Una proposta al mese – RENDIAMO IL DURC veramente positivo

di Manuela Baltolu, Consulente del lavoro in Sassari

E non è necessario perdersi
in astruse strategie,
tu lo sai, può ancora vincere
chi ha il coraggio delle idee.
(R. Zero, “Il coraggio delle idee”)

Compie tra poco 16 anni, ormai è quasi “maggiorenne” ma, a quanto pare, non ancora “matura” – per usare il termine scolastico che dovrebbe sancire l’avvenuta crescita cognitiva dello studente – la norma che da luglio 20071 ha subordinato la spettanza di benefici normativi e contributivi ad una serie di condizioni imprescindibili, ovvero il possesso da parte dei datori di lavoro del documento unico di regolarità contributiva – Durc con esito regolare, oltre al rispetto degli altri obblighi di legge nonché degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali, territoriali o aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Sempre nel mese di luglio, nel 20152, la procedura di richiesta del Durc è stata resa completamente telematica e da diversi anni, pertanto, aziende e professionisti hanno a che fare con il “grande fratello” Durc, la cui finalità è certamente encomiabile, ovvero consentire la partecipazione a bandi ed appalti e premiare mediante facilitazioni contributive e normative solo le aziende perfettamente in regola con il pagamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi ma, purtroppo, date le molteplici criticità della procedura che porta al tanto agognato rilascio del certificato, per molte aziende e di riflesso per chi, come noi, le assiste, è diventato un vero e proprio “strumento di tortura”, che ha dato adito a numerosi procedimenti legali.
Come noto, laddove vi è un cospicuo contenzioso vi è evidentemente poca chiarezza normativa e/o farraginosità delle procedure.
Orbene, semplificare, nel senso letterale del termine “Rendere semplice o più semplice; rendere più agile e funzionale; facilitare, agevolare, alleggerire 3”, può certamente comportare una riduzione delle   controversie, con risparmio di tempo e di denaro pubblico e privato nonché, risultato ben più importante, coadiuvare le aziende, soprattutto le micro imprese che, ricordiamo, costituiscono oltre il 90% del nostro tessuto produttivo, a ristabilire la regolarità nel momento in cui si fosse perduta, per tutta una serie di motivazioni che possono andare dalla banalissima momentanea mancanza di liquidità
all’errore formale. Le imprese prive di Durc regolare non possono accedere a benefici che spesso rappresentano quella piccola ma indispensabile boccata di ossigeno nell’ambito della riduzione del costo contributivo dei rapporti di lavoro, che sappiamo bene essere nel nostro paese il secondo nell’area Ocse4, oltre ad aver preclusa la partecipazione a bandi, appalti ed affidamenti pubblici. Permettere ai datori di lavoro un accesso più semplice alla regolarità significherebbe rendere liquidi i crediti provenienti dalla pubblica amministrazione in primis, ma anche dai privati, favorendo un atteggiamento di fiducia nel futuro, che gioco-forza porterebbe ad una maggiore predisposizione agli investimenti volti alla crescita aziendale e, di conseguenza, con immancabili effetti positivi sull’intero sistema economico.
Ad oggi purtroppo, anche dal punto di vista amministrativo, i paletti sono parecchi, ma la buona notizia è che con piccoli interventi si potrebbero ottenere grandi risultati.
Tanto per cominciare, il Durc ha una validità di 120 giorni dalla data di effettuazione della verifica5, ma nella quasi totalità dei casi tale  periodo viene considerato decorrente, invece, dalla data in cui viene inoltrata la richiesta telematica. Inoltre, la richiesta non può essere inoltrata se non a partire dal giorno successivo alla scadenza del Durc precedentemente valido.
Ipotizziamo dunque che si richieda il Durc in data 1° marzo; poiché gli enti coinvolti hanno 30 giorni di tempo per il rilascio, il documento potrebbe essere emesso il 31 marzo, ma scadrà il 28 giugno (120 giorni dalla data della richiesta, cioè dal 1° marzo).
