Una proposta al mese – INFORTUNI SUL LAVORO: una dimensione unitaria

di Andrea Asnaghi, Consulente del lavoro in Paderno Dugnano (Mi)

E non è necessario perdersi
in astruse strategie,
tu lo sai, può ancora vincere
chi ha il coraggio delle idee.
(R. Zero, “Il coraggio delle idee”)

Inail è gloriosa e utile istituzione, che si occupa dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. La materia è regolata da un altrettanto glorioso testo Unico (il D.P.R. n. 1124/1965) che resiste all’inarrestabile scorrere del tempo, ma che inevitabilmente qualche rughetta qua e là la mostra. E così oggi la materia si è via via allargata a colpi di sentenze della Corte Costituzionale e di vari interventi normativi, tanto che la stratificazione normativa è alta (ancorchè in gran parte assodata). Vorremmo pertanto proporre una revisione su una prospettiva unitaria, che reciterebbe semplicemente così: tutti coloro che lavorano sono obbligatoriamente soggetti all’assicurazione sugli infortuni (o malattie professionali, ovviamente) alle medesime condizioni.

Primo elemento di unificazione sarebbe pertanto una revisione dell’art. 1 del TU Inail, non operando distinguo – non più attuali – fra chi è addetto a macchine eteronomamente azionate (o addetto a lavorazioni elencate) e chi non vi rientra. Che poi con l’invenzione del c.d. “rischio elettrico” sia quasi impossibile sfuggire all’assicurazione è una realtà, ma ciò non toglie il principio logico fallace. Ognuno dev’essere assicurato in quanto lavora e basta, il resto non conta. Del resto, è proprio la moderna evoluzione del concetto di antinfortunistica che si evolve sempre di più verso un benessere integrale della persona (l’art. 2, D.lgs. n. 81/2008 – T.U. sulla sicurezza sul lavoro definisce la salute – scopo del decreto – quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità). Se quindi un danno alla salute è collegabile al lavoro, come tale dovrebbe essere soggetto ad assicurazione obbligatoria.
Il secondo elemento di unificazione dovrebbe riguardare l’assicurabilità di tutti i soggetti operanti in una realtà, senza distinzione, dall’imprenditore (sì, anche lui) sino allo stagista o al lavoratore occasionale. Oggi invece assistiamo ad indecifrabili disquisizioni: quello sì, quello no, quello forse. In particolare il mondo del lavoro autonomo ed imprenditoriale vive di distinzioni di lana caprina, Il titolare di un’impresa artigiana è assicurato, quello di un’impresa commerciale no (ma se fosse socio della medesima impresa sì), l’amministratore unico plenipotenziario (anche se socio) non sarebbe assicurabile in quanto coincidente con l’imprenditore, ma se fosse artigiano sì; il lavoratore autonomo non lo è, ma se fosse collaboratore coordinato e continuativo sì; l’esecutore di contratto d’opera occasionale no, ma se fosse artigiano sì (e lo sarebbe anche se fosse inquadrato a mezzo PrestO o libretto famiglia). E si potrebbe continuare, perché sul punto l’oscillazione della norma subisce il florilegio di fattispecie (vero ginepraio) oggi esistenti nell’ambito del lavoro autonomo e d’impresa (ivi compreso il lavoro dei soci all’interno di essa). Si dirà: sistemiamo dunque il ginepraio invece di prendersela con l’Inail e con il Testo Unico. L’osservazione è ottima, ma da qualche parte si dovrà pur iniziare e un’assicurazione che ambisse ad essere davvero universale potrebbe essere un buon inizio.
Vi è un terzo elemento di unificazione, non meno importante, che riguarda la distinzione, operata da qualche decennio (esattamente dal 2000) in differenti gestioni tariffarie, che sono le quattro seguenti: “industria, artigianato, terziario e altre attività”.
Ciò implica che l’essere compreso in una o nell’altra di queste gestioni com- porta, per il medesimo rischio, l’applicazione di aliquote assicurative differenti. Non è stato sempre così, la modifica come detto si è attuata a partire dal nuovo millennio, a discapito di chi pensa che il futuro porti solo cose buone.
