WELFARE PER I TIROCINANTI: una contraddizione in termini?

di Marco  Tuscano, Consulente del lavoro in Brescia

Un orientamento di qualche anno fa dell’Agenzia delle Entrate considera possibile, senza dubbio alcuno, integrare in un sistema di welfare gli stagisti.

Nel dettaglio, si fa riferimento alla risposta a interpello n. 10 del 2018, che così si espresse: “nel caso in esame lo stagista, essendo ricompreso nella categoria di dipendenti […] potrà godere del regime esentativo previsto dalla lettera f) del comma 2 dell’articolo 51 del TUIR relativamente al servizio […] previsto nel Piano Welfare1.

Orbene, pur nella piena consapevolezza che un intervento di prassi non rappresenta una fonte normativa, il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate appare piuttosto lapidario e dirimente.

A questo punto della riflessione, preme soffermarsi sulla natura delle varie fattispecie chiamate in causa.

Com’è noto, il tirocinio è, ex lege, “un percorso formativo di alternanza tra studio e lavoro, finalizzato all’orientamento e alla formazione professionale, anche per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”2, il quale “non costituisce rapporto di lavoro e non può essere utilizzato in sostituzione di lavoro dipendente”3. Per quanto riguarda il welfare, invece, non esistendo un’univoca definizione giuridica, la quale pare rinvenibile a “macchia di leopardo”4 nel nostro ordinamento giuridico, urge indagare sulla reale natura dello strumento, il quale nasce, storicamente,

  1. per mirare ad “un miglioramento nella produttività dei dipendenti, maggiormente motivati”, così come affermato dal Ministero del Lavoro5,
  2. inizialmente, tramite forme di previdenza integrativa6, chiaramente non previste per il “lavoro” del tirocinante, ovvero di sanità integrativa7, spesso imbastita sul perno fondamentale fornito dalla contrattazione collettiva (cui lo stagista astrattamente non è soggetto);
  3. per poi sfociare nelle forme attuali di welfare aziendale unilaterale o bilaterale, che niente o poco attengono alle forme non lavorative stricto sensu 8.

E, non a caso, autorevole dottrina ne ha sottolineato l’utilità, in particolar modo al fine del “miglioramento del clima aziendale, fidelizzazione e senso di appartenenza dei dipendenti, attrazione delle alte professionalità, risultati positivi sia per l’azienda (riduzione dell’assenteismo, livello di engagement del dipendente, qualità della produzione), sia per i dipendenti (risparmi dei tempi e delle spese personali e familiari, migliore rapporto fra quanto erogato dall’azienda e quanto percepito)”9.

Di certo, si è ben coscienti che il Tuir, ai sensi dell’art. 50, co. 1, lett. c), assimili il reddito prodotto dai tirocinanti a quello dei lavoratori dipendenti, eppure il tema non pare unicamente e strettamente fiscale10. Più approfonditamente, se applicare e garantire forme di welfare pare già di per sé una scelta matura e consapevole, che richiede coscienza e conoscenza fiscale, lavoristica, organizzativa e di psicologia, invero prevederle per i tirocinanti potrebbe risultare, ben più semplicemente, una contraddizione in termini. Come visto, il welfare nasce e cresce con l’intento di fidelizzare il dipendente, di motivarlo o attrarlo. Come potente arma, e premurosa coccola, espressamente costruita e architettata al fine di aumentare “tanto la soddisfazione dei lavoratori quanto la loro produttività, contribuendo in questo modo alla diffusione di un clima aziendale sereno, nonché alimentando la capacità di attrarre i migliori talenti” (parola del Ministero del Lavoro!11).

Lo stagista, tuttavia, non è di certo un lavoratore dipendente. E anzi, la sua scelta formalizzata di instaurare un tirocinio, le sue conseguenti attenuate responsabilità rispetto ad un rapporto di lavoro, e gli obiettivi stessi sottesi al percorso, non giustificano e non richiedono né una fidelizzazione (lo strumento nasce con fini orientativi) né, tantomeno, un aumento di produttività, laddove la produttività non dovrebbe essere richiesta.

D’altra parte, a quanto detto, si potrebbe ribattere che tutto ciò che è dato in più è, come tale, da apprezzarsi.