Il Durc successivo potrà essere richiesto solo a partire dal 29 giugno e, per effetto dei 30 giorni di cui sopra, potrebbe essere emesso anche il 29 luglio (ovviamente con data di validità 29 giugno e via discorrendo). In sostanza l’azienda potrebbe restare orfana di Durc dal 29 giugno al 29 luglio, e nelle dinamiche aziendali sappiamo bene cosa significa procrastinare gli incassi di un mese, ovvero non poter accedere ad agevolazioni, partecipare ad appalti ecc., con l’aggravante del particolare momento post  covid ed in costanza delle conseguenze derivanti dal conflitto russo ucraino relative al caro gas ed energia, nonché all’aumento dell’inflazione ed al conseguente rincaro del costo della vita.
In considerazione dei 30 giorni di tempo concessi agli enti per emettere il certificato, ci sembra quantomeno doveroso concedere agli utenti di poter richiedere il nuovo documento almeno 30 giorni prima della scadenza, al fine di evitare “vuoti” come descritto nell’esempio.
Tra l’altro, anche far decorrere la validità del documento dalla data di emissione e non dalla data della richiesta, dovrebbe essere una conseguenza piuttosto logica.
Soffermandoci sulle tempistiche di rilascio che, come detto, possono arrivare fino a 30 giorni, definire inadeguato il termine di 15 giorni concesso al contribuente per regolarizzare è un eufemismo, come lo è considerare tali 15 giorni di calendario anziché lavorativi, poiché siamo tutti consapevoli che enti  pubblici e banche osservano prevalentemente la chiusura nei giorni festivi e prefestivi e, pertanto, spesso riuscire a sanare eventuali scoperti diventa veramente un’impresa titanica. Per non parlare delle  situazioni in cui le aziende sono costrette a chiedere una dilazione del pagamento, dovendo in tali casi attendere obbligatoriamente i tempi di lavorazione delle pratiche, evidentemente indipendenti dalla loro volontà, che la L. n. 241/1990 fissa in 30 giorni (termine ordinario per l’emissione del provvedimento di autorizzazione al pagamento dilazionato)6, palesemente in contrasto con i 15 giorni concessi al contribuente per regolarizzare. È utile ricordare che senza la notifica del piano di  ammortamento del debito, non è possibile versare la prima rata e, quindi, accedere alla regolarizzazione.
A tal fine quindi, portare il termine della regolarizzazione a 30 giorni lavorativi pare veramente il minimo sindacale, termine che dovrebbe essere elevato a 45 giorni in caso di  richiesta di dilazione.
A sostegno di quanto proposto, se la stessa norma prevede che “L’interessato, avvalendosi delle procedure in uso presso ciascun Ente, può regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a 15 giorni dalla notifica dell’invito di cui al comma 1”, il Ministero del lavoro nella circolare n. 19/2015, ha chiarito che “tuttavia gli istituti non potranno dichiarare l’irregolarità qualora la  regolarizzazione avvenga comunque prima della definizione dell’esito della verifica che altrimenti attesterebbe una situazione – il mancato versamento di somme dovute – non corrispondente alla realtà. Conseguentemente, il rilascio del Durc terrà conto dell’avvenuta regolarizzazione, che in ogni caso dovrà avvenire prima del trentesimo giorno dalla data della prima richiesta”.
Alla luce di ciò appare ancor più ragionevole estendere tout court il termine per la regolarizzazione, oltre alla necessità di prevedere la riapertura del Durc irregolare qualora l’istruttoria sia stata ultimata ed il certificato emesso prima dei 30 giorni, ma il contribuente abbia nel frattempo regolarizzato entro tale  termine, anche se successivo all’emissione del documento, purché all’interno dei 30 giorni.
