Sportivi dilettanti, figli di un dio minore

Claudio Boller, Consulente del Lavoro in Treviso

La Finanziaria di fine anno, Legge n. 205 del 27 dicembre 2017, ha portato alla ribalta un argomento, quello del rapporto di lavoro degli sportivi dilettantistici, che nel bene e nel male non ha mai trovato e, a ben vedere, non trova a tutt’oggi, una compiuta collocazione.

La figura dello sportivo dilettantistico, nell’ambito del diritto del lavoro, non ha alcuna collocazione; non vi sono cioè normative specifiche che delineano i tratti generali, le caratteristiche che lo dovrebbero contraddistinguere e la disciplina applicabile.

Sembra una contraddizione in termini, un ambito lavorativo di vastissime dimensioni a livello nazionale e nessuna normativa che ne ricomponga gli adempimenti e le specifiche.

Non se ne trova diretta traccia nemmeno nella nostra iniziale Costituzione Italiana1, non è però in questo specifico caso, un fatto strano; i Costituenti, ancora influenzati dal ventennio fascista, hanno espressamente voluto lasciare lo sport fuori dai dettami che lo avevano precedentemente caratterizzato, come mero strumento di campagna bellica e di supremazia di uno stato a carattere totalitario.

Ma partiamo da un passo indietro, il termine sport, di natura anglosassone, ha radici intrinseche francesi che sono rinvenibili ne termine desport, e cioè “divertimento, divagazione”; si tratta cioè di una attività ludico motoria che lontana dall’essere concepita come un settore economico, ha la sua funzione prima e ultima nel piacere di sentirsi in forma, star bene nel senso più generale possibile.

Questo non significa che non ci possano essere attività ed interessi economici, lo sport professionistico è catalizzatore di enormi quantità di soldi, ma ne identifica la vera natura, quella che, al di là di ogni interesse, deve sottendere chiunque approcci al mondo dello sport.

Nel proseguo si affronterà unicamente il mondo dello sport dilettantistico, perché quello professionistico trova specifica identificazione normativa nella Legge, 23 marzo 1981, n. 91 anche se, è bene dirlo, si tratta di una legge nata su di una mera necessità di urgenza per dare definizione a fatti concreti che stavano accadendo nel mondo del calcio2.

Ma se il termine sport ha una sua definizione, esiste una definizione di sportivo dilettantistico? La risposta è secca: No.

Sono “sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.

Così recita l’art. 2 della Legge n. 91/1981, pertanto l’unica definizione di sportivo dilettantistico è ricavabile per esclusione, è colui che “non è sportivo professionistico”.

Lo sportivo professionistico è identificato nelle discipline regolamentate dal CONI, che, in armonia con i principi dell’ordinamento sportivo internazionale e nell’ambito di ciascuna Federazione sportiva nazionale e delle Discipline sportive associate, (stabilisce) i criteri per la distinzione dell’attività sportiva dilettantistica o comunque non professionistica da quella professionistica3.

Salvo rare eccezioni, la Legge n. 91/1981 definisce il rapporto di lavoro dello sportivo professionista, come subordinato in quanto svolto in forma continuativa ed a titolo oneroso4.

Quello che distingue uno sportivo dilettantistico da uno professionistico, non è quindi il quantum, il reddito percepito, ma la presenza o meno dello sport che esercita, in una regolamentazione dettata dal CONI.

Abbastanza anacronistico, abbiamo giocatori che percepiscono redditi particolarmente importanti, impegnandosi quotidianamente e dedicandovisi a tempo pieno come vero e proprio lavoro (si pensi ai giocatori di pallavolo o pallanuoto di serie A) e giocatori professionisti, i cui stipendi sono molto calmierati (serie minori del calcio ad esempio).

Il quadro si presenta decisamente pittoresco, abbiamo i veri dilettanti, cioè gli sportivi amatoriali il cui rapporto con la società è di tipo endoassociativo e finalizzato per entrambi, società e sportivo, al mero fine sportivo; i falsi dilettanti, lavoratori che svolgono a tempo pieno l’attività sportiva, lavoratori dello sport, ma esclusi dall’enunciazione del CONI; e gli sportivi professionisti, veri dipendenti, legati da vincolo di subordinazione, alle società.

Ecco la prima chiave di svolta, l’aspetto fiscale del reddito percepito.