Invero, anche battendo strade parallele, la materia lavoristica non pare sempre ammettere trattamenti migliorativi rispetto a quelli base, nel rispetto dell’essenza delle fattispecie: si pensi all’ipotesi che all’apprendista sia corrisposta una retribuzione maggiore rispetto a quella dei lavoratori qualificati, il che risulta, com’è noto, di fatto non possibile12, poiché in evidente contrasto con la posizione di chi lavora certo, ma anche e fortemente per apprendere.
Non si può considerare, quindi, come assoluto principio in ambito lavoristico, la possibilità di prevedere trattamenti in melius, laddove gli stessi risultino in contrasto con la natura dello strumento, o con la singola fattispecie. E quanto detto, a parere di chi scrive, risulta da applicarsi anche all’alveo dei tirocini: una evidente impossibilità che nasce al cospetto dell’essenza orientativa del periodo.
Se fidelizzazione o engagement è richiesto, evidentemente, si è già in presenza di un lavoratore (e non tirocinante) che, come tale, esige un contratto di lavoro, ossia la completa e corretta ripartizione dei diritti e doveri in capo alle parti: non si tratta quindi di negare un qualche cosa, ma di riconoscere, presumibilmente, l’esistenza di presupposti differenti, al fine di consegnare l’intero novero dei corretti trattamenti (tra cui anche il welfare).
Come spesso accade, ad una attenta (ma anche personale) riflessione, prassi, norme e obiettivi potrebbero non risultare pienamente coerenti.
Ed è qui che subentra il ruolo di uno degli attori principali: il Consulente del Lavoro, Professionista del settore, il quale indubbiamente ha il dovere di presentare al cliente l’orientamento degli enti, ma che, certo, ha anche il potere, dai tratti etici e nobili, di illustrare la reale finalità e la logica degli strumenti.
D’altronde, in conclusione, non si dimentichi che “Il Consulente del Lavoro, in ogni sede, tutela la legalità e la dignità del lavoro, tenuto conto del rilievo costituzionale e sociale dei contenuti a fondamento della professione”13.

1. L’art. 51, co. 2, lett. f), Tuir, recita: “l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100”, laddove l’art. 100, comma 1, recita: “Le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi”.
2. Art. 1, co. 720, L. n. 234/2021.
3. Art. 1, co. 723, L. n. 234/2021.
4. Così AA.VV., Il manuale del welfare per il consulente del lavoro, Teleconsul editore, 2019.
5. Così il sito istituzionale Cliclavoro, al link
https://www.cliclavoro.gov.it/pages/it/my_homepage/news/trend_interviste/trend_detail/?contentId=BLG13779 .
6. Cfr. T. Treu, Introduzione Welfare aziendale, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 297/2016, p. 11.
7. Ibidem.
8. Sempre T. Treu, op. cit., pone in atto alcune riflessioni in tema di welfare e lavoro atipico, denunciando il rischio di precarizzazione nel caso non siano previste forme di welfare per i lavoratori appartenenti a tale bacino. Tuttavia, l’Autore nell’opera non include espressamente all’alveo dei lavoratori atipici i tirocinanti.
9. Così T. Treu, op. cit., p. 21 e 22.

10. Ad evidenza delle differenze tra le norme di rango fiscale e quelle di tipo lavoristico, si valutino le Faq della Regione Lombardia in materia di tirocini: “nei casi di soggetti beneficiari di indennità NASpI titolari di borse lavoro, stage e tirocini professionali, premi o sussidi per fini di studio o addestramento professionale – pur a fronte dell’assimilazione, ai fini fiscali, delle somme percepite ai redditi da lavoro dipendente – non si ravvisa lo svolgimento di un’attività lavorativa prestata dal soggetto con correlativa remunerazione. In tali ipotesi, pertanto, le remunerazioni derivanti da borse lavoro, stage e
tirocini professionali, nonché i premi o sussidi per fini di studio o di addestramento professionale sono interamente cumulabili con l’indennità NASpI e il beneficiario della prestazione non è tenuto ad effettuare all’INPS comunicazioni relative all’attività e alle relative remunerazioni”.
11. Nuovamente, il sito Cliclavoro.
12. Sebbene, si chiarisce, la norma parli di semplice possibilità di retribuire in misura inferiore l’apprendista (cfr. art. 25, co. 5, lett. b), D.lgs. n. 81/2015), in linea con alcuni importanti precedenti orientamenti di prassi (cfr. circolare Min. Lav. n. 30/2015), è dato alla contrattazione collettiva il compito di delineare il corretto trattamento retributivo per il rapporto a causa mista. La stessa, in via generale, indica strettamente la retribuzione da corrispondere, sempre inferiore a quella del lavoratore qualificato (Cfr. Ccnl Studi Professionali Cipa, Ccnl Metalmeccanica industria, Ccnl Terziario distribuzione e servizi Confcommercio).
13. Art. 1, co. 1, Codice deontologico dei Consulenti del lavoro.


Scarica l'articolo