D’altronde sono note le lungaggini derivanti dalle più disparate casistiche, quali ad esempio i debiti in fase legale-amministrativa appena “ceduti” all’agente della riscossione, il cui ruolo esecutivo non sia ancora stato formato; in tale fattispecie non è possibile saldare il debito presso l’agente della riscossione, in quanto non ancora formalizzato, né presso l’istituto di previdenza, in quanto non più in fase legale- amministrativa. Anche qualora gli importi siano già iscritti a ruolo si verifica comunque un allungamento dei tempi di risoluzione della situazione debitoria, poiché l’eventuale richiesta di dilazione deve essere lavorata da un ente terzo rispetto ad Inps ed Inail; pertanto, in presenza di debiti a ruolo e non, occorre operare su due ambiti paralleli, ovvero, con l’Agenzia delle Entrate per le somme in cartella esattoriale, e con gli enti per i restanti importi.
Se poi, come spesso accade, le gestioni con esposizioni debitorie sono più di una, per fare un banale esempio, DM10, Gestione separata e Gestione autonomi artigiani, le corsie su cui lavorare si moltiplicano e vi è l’ulteriore aggravio di dover inviare a ciascuna gestione l’allegato “SC18”, con il riepilogo degli importi dovuti su tutte le altre gestioni, con esclusione di quella a cui si invia; in pratica, nel caso prospettato, è necessario produrre tre diversi “SC18”, ognuno dei quali soggiace alle tempistiche di lavorazione delle tre diverse gestioni.
Appare allora chiara l’urgenza di un sistema unitario, che permetta alle singole gestioni di comunicare e poter avere contezza in tempo reale della regolarizzazione operata anche negli altri comparti.
Altra criticità è costituita dal “periodo di osservazione” della regolarità ai fini del Durc, ovvero la verifica che gli enti devono operare che non può arrivare oltre il secondo mese precedente la richiesta7.
Questa apparente facilitazione non è però operativa in caso di domanda di dilazione che, come noto, deve comprendere tutto il debito esistente alla data di inoltro della domanda stessa, annullando di fatto il limite di verifica al secondo mese precedente la richiesta di Durc.
Sarebbe logico, pertanto, adeguare anche il sistema di dilazione alla verifica ai fini del Durc, consentendo di rateizzare solo ciò che concretamente viene esposto nel preavviso di irregolarità, senza andare oltre.
In aggiunta a ciò, molte sedi Inps esigono anche l’invio del modello Uniemens riferito all’ultimo mese di retribuzioni, nonché il relativo pagamento, anche se entrambe le scadenze non sono ancora spirate.
In pratica, per chiudere un Durc entro il giorno 10 del mese di marzo, ad esempio, viene preteso l’invio del modello Uniemens riferito a febbraio, la cui scadenza è al 31 marzo, ed il pagamento di quanto  dovuto, benché la scadenza sia al 16 di marzo.
L’intera istruttoria gioverebbe di un importante snellimento se venisse identificata un’unica dead line di riferimento dei controlli di regolarità, verosimilmente stabilita nel secondo mese precedente all’inoltro della richiesta.
Fin qui sono state esaminate le possibili modifiche di tipo amministrativo, che incidono prevalentemente sulla parte gestionale-operativa di rilascio del Durc, ma non possiamo non spendere qualche parola sulle problematiche di merito, tutte peraltro già affrontate in più round dalla giurisprudenza nonché da questa stessa Rivista.
La prima considerazione doverosa riguarda la corretta decorrenza del disconoscimento delle agevolazioni in caso di Durc irregolare. L’Ispettorato nazionale del lavoro nella circolare n. 3/2017 afferma che “L’assenza del Durc chiaramente determina il mancato godimento dei benefici di cui gode l’intera compagine aziendale per il relativo periodo, così come del resto già chiarito dal Ministero del lavoro con risposta ad interpello n. 33/2013, secondo l a quale “una volta esaurito il periodo di non rilascio del Durc l’impresa potrà evidentemente tornare a godere di benefici “normativi e contributivi”, ivi compresi quei benefici di cui è ancora possibile usufruire in quanto non legati a particolari vincoli temporali”. È quindi lapalissiano che in presenza di Durc non regolare il disconoscimento dei benefici