Lo sportivo professionistico, in quanto lavoratore subordinato, ha un vero proprio stipendio, fissato in una busta paga, scaglioni reddituali crescenti e relative aliquote di tassazione, detrazioni, bonus “Renzi”, con relativa copertura dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, e l’assistenza contro le malattie e contributi versati all’Inps e ex Enpals.

Dall’altra parte abbiamo lo sportivo non-professionistico, sia esso amatoriale o falso dilettante, che diversamente dalle normative giuslavoristiche, trova diretta indicazione nell’ambito della disciplina tributaria.

Le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati ai direttori artistici ed ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, e quelli erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”.

Così recita la lettera m) del famigerato art. 67 del Tuir (Testo unico delle imposte usi redditi).

Stiamo parlando di redditi di tipo residuale e marginale, sotto il cui alveo vengono trattate entrate economiche tra loro disomogenee.

Ma anche qui, così come per la definizione di sportivo dilettantistico, siamo di fronte ad un non-detto, i redditi diversi, quelli a cui il nostro dilettante, vero o falso che sia, soggiace, non sono espressamente definiti; si deve operare una definizione in senso negativo e per esclusione; sono “diversi” infatti quei redditi che non costituiscono redditi di capitale, che non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni, né di imprese commerciali, o da Snc o da Sas, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente, redditi “diversi” appunto.

È un articolo strano l’art. 67; non stiamo parlando di compensi per prestazioni di lavoro autonomo, tanto quanto non stiamo parlando di lavoro subordinato.

Diciamocelo tra amici, molti fanno finta di trascurare questo dettaglio fiscale, prendono come irrilevante il fatto che prima di essere reddito diverso, il compenso del nostro bravo sportivo dilettante non deve ricadere nell’alveo degli altri redditi, quelli conosciuti, quelli che dal codice civile, all’art. 2094 e seguenti, e all’art. 2222 e seguenti, da settantasei anni siamo abituati a conoscere.

Quindi, se non sei uno sportivo che rientra nell’elenco degli sportivi professionisti, se non svolgi la tua attività secondo i principi della subordinazione e nemmeno in base a quello che è un rapporto autonomo, ottima notizia, allora sei un fortunato, puoi godere dello speciale regime fiscale (e contributivo) dell’art.67 del Tuir.

Cosa significa questo? Che stai svolgendo, in virtù della lettera m) una prestazione “nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche”, oppure una prestazione di “collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale”.

L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione del 26 marzo 2001 n. 64/E, ha voluto precisare che con l’espressione “esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche”, nel nostro ordinamento si è voluto ricondurre nel regime agevolato, i compensi corrisposti ai soggetti che partecipano direttamente alla realizzazione della manifestazione sportiva; facendovi rientrare tutte quelle figure lavorative le cui prestazioni lavorative sono funzionali alla manifestazione sportiva dilettantistica, grazie alle quali di fatto ne determinano la concreta realizzazione.

Abbiamo quindi gli atleti, gli allenatori, i giudici di gara, i dirigenti e i commissari, ma nella portata della norma vi rientrano anche le attività di formazione, quelle di didattica, di preparazione e di assistenza quando e se svolte nell’ambito dell’attività sportiva dilettantistica; cioè vi rientrano anche gli istruttori, i preparatori atletici, i personal trainer, superando così il collegamento funzionale diretto con l’evento sportivo5, ed allargando la maglia anche a i soggetti che rendono comunque le proprie prestazioni anche e a prescindere dalla realizzazione di una manifestazione sportiva.

Sono considerati redditi diversi le indennità di trasferta, i rimborsi forfettari di spesa, i premi ed i compensi, con una precisazione, un distinguo, legato a come si sia concretizzato l’esercizio diretto dell’attività sportiva dilettantistica.

Si tratta di redditi legati a singoli eventi a carattere occasionale (lo sportivo amatoriale che vince una competizione organizzata dalla locale scuola ASD e viene premiato con euro 50, tanto quanto la lanciatrice del giavellotto che vince la medaglia d’oro alle olimpiadi ed ottiene un gettone a cinque zeri).

Si tratta però anche di quegli eventi che hanno una continuità temporale, l’allenatore o l’istruttore sportivo che prepara gli atleti in senso lato, a prescindere che al termine della preparazione vi sia finalizzazione ad uno specifico evento sportivo, lungo un lasso temporale che non presenta le caratteristiche dell’occasionalità, ma che invero si manifesta spudoratamente in una prestazione continuativa nel tempo.