Le motivazioni di tale scelta sono molteplici e ufficialmente si riferiscono per lo più ad un più mirato calcolo dell’aliquota applicabile (che si basa sulla ripartizione statistica del rapporto prestazioni/retribuzioni). Chi scrive ha delle idee differenti ed inconfessabili in proposito, diciamo in linea generale e senza puntare il dito su soggetti molto suscettibili che alcuni settori economici hanno voluto scaricare determinati oneri su altri (o non farsene carico, il che è la stessa cosa in un’assicurazione sociale obbligatoria). Il che però a prescindere dalla preliminare osservazione che tale distinzione non persegue obiettivi di semplicità normativa e gestionale appare poco logico, soprattutto in un’ottica di sostenibilità. In primo, perché se un’attività è rischiosa il rischio va ripartito fra tutti coloro che la esercitano, né si capiscono distinzioni particolarmente accentuate.
Prendiamo un esempio fra mille: il lattoniere che esercita “l’attività di produzione non in serie di tubi, canali, cassette, framogge, cappe, insegne e similicompresa l’eventuale posa in opera” è inquadrato nell’industria e nell’artigianato alla voce di tariffa 6223 il cui tasso è però ben differente (81 per mille nell’industria, ben 130 per mille nell’artigianato, oltre il 150 % di differenza). Nel terziario tale attività (ancorchè residuale) paga il 119 per mille, inquadrata nella più generica voce 6222, e nel settore residuale (gli altri) il 60 per mille (voce di tariffa 6100). E qui si vede una seconda distonia: mentre le voci di tariffa codificate per industria ed artigianato viaggiano su binari sostanzialmente paralleli (salvo qualche distinzione), quelle delle altre due gestioni subiscono macroraggruppamenti di molte lavorazioni sotto un’unica voce generando un mix generico e poco differenziato, con inevitabili sperequazioni (in più o in meno, come si vede nell’esempio). Ma non è detto che il solo fatto di essere collocati in una gestione (che sostanzialmente dipendente dall’inquadramento attribuito dall’Inps all’azienda) renda meno caratteristico l’esercizio di un’attività sotto il profilo del mero rischio. Teniamoci sull’esempio: un’azienda ha una duplice attività di produzione di articoli di fumisteria e di commercio degli stessi articoli (prodotti da altri), di cui la seconda attività risulta prevalente: con quale criterio paga un tasso differente? Non parliamo se tale differenziazione dovesse prodursi sulla base di una semplice passaggio di un’azienda da un settore ad un altro per l’incidenza di fattori esterni al rischio o all’attività (ad esempio, basterebbe la cessazione dell’attività lavorativa di un socio): la stessa azienda, con la stessa ragione, nello stesso ambiente di lavoro, con gli stessi dipendenti, si troverebbe per tale sola ragione a pagare in modo differente.
E questo introduce un ulteriore elemento di riflessione (terza distonia): l’inquadramento in una gestione piuttosto che in un’altra può dipendere da fattori esterni e completamente ininfluenti sulla lavorazione e sul rischio. Anche la classica distinzione fra piccole e grandi aziende (per cui la sicurezza sarebbe più seguita in quelle grandi) non ha molto senso se si pensa alla composizione del settore economico italiano, per cui quasi il 90% delle aziende non supera i 10/15 dipendenti. Sicchè può essere classificata industriale un’azienda con due o tre dipendenti o essere artigiana un’azienda con 20 e più dipendenti.
Aggiungiamo una quarta ed ultima riflessione che riguarda la profonda interconnessione dei settori e dei segmenti economici, ove si realizzano filiere sempre più articolate e complesse: alla realizzazione di un bene o di un servizio concorrono più imprese, le stesse grandi aziende terziarizzano alle piccole una parte del loro lavoro o di fasi di esso: per quale motivo farle pagare in modo differente quando spesso (come nel caso della subfornitura) le condizioni sono sostanzialmente imposte da chi organizza e governa la filiera?
Sperequazioni, miscugli indifferenziati, aleatorietà si possono evitare tornando alla gestione unica (oltretutto più semplice ed immediata) ed all’unicità dell’assicurazione.
Tutti per una, ma possibilmente una per tutti.


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