eventualmente spettanti potrà avvenire solo per il periodo in cui l’irregolarità sia stata accertata e fino all’avvenuta regolarizzazione, cioè per il lasso di tempo intercorrente tra l’emissione del Durc non regolare e il successivo rilascio del Durc regolare.
Ma, ahimè, tra gli operatori è tristemente nota la prassi utilizzata da molte sedi Inps che procedono al recupero di tutti i benefici fruiti nei 5 anni precedenti l’accertata irregolarità, in applicazione della prescrizione quinquennale.
Ebbene, tale applicazione restrittiva non è certamente condivisibile, poiché il beneficio contributivo
costituisce un diritto in capo all’impresa, derivante dal rispetto di determinate condizioni stabilite dalla normativa di riferimento, allorquando si stipulino determinate tipologie contrattuali, con determinate tipologie di soggetti, aventi determinate tipologie di requisiti, diritto che, evidentemente, non viene generato con l’emissione del Durc. Il co. 1175, art.1 della L. n. 296/2006, subordina la mera continuità di applicazione dei benefici alla presenza del Durc regolare, che costituisce quindi una sorta di autorizzazione al proseguimento della fruizione, assunto pienamente sposato dall’interpretazione dell’Inl.
Altro boccone amaro, fortunatamente addolcito da alcune sentenze di merito, riguarda le irregolarità
“formali”, quali, ad esempio, il mancato invio del modello Uniemens a fronte dell’avvenuto pagamento dei contributi dovuti, che spesso e volentieri ha determinato emissione di Durc con esito negativo.
Recenti pronunce8 confermano che l’assenza di regolarità che dà luogoall’emissione di Durc negativo, è determinata esclusivamente dalla condizione indicata dall’art. 3 del D.M. del M.L.P.S. del 30.01.2015 che al co. 1 recita: “La verifica della regolarità in tempo reale riguarda i pagamenti dovuti dall’impresa in relazione ai lavoratori subordinati e a quelli impiegati con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, che operano nell’impresa stessa nonché, i pagamenti dovuti dai lavoratori autonomi, scaduti sino all’ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica è effettuata, a condizione che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce retributive”.
Argomenta il Giudice romano nella sentenza del 16.03.22 che “nessuna disposizione (…..) autorizza l’Inps ad emettere, come ha fatto in questa vicenda, un Durc negativo che genera poi le conseguenze previste dall’art. 1 co.1175 in una situazione in cui nessuna omissione nei “pagamenti dovuti all’impresa” si è mai verificata”.
Tale chiosa non può che trovarci d’accordo, fermo restando che, naturalmente, su invito dell’istituto, l’azienda dovrà adempiere al mancato invio entro i 30 giorni paventati per la regolarizzazione.
Il Durc è ormai uno strumento di lavoro indispensabile, dall’indubbia valenza, ma che deve essere reso il più accessibile possibile, in modo da affiancare le aziende nel cammino verso la legalità ma, allo stesso tempo, non può e non deve diventare un ostacolo a causa delle descritte criticità che tuttavia appaiono sanabili con alcuni interventi correttivi.

Clicca qui per la tabella delle proposte.

1. Art.1, c.1175, L. n. 296/2006.

2. D.M. M.L.P.S., M.E.F. e Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione del 30 gennaio 2015.

3. Cit.: Treccani.it

4. Lucini G., Tasse, il cuneo fiscale in Italia è il quinto più alto tra i Paesi Ocse: 46,5% nel 2021, Il Sole 24 Ore, 24 maggio 2022-.

5. Art.7, co.2, D.M. 30 gennaio 2015.

6. Sito web Inps – “Rateazione dei debiti contributivi in fase amministrativa”- https://www.inps.it/prestazioni-servizi/rateazione- dei-debiti-contributivi-in-fase-amministrativa.

7. Art.3, co.2, D.M. 30 gennaio 2015.

8. Tribunale di Roma 11.03.2022 e 16.03.2022.


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