Vale allora la pena ripeterlo, è un articolo strano l’art. 67.

Ecco che il legislatore del 2017, lungi però dal volere intervenire e correggere tutta la distorsione che caratterizza le attività non-professionistiche, decide di dare comunque una chiave di volta, cercando di mettere almeno un tampone alle innumerevoli querelle sorte in sede giudiziale.

Ecco, si diceva, che arriva la Finanziaria di dicembre, ed il co. 359 dell’art. 1 introduce rilevanti novità per il proseguo di quanto sopra esposto:

359. I compensi derivanti dai contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati da associazioni e società sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI costituiscono redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera m), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

Tralasciamo, in quanto fuorvianti rispetto alle finalità di questo articolo, tutti gli aspetti, seppure affascinanti, delle nuove società sportive dilettantistiche lucrative.

Tralasciamo anche l’interessante questione della recente riforma degli Enti del Terzo settore, del no-profit, e la possibilità di farvici rientrare, accedendo al registro unico Ruts, anche le associazioni sportive dilettantistiche per scelta, aprendo così lo scenario anche alle prestazioni volontarie gratuite.

Torniamo invece a quanto fin qui detto e al co. 359: da una parte si vuole mettere un tampone, per certi versi definitivo, alla questione reddituale, la norma infatti specifica che l’attività svolta dallo sportivo, anche se non di natura occasionale, pertanto caratterizzata da una continuità temporale ed identificata come collaborazione coordinata e continuativa (sempre che non risultino soddisfatti i requisiti dell’art. 2094 c.c. e gli indici giurisprudenziali nel tempo definiti e sempre in agguato), rientra comunque nell’ambito dell’agevolazione fiscale dell’art. 67.

Dall’altra parte sposta alle decisioni del CONI, quale unico ente preposto, il potere di creare un ombrello protettivo, sotto il quale elencherà sia quali siano le discipline sportive rientranti tra quelle riconosciute, sia quali siano le prestazioni ammissibili che godranno del regime fiscale dell’art. 67.

Ma che bel guazzabuglio verrebbe da dire, lo sportivo che per esclusione terminologica non rientra tra gli sport definiti professionistici, che svolge una attività rientrante tra quelle che novellerà il CONI, ma ad oggi non si sa quali siano, potrà essere inquadrato come collaboratore coordinato e continuativo (è appena il caso di ricordare che i co.co.co. trovano definizione unicamente fiscale nell’art. 409 c.p.c. ma sono privi di una reale definizione giuslavoristica) e gli si potrà applicare la tassazione prevista per i redditi diversi, definibili solo per esclusione rispetto a quelli di lavoro autonomo e lavoro subordinato.

La verità finale è che il termine sportivo dilettante, anche alla luce di quanto fin qua esposto, è privo di un vero significato, lo utilizziamo solo per semplicità, perché affermare che lo sportivo dilettante è colui che è un non-professionista, fa immediatamente emergere la vera contraddizione che lo contraddistingue, molto più profonda e radicata nel suo stesso Dna.

Perché, diciamocelo, lo sportivo dilettante, o come lo si voglia chiamare, in mancanza di una necessaria compiuta disciplina legislativa, è ancora oggi, figlio di un dio (del diritto) minore…

1 Per la precisione nel 2001, con le modifiche all’art. 117, è stata inserita “l’organizzazione sportiva” nell’ambito delle materie concorrenti tra Stato e Regioni.

2 Federcalcio e Aic (associazione italiana calciatori) avevano in piedi da diversi anni un duro braccio di ferro per l’abolizione del calcio mercato sui trasferimenti dei calciatori, sfociato nel 1978 con la perquisizione dei carabinieri della sede della Lega Calcio ed il sequestro dei contratti depositati e la successiva minaccia di sciopero del 1979 in base alla quale i calciatori di tutte le serie non sarebbero scesi in campo se non vi fosse stato il pagamento dei debiti.

3 Così recita l’art. 6 dello Statuto del CONI, al co. 4 lett. d).

4 Art. 3 Legge n. 91/1981 “la prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge”.

5 Enpals, Circ. n. 18 del 9 novembre 2009 in recepimento della disposizione di cui all’art. 35, co. 5, D.lgs., 30 dicembre 2008, n. 207.