziendale di ingresso, volto alla verifica della comprensione della lingua italiana sui temi legati alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; – la previsione di unità di rinforzo linguistico, qualora il test somministrato dovesse evidenziare delle criticità nella comprensione della lingua italiana. Qualora il datore non adempia sarà tenuto a rispondere di ogni eventuale infortunio che si verifichi sul posto di lavoro proprio in conseguenza della mancata consapevolezza del rischio da parte del lavoratore. Pertanto, in caso di violazione di tale obbligo, è ascrivile al datore di lavoro la responsabilità dell’eventuale infortunio cagionato al dipendente straniero attesa la “sussistenza di un nesso causale tra la omessa somministrazione al lavoratore di un’adeguata formazione, in una lingua che egli avrebbe potuto comprendere, (essendo egli di nazionalità indiana) e non già in lingua italiana, circa le modalità con cui procedere all’operazione che stava eseguendo e l’infortunio” 3 .

1. Art. 28 del D.lgs. n. 81/2008.

2. Rubricato «Delle controversie in materia di discriminazione»

3. Cass. pen., sez. IV, 8 aprile 2015, n. 14159.

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